È tempo di andare. Tra pochi minuti oltre un milione di persone si riverserà nell'unica arteria disponibile per tornare nel centro della capitale. Pioviggina, l’umidità è insopportabile. Maidul ci accompagna dalla sua capanna di mattoni e lamiera, nascosta nella fauna tropicale, lungo il sentiero fangoso che porta alla strada principale e alla macchina. Il figlio di un anno in braccio, un’altra di quattro che lo segue incuriosita passo passo, Maidul ci saluta con ottimismo. Parla italiano, anche se lo sta dimenticando: era arrivato a Roma nel 2012 con il decreto flussi, ma è tornato tre anni dopo, caduto nell’irregolarità perché l’azienda che doveva assumerlo non esisteva, e sfinito dal lavoro di lavavetri a Roma, sulla trafficatissima via Nomentana.

Siamo a pochi minuti da Gazipur, città industriale a una ventina di chilometri da Dacca. Un sobborgo che conta da solo gli stessi abitanti di Roma: 3,5 milioni di persone, alle quali di giorno si aggiunge almeno un altro milione di lavoratori che producono jeans e magliette per l'Occidente. Dalle 17, quando chiudono le fabbriche, si possono trascorrere anche cinque ore imbottigliati nel traffico per tornare in una città, Dacca, che di abitanti ne fa circa 15 milioni. Gazipur è il centro del Made in Bangladesh, il primo pilastro economico nazionale.

Made in Bangladesh

Potenza tessile mondiale seconda solo alla Cina, il paese esporta quasi 38 miliardi di dollari di vestiti all'anno, 1,77 miliardi verso l’Italia, che rappresenta uno dei mercati europei più importanti.

La "merce" più preziosa che esporta il Bangladesh, però, è la manodopera. Con circa due milioni di persone che ogni anno entrano in età lavorativa, la scarsità di impieghi e oltre un terzo della popolazione che vive in povertà, in media 800.000 persone all'anno migrano in cerca di fortuna. Il vero pilastro dell'economia bengalese sono le rimesse, i soldi mandati a casa da chi lavora all’estero, che ammontavano nel 2024 a 27 miliardi di dollari, 1,1 miliardi solo dall’Italia.

Nonostante tutto, anche Maidul ne mandava di soldi quando viveva a Roma. Per un periodo ha lavorato come benzinaio, 800 euro presso una pompa a Ponte Galeria e un capannone dove poteva anche dormire.

«Andrà meglio, parlo la lingua e non c'è più la crisi economica che c'era in quegli anni», spiega. Nel 2023 ha fatto nuovamente richiesta tramite i flussi, ha ricevuto il nullaosta e sta aspettando da due anni l'appuntamento per il visto all'Ambasciata italiana di Dacca. «Ho pagato oltre 7mila euro a un’agenzia qua che mi ha messo in contatto con un datore di lavoro in Italia, altrettanti dovrò darne quando mi arriverà il visto», spiega Maidul che per finanziare l’impresa ha venduto il negozio di vestiti in cui ha investito in questi anni.

Meloni congela i visti

Non ha però fatto i conti con le modifiche alla legge sui flussi, apportate dal governo Meloni con il decreto Cutro nel 2024, che hanno congelato i nullaosta già rilasciati nel periodo 2023/2024 a cittadini di Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka per i quali il visto non era ancora stato emesso. Solo a Dacca, insieme a Maidul, altre 34.958 persone hanno consegnato i documenti e il passaporto all'Ambasciata, ma non sono mai state chiamate al colloquio per il visto. Alla base del blocco c'era un problema burocratico: le questure non riuscivano a verificare la veridicità dei documenti entro i 60 giorni previsti e il nullaosta veniva dato a prescindere, con il sistema del silenzio assenso. Adesso i controlli sono più seri.

Nel frattempo in Italia centinaia di aziende sono costrette a tagliare rami della produzione, gli alberghi accorciano la stagione turistica, i badanti scarseggiano e, se ci sono, lavorano in nero. Il filo conduttore è la mancanza di lavoratori. L’inverno demografico, infatti, è già realtà.

