I centri per migranti in Albania potrebbero svuotarsi, di nuovo. La Corte di cassazione ha cambiato orientamento e, con la decisione del 29 maggio, pubblicata il 30, ha rinviato due cause alla Corte di giustizia dell’Unione europea, mettendo di fatto in crisi l’ennesimo tentativo del governo Meloni di salvare l’intesa siglata con Edi Rama. Con due rinvii pregiudiziali la Corte interroga i giudici europei sulla compatibilità delle norme italiane con la direttiva rimpatri, in un caso, e con la direttiva accoglienza, nell’altro.

Sembra una storia già scritta, non è la prima volta che i giudici italiani rinviano ai colleghi europei. A ottobre 2024, la sezione specializzata del tribunale di Roma aveva già adito la Corte di Lussemburgo sull’interpretazione del concetto di paese di origine sicuro. Un ostacolo al primo capitolo del protocollo, che prevedeva il trattenimento dei migranti provenienti da paesi di origine sicuri salvati in acque internazionali dalle autorità italiane.

Ora, a finire di fronte alla Corte di Lussemburgo è un ulteriore pezzo di un puzzle che si sta facendo sempre più complesso: lo scorso marzo l’esecutivo aveva ampliato – con un decreto – la funzionalità delle strutture costruite in Albania rendendole centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Senza intervenire sulla legge di ratifica, il governo ha così permesso di trasferire persone senza permesso di soggiorno, trattenute nei Cpr italiani. Una modifica arrivata dopo una serie di pronunce della sezione specializzata di Roma e della Corte d’appello, che avevano costretto il Viminale a liberare e trasferire in Italia i richiedenti asilo portati a Gjadër.

Pregiudiziale

Con il dispositivo pubblicato venerdì, anticipato da il manifesto, la prima sezione penale della Cassazione ha ribaltato la sua decisione del 10 maggio, con cui aveva dato sponda al governo: in quella data la corte aveva stabilito la legittimità del trattenimento del cittadino straniero nel centro per i rimpatri di Gjadër, anche dopo la presentazione della domanda di asilo, equiparando la struttura oltre Adriatico a un Cpr italiano. Come se quel centro non si trovasse sul territorio di un paese fuori dall’Unione europea. Una posizione opposta a quella della Corte d’appello di Roma che, in diverse pronunce, non ha convalidato il trattenimento di chi aveva fatto richiesta di protezione internazionale.

I giudici della prima sezione penale hanno chiesto alla Corte di giustizia se la direttiva europea sui rimpatri del 2008 impedisca o meno l’applicazione del protocollo Italia-Albania «che consente di condurre (...) persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati», «in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio». Cioè, i giudici nazionali chiedono a quelli europei se il trasferimento in Albania di un cittadino straniero in situazione di irregolarità sia compatibile con la normativa Ue. Allo stesso modo, nella seconda causa, si interroga la Corte se il trasferimento di un richiedente asilo sia in linea con la direttiva accoglienza.

Si dovrà attendere la pubblicazione delle motivazioni. Intanto però i rinvii, che nascono da due ricorsi del Viminale contro le decisioni della Corte d’appello di non convalida, potrebbero portare i giudici italiani a negare altre convalide, in attesa di una sentenza della Corte di Lussemburgo. Nonostante la richiesta della procedura d’urgenza, i tempi potrebbero essere lunghi. Sui paesi sicuri la Corte Ue pubblicherà la decisione – attesa per ottobre – a quasi un anno di distanza.

È molto probabile, dunque, che i giudici di secondo grado continueranno a non convalidare i trattenimenti di chi presenta richiesta di protezione internazionale in Albania. Soprattutto leggendo la decisione del 19 maggio, con cui la Corte d’appello ha disatteso e criticato la sentenza della Cassazione del 10, definendola «unica e isolata», che non prende «in debita considerazione la normativa eurounitaria». Per i giudici c’erano inoltre criticità legate all’articolo 13 della Costituzione – che tutela la libertà personale con una doppia riserva di giurisdizione – e al diritto di difesa.

Lo stesso dovrebbe valere anche per chi non è richiedente asilo: la competenza a decidere è del giudice di pace, che – non essendo nemmeno un giudice togato – non dovrebbe disattendere la pronuncia della Cassazione.

Orientamenti

Il cambio di competenza, dalla sezione civile a quella penale, è stato uno dei molti interventi del governo per rendere i centri operativi a tutti i costi. La Cassazione aveva già dato alcuni segnali di un possibile cambio di passo, riallineandosi con la giurisprudenza della sezione civile. Ancora una volta, quindi, i giudici scelti dall’esecutivo non hanno portato alla decisione sperata da Meloni.

«Un segnale chiarissimo», per la deputata del Pd Rachele Scarpa, «ci sono dubbi seri e fondati sulla compatibilità dell’intero impianto con il diritto europeo e con la Costituzione italiana». Perché la maggioranza, continua Scarpa, «ha forzato in continuazione un’operazione propagandistica e pasticciata, fatta sulla pelle delle persone e sulle tasche dei contribuenti». Per le opposizioni è solo uno strumento di propaganda, per Riccardo Magi di +Europa «un doppio fallimento, politico e giuridico». E la cinquantina di persone recluse in Albania potrebbe, così, rientrare in Italia.

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