La parola che circola di più in queste ore di conto alla rovescia verso le elezioni al CONI è pressione. «Non puoi capire che telefonate!». «Gli ha promesso mari e monti». Rimpallano fra gli schieramenti questi discorsi, un po’ millantatori un po’ no, in un ping pong che si allungherà fino a giovedì mattina quando al palazzetto dell’Acquacetosa gli 80 grandi elettori si riuniranno per nominare il successore di Giovanni Malagò.

I candidati sono otto, ma in realtà sul maxi schermo delle previsioni si riducono, con tutto il rispetto per Duccio Bartalucci, Mauro Checcoli, Pierluigi Giancamilli, Carlo Iannelli e Giuseppe Macchiarola, a tre: Luciano Buonfiglio, presidente della canoa e nome preferito del presidente uscente; Luca Pancalli, che dopo anni di presidenza paralimpica cambia campo di gioco e (si sussurra, ma per la verità si dice anche con voce più forte) che ha il miglior rapporto con la politica e il ministro dello sport, Andrea Abodi; Franco Carraro, tre mandati fra il 1978 e il 1987, che avrebbe l’ambizione di uscire alla distanza come soluzione di mediazione, se i due candidati più forti non fossero troppo vicini al traguardo nelle prime tre votazioni (dalla quarta in poi per essere eletti basta la maggioranza semplice).

Ma il piano sembra davvero troppo ambizioso pure per uno che è stato più o meno presidente di tutto nello sport italiano.

I precedenti

Fare pronostici è un’acrobazia. In giro senti dire «se dovessi scommettere dieci euro direi…». Dieci, non cento o mille. Le elezioni del CONI sono generalmente lo specchio di un sistema poco incline alle novità. Giulio Onesti (1946-1978, prima era stato pure commissario) è stato al volante per 32 anni, Franco Carraro (1978-1987) per nove, Arrigo Gattai per sei (1987-1993), Mario Pescante per cinque (1993-1998), Gianni Petrucci per 14 (1999-2013), Giovanni Malagò per 12 (2013-2025).

Sbarrare la strada elettoralmente a quest’ultimo sarebbe stato veramente complicato, ma la legge gli ha impedito di riprovarci (niente più tetto per le federazioni visto il regime privatistico in cui operano, anche se con diversi soldi pubblici; non più di tre mandati al Coni, che invece è stato a tutti gli effetti) e la proroga agognata per arrivare almeno alle Olimpiadi di Milano-Cortina non c’è stata.

La strategia delle cene

Generalmente, per dirla tutta, finisce tanto a poco. Ma le ultime ore possono essere particolarmente perfide. Per questo, la mossa di Luciano Buonfiglio di invitare a cena tutti gli elettori la sera prima del voto ha spiazzato parecchi. Uno schiaffo alla scaramanzia? Una dimostrazione di forza di chi si sente in vantaggio? O un tentativo di marcare a uomo qualche sostenitore vacillante?

Il fatto è che ci sono due precedenti che inducono alla massima prudenza. Il primo è lontano. Correva l’anno 1987 e si iscrissero alla corsa il gran capo dell’atletica mondiale Primo Nebiolo e il numero uno della Federsci, Arrigo Gattai. La sera prima tutto sembrava apparecchiato per il trionfo del primo. Poi successe qualcosa, sarà stata l’incisiva preferenza di Carraro o la mobilitazione di un pezzo di Democrazia Cristiana, le urne misero k.o. le previsioni: 26 a 12 per l’outsider. Più vicina nel tempo invece la clamorosa cena delle beffe di 12 anni fa che incoronò il primo Malagò.

Il suo avversario Raffaele Pagnozzi sembrava favoritissimo e la cena del giorno prima sottolineò i presunti rapporti di forza. Ma c’era pure una «contro cena». Uno dei protagonisti di quel giorno racconta che «ci fu chi mangiò il primo da una parte e il secondo dall’altra». La notte fece il resto: Malagò e la sua campagna elettorale chirurgica misero la freccia del sorpasso: 40-35.

