La deputata Rachele Scarpa e l’eurodeputata Cecilia Strada hanno chiesto un intervento urgente dell’organismo del Consiglio d’Europa per le «evidenti violazioni dei diritti fondamentali». Gli eventi critici sono stati 2,7 al giorno in 13 giorni, circa dieci tentativi di suicidio. Si aggiungono opacità e le mancate visite di idoneità. Intanto la Corte d’appello di Lecce ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla competenza dei giudici
La vita e l’incolumità delle persone chiuse nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Gjadër, in Albania, è in pericolo. È l’allarme inviato al Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa dalla deputata del Partito democratico Rachele Scarpa e dall’eurodeputata Cecilia Strada.
Le parlamentari hanno raccolto in una relazione scritta le criticità emerse durante le loro visite ispettive, unite agli ingressi effettuati da loro colleghi dell’opposizione e rappresentanti del Tavolo asilo e immigrazione. «Alla luce delle gravi difformità tra le pratiche segnalate e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con evidenti violazioni dei diritti fondamentali in essa garantiti», le deputate hanno chiesto al comitato di «valutare una visita urgente» da parte degli esperti del Consiglio d’Europa «per indagare la legittimità e proporzionalità di tali misure».
L’opacità
Il rapporto si focalizza sulla detenzione di chi è stato portato nei centri albanesi dopo il cambio di destinazione operato dal governo: lo scorso 28 marzo, con l’ennesimo decreto, l’esecutivo di Giorgia Meloni ha infatti trasformato quelli che erano centri di trattenimento per richiedenti asilo in centri per rimpatri, nel tentativo di salvare il progetto Albania.
In attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Ue sul concetto di paese sicuro, attesa entro l’estate, il Viminale in questo modo ha trasferito 41 persone, quasi tutte già trattenute nei Cpr italiani, per riempire i costosissimi centri (sul piano umano ed economico) rimasti vuoti.
«Abbiamo visto con i nostri occhi il centro, abbiamo parlato con quasi tutte le persone trattenute nelle prime due settimane e abbiamo consultato approfonditamente il registro eventi critici, facendo emergere un quadro molto serio», affermano Scarpa e Strada.
Dalle dieci visite, tra il 9 e il 27 aprile, emerge una grande opacità, difficoltà a reperire informazioni e modalità di trasferimento «contrarie al rispetto della dignità umana». A oggi, sottolineano le deputate, non sono ancora chiari i criteri di selezione delle persone per lo spostamento all’estero e nessuna delle persone trasferite aveva compreso che sarebbe stata portata in Albania.
A preoccupare è lo stato psico-fisico delle persone recluse nei container: in due settimane si sono registrati 35 eventi critici, «principalmente gravi atti di autolesionismo, fino al tentativo di suicidio».
Gli eventi critici
«Come tutti i Cpr italiani», aggiungono Scarpa e Strada, «quello di Gjadër è un luogo patogeno». Lo dimostra la lettura del registro degli eventi critici, consultato dalle parlamentari, che «qualifica il centro stesso come contesto che mette a rischio la salute e la vita delle persone detenute».
Tra gli eventi critici, 2,7 al giorno in 13 giorni, ci sono circa dieci tentativi di suicidio «per lo più tramite strangolamento o impiccagione», atti di autolesionismo e proteste collettive, eventi che «appartengono alla stessa categoria di violenza esibita sul proprio corpo che merita specifica attenzione, dal momento che la transizione tra un atto di maggiore o minore gravità non è assolutamente prevedibile», si legge nella relazione. A questo si aggiunge che il numero degli eventi critici potrebbe essere stato superiore perché, in base alle testimonianze raccolte dalle deputate, risulta un eventuale ritardo nella annotazione.
I trattenuti a Gjadër sono esposti a una duplice carenza, sottolinea il rapporto: l’assenza di un ospedale vicino, il primo raggiungibile si trova a Tirana, a oltre un’ora di strada. Nei casi di impiccagione il luogo di soccorso dovrebbe essere tra i 15 e i 30 minuti di distanza. E, inoltre, l’isolamento anche nel periodo di recupero dai servizi di salute mentale del sistema sanitario nazionale «rappresenta un ulteriore fattore di rischio».
Ci sono poi strumenti pericolosi per un contesto detentivo che provano una «negligenza» di chi ha progettato e costruito i centri: gli sprinkler antincendio sono «posizionati sopra i tavoli di ciascun modulo abitativo» e quindi «sono facilmente raggiungibili salendo sopra i tavoli». Questo permette e ha già permesso ai reclusi di usarli «come supporto a cui legare corde di fortuna» quando esistono pensieri suicidari.
Visita di idoneità
Come accade per le strutture in Italia, anche il Cpr albanese deve rispettare la direttiva del ministero dell’Interno del 2022 che regola la vita all’interno di questi luoghi. E questa prevede che ogni persona debba essere sottoposta a una visita di valutazione dell’idoneità al trattenimento. In altre parole, i medici del servizio sanitario nazionale devono ritenere le condizioni psico-fisiche idonee alla vita in quella specifica comunità ristretta.
Per le parlamentari sarebbe stato quindi necessaria «una rivalutazione dell’idoneità» effettuata «da personale indipendente dall’ente gestore». Quindi, secondo Scarpa e Strada, «emerge che non è stata effettuata alcuna selezione volta a escludere che persone con vulnerabilità psichiatrica fossero condotte nel Cpr albanese».
Solo otto tra gli uomini trasferiti sono stati sottoposti a una visita di idoneità nei giorni precedenti. Per la maggior parte infatti l’ultima visita risaliva a mesi precedenti, fino addirittura a novembre 2024. Un cittadino di origini georgiane, che prima del trasferimento si trovava al Cpr di Bari, «era già in terapia con diversi farmaci – si legge nella relazione – pare assumesse fino a poco tempo prima metadone, sospeso 10 giorni prima» del viaggio verso l’Albania. La sua ultima visita risaliva al 26 novembre 2024.
In tre giorni a Gjadër si contano otto atti di autolesionismo, «con almeno un episodio di manifestazione di intenzioni suicidarie», segnalano le parlamentari. Fino a che l’ente gestore ha chiesto la rivalutazione dell’idoneità al trattenimento ed è rientrato in Italia «in data sconosciuta».
La questione di legittimità costituzionale
Nel frattempo, la Corte d’appello di Lecce venerdì 2 maggio ha posto la questione di legittimità costituzionale sul decreto con cui il governo ha trasferito la competenza sui trattenimenti dei richiedenti asilo ai giudici di secondo grado, togliendola alle sezioni specializzate. A finire sotto esame anche la limitazione del ricorso per cassazione prevista dal provvedimento convertito in legge.
Per la Corte d’appello aver spostato la competenza dal «suo giudice “naturale”» a un giudice non specializzato, né obbligato a specializzarsi, «sembra perseguire esigenze opposte a quelle di rilievo costituzionale». E per giudice naturale si intende quello «appositamente istituito e specializzato nella trattazione delle questioni in tema di protezione internazionale».
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