«Se domani sono io, se domani non torno, mamma distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima». Condivise sui social, scritte sui cartelli alle manifestazioni, pronunciate dalla sorella Elena Cecchettin in televisione: dal femminicidio di Giulia Cecchettin queste frasi sono diventate virali. Note in ambiente femminista, sono tratte da un testo scritto sei anni fa dall’architetta e attivista femminista peruviana Cristina Torres-Cáceres. È una poesia, una lettera alla propria madre che ricorda i nomi di tante figlie come lei, tutte assassinate in modi terribili a prescindere dall’età, da com’erano vestite o da dove si trovavano. Per le donne, la violenza fino alla morte è una possibilità tangibile e imprevedibile con cui la società costringe a convivere.

Eppure a creare un legame - dal Perù all’Italia, dal Messico al Regno Unito - più che la paura è la ricerca di parole di rabbia e dolore che portino alla lotta. Torres-Cáceres racconta che la sua poesia continua a risuonare in diversi luoghi del mondo, ogni tanto qualcuno la contatta per dirle che è diventata virale: un’altra donna non è più tornata. Questa volta le email e i messaggi le sono arrivati dall’Italia.

Ha scritto questa poesia nel 2017, cosa l’ha spinta a farlo?

C’era appena stato in Messico il femminicidio di Mara Castilla, uccisa a 19 anni da un conducente delle auto a noleggio Cabify ed ha avuto un fortissimo impatto su di me. Usavo spesso Uber e mi sembrava che fosse uno dei pochi mezzi di trasporto sicuri per noi donne. Il suo caso è diventato virale e ha raggiunto rapidamente il mio Paese, dove conducenti Uber avevano già ricevuto denunce di molestie. Oltre a Mara, c'erano diverse donne scomparse che la polizia non stava cercando attivamente e donne assassinate, spesso più criticate dei loro stessi assassini. La situazione delle donne in Perù è sempre stata estremamente difficile.

Nel testo si rivolge a sua madre.

Avevo letto il post di una ragazza che chiedeva a sua madre, se le fosse successo qualcosa, di piangerla, di ricordarla, ma di non intraprendere azioni concrete. Ho pensato a mia madre, così fiera e battagliera: avrebbe dato fuoco al mondo se mi fosse successo qualcosa. Ho pensato: «Le direi di stare zitta? No, non potrei mai. Lascerei che gridasse fino a perdere la voce, se questo potesse darle forza». Ho scritto la poesia pensando a lei perché so che davvero potrei essere io la prossima.

Com’è diventata virale?

L'ho pubblicato sulla mia bacheca Facebook e l'ho condivisa in un gruppo femminista chiuso chiamato "Las Respondonas", molte ragazze hanno iniziato a condividerla e mi hanno scritto per dirmi quanto ci si identificassero. Dopo alcuni mesi, hanno iniziato ad arrivarmi foto e post da tutta l'America Latina. Ho trovato video di ragazze che la recitavano, su Pinterest qualcuno ha creato un post molto popolare e ho visto frasi della poesia stampate sugli abiti delle ballerine femministe di danza tradizionale boliviana. Ne ho completamente perso le tracce, è arrivata più lontano di quanto avrei mai potuto immaginare.

Perché, secondo lei?

Tutte abbiamo subìto qualche forma di violenza che ci ha spinte al limite e la prima cosa che ci viene in mente sono le nostre madri, i nostri padri e il vuoto e il dolore che potremmo lasciare in chi rimane. Avere qualcosa che ti permetta di percepire la fine, se ti dovesse succedere qualcosa, è ciò che rende quel testo così significativo.

Come si sente a sapere che ancora oggi le sue parole vengono fatte proprie dalle donne di tutto il mondo?

In conflitto. Non mi considero una poeta, scrivo cose come le sento e le penso. Davvero mai avrei immaginato di poter diventare la voce anche di una sola persona diversa da me. Ma come puoi sentirti orgogliosa sapendo che qualcosa di così duro e straziante è così profondamente sentito e che così tante donne ci si identificano? Ogni volta che torno a sentir parlare della poesia, qualcosa si spezza dentro di me perché significa che ce ne hanno portata via un’altra. Per quanto ancora continueremo a piangerle con questa poesia? Starò davvero bene il giorno in cui nessuno dovrà più usarla, il giorno in cui ci sarà davvero l’ultima. Nel frattempo non dirò mai di non condividerla: usatela come ritenete opportuno, per piangere, per urlare, per soffrire ad alta voce o in silenzio. Non è solo mia, appartiene a tutte le persone che ci si identificano.

C'è qualcosa di potente ma anche di estremamente tragico nel modo in cui le donne vivono traumi così simili in diverse parti del mondo.

Decisamente, e penso sia qualcosa che sperimentiamo tutte, ad esempio alle marce femministe. È bello sentirsi circondate da tante donne piene di forza, ma fa male rendersi conto che hanno tutte attraversato eventi traumatici che le hanno portate lì e che ce ne sono tante altre che li stanno vivendo in quel momento. Il fatto che Elena abbia condiviso la poesia mi ha spezzato il cuore particolarmente. Ho anch'io una sorella e pensavo anche a lei quando ho scritto quelle parole. Forse è presuntuoso da parte mia cercare di descrivere o entrare in empatia con il suo dolore, ma penso di poter capire cosa le sta succedendo e fa parte di questo aspetto tragico e potente di essere donne e di nascere esposte alla possibilità della violenza.

La sua poesia, ma anche gli slogan, le canzoni cantate e urlate nelle piazze. Che valore hanno per il movimento femminista?

Veniamo educate a stare zitte, tranquille, a non emergere troppo, a non esplicitare quello che sentiamo. Quando finalmente troviamo il modo di esprimere ciò che proviamo, lo facciamo nostro, lo dobbiamo urlare. Penso che sia il modo migliore per esprimerci attualmente. Non possiamo continuare a stendere striscioni e camminare mano nella mano, chiedendo gentilmente di smetterla di ucciderci. Dobbiamo andare là fuori ed esigere ciò che ci spetta di diritto.

LA POESIA
 

Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l'alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima.

© Riproduzione riservata