Il 21 agosto si è conclusa la procedura della cosiddetta “mini call veloce”, ossia la possibilità per gli insegnanti di sostegno con titolo abilitante (Tfa) inseriti nelle graduatorie provinciali per le supplenze di ottenere un posto a tempo indeterminato, senza concorso, in una provincia diversa da quella di inserimento. Il dato più allarmante che emerge è la forte disparità territoriale: i posti disponibili si concentrano in cinque regioni del Nord (con poche eccezioni in Toscana e Sardegna).

Ma ciò che colpisce ancora di più è la ripartizione per ordine di scuola: il 94 per cento dei posti è destinato alla scuola primaria, il 5,5 per cento alla scuola dell’infanzia e 0,5 per cento alla scuola secondaria di primo grado. Per la scuola secondaria di secondo grado, invece, non è stato messo a disposizione nemmeno un posto. Una situazione paradossale se si considera che, come denunciato più volte dal Comitato docenti di sostegno, in province come Roma e Napoli molti insegnanti abilitati per la secondaria di secondo grado rischiano addirittura di rimanere senza lavoro per un intero anno scolastico, rendendo impossibile aspirare a un contratto stabile.

Alla radice del problema vi è soprattutto la distribuzione dei posti di specializzazione per i docenti di sostegno, che non rispecchia i reali bisogni del sistema scolastico. Per l’anno accademico 2025-26, ad esempio, sono stati autorizzati dal Ministero circa 14 mila posti per conseguire la specializzazione per lavorare nella scuola secondaria di secondo grado, contro meno di 9mila per la scuola primaria. La sproporzione è ancora più evidente se confrontata con il 2021: allora i posti offerti per la secondaria erano circa settemila cinquecento, solo duemila in più rispetto a quelli previsti per la primaria.

Se in quattro anni si è arrivati ad avere insegnanti di sostegno abilitati in esubero nella scuola secondaria e introvabili nella scuola primaria, sorge spontaneo chiedersi perché la forbice si allarghi e non avvenga un cambiamento di rotta che assecondi le tendenze demografiche e territoriali.

Quasi cinquanta università pubbliche e private attiveranno i percorsi TFA da settembre: tutte hanno un’offerta che prevede la possibilità di specializzarsi per la scuola secondaria, ma in quattordici non sono contemplati percorsi per la scuola primaria o dell’infanzia. Di fatto è impossibile specializzarsi per i più piccoli in Molise e in Trentino Alto Adige, mentre in Friuli, Sardegna o Emilia Romagna la scelta si riduce ad una sola università con numeri bassissimi (dai 20 ai 40 studenti massimo per ogni corso).

Questa scelta politica e organizzativa ha prodotto effetti immediatamente visibili nella mini call veloce: in Lombardia, dei 3.653 posti disponibili nella scuola primaria hanno fatto domanda solo 483 aspiranti; in Emilia-Romagna, a fronte di 509 cattedre vacanti, le domande presentate sono state appena 303. Il risultato è un sistema che, ancora una volta, non risponde alle esigenze reali della scuola italiana.

La dottoressa Maria Teresa Pace, che ricopre il ruolo di "funzione strumentale per l’inclusione” presso l’istituto comprensivo Fermi Ferrari di Parma ed ha collaborato come tutor al percorso di Tfa dell’università di Parma, commenta così i dati di questi giorni: «La mini call veloce ha svelato una disparità inaccettabile tra territori e una totale mancanza di programmazione che pesa principalmente sulle spalle delle famiglie con figli disabili. Invece di garantire continuità e tutele, la procedura ha prodotto caos: alcuni docenti abilitati, spesso con anni di esperienza, vengono esclusi perché non specializzati per il grado necessario. Ne pagano però il prezzo più alto le famiglie: i loro figli restano senza il sostegno cruciale, in un momento in cui la presenza di un insegnante dedicato è garantita anche dalla normativa dell’inclusione».

La carenza di docenti di sostegno abilitati per la primaria fa sì che i posti rimasti vacanti vengano assegnati tramite supplenze, attingendo a graduatorie già esigue e poi, in extremis, agli interpelli: le scuole scelgono docenti senza titolo specifico ma ritenuti idonei. Il tutto richiede giorni, se non settimane, a lezioni già iniziate.

«Non è semplicemente una falla procedurale – continua Pace – è una grave violazione del diritto alla cittadinanza attiva, all’istruzione, all’uguaglianza. Immaginate genitori costretti a vedere i loro figli abbandonati in aula, incapaci di partecipare davvero alle lezioni; bambini privi di supporto educativo e relazionale, che rischiano l'isolamento, mentre i tempi burocratici travolgono il loro diritto allo studio».

La mini call veloce ha reso evidente una frattura strutturale: troppi docenti in un ordine di scuola e carenze drammatiche in un altro. Senza una revisione del sistema di specializzazione, l’inclusione resterà solo un principio sulla carta, ancora una volta.

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