I pronostici impossibili

Per tutto ciò in queste ore, ogni volta che qualcuno ti dice «è in vantaggio x o y», l’istinto è di toccare subito il freno. Non sono tanti a dichiararsi (per ora più “buonfigliani” che “pancalliani). Qualcosa in più si può intuire dalla geografia delle candidature dalla giunta esecutiva: ci sono da eleggere sette dirigenti, due atleti (uno è sicuro, Giampaolo Ricci del basket, visto che è l’unico uomo), un tecnico, un rappresentante degli enti di promozione, uno dei comitati regionali e l’altro dei delegati provinciali.

Per prendersi tutto uno schieramento dovrebbe disporre di una maggioranza robusta, ognuno infatti per la quota dirigenti può indicare cinque preferenze ma i posti in palio sono sette. Più probabile che in queste ore ci sia una campagna elettorale parallela: quella di chi appunto vuole entrare in giunta e per farlo magari potrebbe anche incunearsi nel territorio avversario. Peraltro i numeri delle elezioni nel “governo” Coni faranno da apripista alla nomina dei due vice, a cura del presidente.

I potenziali prescelti sono tanti: nell’area Malagò-Buonfiglio si fanno i nomi di Diana Bianchedi (fiorettista olimpionica ora dirigente front runner dell’organizzazione di Milano-Cortina), Laura Lunetta (danza sportiva), Stefano Mei (atletica), Marco Di Paola (equitazione). Dall’altra parte, nella coalizione Pancalli, chiamiamola così, il cui sponsor più nominato è Paolo Barelli, al vertice della Federnuoto e capogruppo di Forza Italia alla Camera, le ipotesi convergono su Juri Morico, leader dell’Opes, un ente di promozione sportivo molto vicino a Fratelli d’Italia.

Ma Morico sarebbe anche nella lista dell’altro schieramento proprio per annacquare l’idea di un governo posizionato tutto da una parte. Peraltro Pancalli, almeno nella sua storia politica ha una sua trasversalità (ha avuto anche la delega dello sport nella giunta Marino a Roma). Proprio la zavorra di un eccessivo timbro politico è comunque l’ostacolo che si porta addosso. Fino a scolorire una rottura che sarebbe storica: la possibilità che una persona con disabilità possa dirigere tutto il movimento sportivo e non solo quello paralimpico.

Gli anticorpi

Resta però un punto chiave: questi 80 grandi elettori non sono una platea troppo ristretta per eleggere un presidente di un CONI, che sarà pure depotenziato, ma rappresenta pur sempre più di 16 milioni di tesserati (probabilmente la cifra è esagerata visto che mette insieme anche soggetti con doppia affiliazione, ma è comunque importante) fra federazioni, discipline associate ed enti di promozione?

Non sarebbe il momento di pensare a una riforma vera che dia più spessore e rappresentanza alla democrazia sportiva? Discorsi scivolosi in queste ore, l’ideale per perdere consenso per cui è da escludersi che qualcuno cavalchi la domanda. Ma arriverà il momento di un altro patto fra piccole e grandi federazioni con una nuova mutualità ma anche di differenti pesi elettorali per evitare che una federazione da un milione di tesserati abbia gli stessi voti di una che ne ha cinquemila? E questa tendenza alla maggioranza che prende tutto non andrà prima o poi toccata?

L’ex segretario della Fidal, oggi presidente della Fondazione Sportcity, Fabio Pagliara ha proposto per esempio un «premio di minoranza». Che potrebbe creare per esempio anche per le elezione del CONI un numero maggiore di grandi elettori (mantenendo come da regole CIO la maggioranza alle federazioni olimpiche) e presumibilmente qualche anticorpo in più per evitare le varie pressioni di queste ore. Convincere 41 persone è un conto, già 400 sarebbe un po’ più complicato.

Tutto questo fa parte (forse) del futuro. Chi vincerà dovrà comunque fare i conti con uno scenario nuovo. Prendere atto che le prerogative del CONI si sono ristrette dopo la riforma, ma trovare il modo per rilanciare una nuova identità. Dopo cene e notti insonni, bisognerà pensarci.

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