I pm di Roma chiedono il rinvio a giudizio di quaranta indagati dopo sette anni di indagini sul gruppo. Accuse di bancarotta e nuove ombre sul Mimit
Uno dei più grandi fallimenti del nuovo secolo. E un’inchiesta durata quasi un decennio. Con la richiesta di rinvio a giudizio per ben quaranta indagati, accusati a vario titolo di bancarotta, associazione per delinquere e una serie di altri reati tributari, il procedimento sul crac di Condotte d’Acqua sta finalmente per concludersi.
A rischiare il processo perché ritenuti responsabili del crollo del colosso delle costruzioni, che in Italia e nel mondo ha realizzato opere e infrastrutture famosissime come la Nuvola di Fuksas e il Mose di Venezia, sono, tra gli altri, gli ex amministratori di fatto della società, Isabella Bruno Frigerio Tolomei e Duccio Astaldi.
Ma anche Franco Bassanini, già presidente di Cassa Depositi e Prestiti, più volte ministro e sottosegretario e all’epoca presidente del Consiglio di sorveglianza della spa. Nelle trentanove pagine di provvedimento, firmato dalla pm di Roma Alessia Miele, si legge che la regina e il re del calcestruzzo, nel ruolo di vertici di Condotte, avrebbero «cagionato un danno patrimoniale» di oltre un miliardo «concorrendo a distrarre e a dissipare» somme di denaro, ma anche «acquistando in nome e per conto della società beni e servizi distinti ad esclusivo beneficio personale o dei prossimi congiunti».
Tra questi ci sarebbero i lavori di manutenzione, ripristino e giardinaggio effettuati nelle proprie ville dalle mille e una notte, tra Padova, Roma, Venezia. Si legge, d’altronde, di servizi effettuati a Palazzo Tolomei, villa Mirabello e in ulteriori immobili: lavori addirittura di riscaldamento, lavori relativi alla pavimentazione o alla fornitura di posa delle piante.
Sempre all’interno dell’atto giudiziario una lunga tabella – corredata di fatture e importi dettagliati e precisi – fa dunque il punto sulla «malagestione» della società che ha prodotto un vero e proprio buco milionario. A Bruno Frigerio Tolomei e ad Astaldi viene contestato anche l’utilizzo «delle risorse umane alla dipendenze» della spa «presso le loro abitazioni private». E ancora tutta una serie di operazioni finanziarie, legate e riconducibili a ulteriori società, che avrebbero portato per l’appunto alla crisi e al fallimento di Condotte d’Acqua.
Come «fonti di prova» la pm capitolina allega, oltre alle informative del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma, anche «le relazioni, le integrazioni e le note a firma dei commissari straordinari di ciascuna delle società dichiarate insolventi». nonché quelle «di ciascuno dei curatori delle società dichiarate fallite».
L’indagine in questione, d’altronde, è nata proprio da alcune relazioni dei commissari straordinari nominati, al tempo, dal ministero dello Sviluppo economico: i tecnici – tra loro anche Alberto Dello Strologo (indagato nell’inchiesta sul crac Condotte in qualità di co-liquidatore della fallita I.M. Intermetro srl) – riuscirono a sbloccare il pagamento degli stipendi, tredicesime comprese, e a salvare alcune importanti commesse all’estero.
Della terna facevano parte anche i due professionisti, estranei all’inchiesta, oggi revocati per decreto: una vicenda denunciata alla procura di Roma attraverso un esposto che racconta come i vertici del ministero di Adolfo Urso avrebbero «promesso (ai commissari straordinari, ndr) una rapida liquidazione delle parcelle in caso di dimissioni». Da qui l’apertura di un nuovo fascicolo di indagine che rischia di far tremare il dicastero del meloniano.
© Riproduzione riservata