Eurostat prevede che la popolazione in età lavorativa si ridurrà in Italia di tre milioni di unità nei prossimi dieci anni. Per porre rimedio, quasi tutti i governi europei stanno aumentando le quote per l'immigrazione per lavoro. Con il decreto flussi in Italia si è passati dai 450mila previsti per il triennio 2023-2025 ai quasi 500mila del 2026-2028. Come emerso dal report della campagna Ero Straniero, però, solo una piccola percentuale delle quote previste negli anni passati si è trasformata in un permesso di soggiorno: il 13 per cento nel 2023 e il 7,8 per cento nel 2024.

L'assurdità del click day e la lentezza burocratica rendono impossibile l'incontro tra domanda e offerta. I migranti economici, che pagano migliaia di euro a intermediari per arrivare, finiscono troppo facilmente nell'irregolarità ed esposti allo sfruttamento. E l'Italia, con la sua fiorente economia sommersa e i suoi controlli blandi, diventa sempre più l'approdo secondario per lavoratori entrati legalmente in altri paesi europei. Che vanno a volte a coprire proprio quegli impieghi rimasti scoperti con il fallimento del decreto flussi.

Corridoio Romania

Rubel, un ragazzo bengalese di 24 anni, è atterrato a Bucarest pagando 11.000 euro a un'agenzia: una volta lì, gli hanno offerto un lavoro in nero in edilizia. «Dodici ore al giorno sette giorni su sette. Ho rifiutato, ma per ottenere il nullaosta, necessario nel sistema romeno per cercare un altro lavoro, ho dovuto pagare altri 300 euro», racconta Rubel, che ha preferito raggiungere un cugino in Italia con un volo, ora che la Romania è dentro l’area Schengen.

«Se avessi trovato il lavoro per cui ero stato selezionato sarei rimasto volentieri», dice. Oggi lavora come lavapiatti in nero nel centro di Roma e ha fatto richiesta d’asilo. Una procedura che può richiedere anni, e che nel caso dei cittadini bengalesi si conclude quasi certamente con un nulla di fatto.

La Romania è diventata una porta privilegiata di accesso all'Unione Europea per i migranti economici asiatici, grazie all'incremento delle quote per lavoro passate da 30mila a 100mila l'anno dal 2022, sempre nel tentativo di reperire manodopera. Paesi come Nepal, Sri Lanka, Bangladesh e India sono i primi per partenze. Ma anche qui organizzazioni criminali e intermediari si sono fiondate sul business: il lavoratore paga migliaia di euro e scopre, una volta arrivato, che l'impiego non esiste o che le condizioni sono inaccettabili. La migrazione secondaria dalla Romania verso l'Italia è confermata dai dati Eurostat. Da quando la Romania ha aperto a lavoratori extra Ue, nel 2020, le richieste di presa in carico e ripresa in carico da parte italiana, secondo il regolamento di Dublino III, sono aumentate da poche decine a 1.538 nel 2023 e nel 2024.

A fronte di diffuse illegalità nei sistemi europei legali di reclutamento, l’alternativa per la forza lavoro bengalese resta la Libia, dove non ci sono restrizioni di visti, e la traversata del Mediterraneo. Delle trentamila persone che ci hanno provato nella prima metà del 2025, circa diecimila venivano dal Bangladesh. Maidul ha preferito fare nuovamente richiesta per l’Italia, conosce il paese, la lingua ma non ha trovato il contatto di un’azienda, se non pagando. Sarà difficile che riesca a raggiungere nuovamente Roma, impossibile che un eventuale rapporto di lavoro si trasformi in una permanenza regolare.

L’ambasciata

«Grazie alle nuove disposizioni il sistema di silenzio assenso è stato abolito» spiega Antonio Alessandro, ambasciatore italiano a Dacca, sede diplomatica finita quest’anno sotto la lente degli investigatori italiani proprio per presunti casi di corruzione legati al rilascio dei visti, «abbiamo smaltito rapidamente le domande del 2025 senza alcun arretrato». Discorso diverso per quelle del 2023 e 2024 che sono invece tornate in esame alle questure, senza limiti di tempo. Il problema resta nella modalità di reclutamento tipica del decreto flussi, non solo per quest’area del mondo.

L'Italia non dispone infatti di un elenco di agenzie certificate a cui i datori di lavoro debbano rivolgersi - come fanno invece altri paesi - perché il sistema è basato sulla decisione del datore di lavoro di chiedere il nullaosta per uno specifico lavoratore. Ed è proprio qui che si annidano truffe che danneggiano sia i migranti sia le aziende in cerca di manodopera.

Questo articolo è stato realizzato grazie al supporto di IJ4EU e Journalismfund Europe.

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