«L’Ucraina è stata aggredita e invasa». Come già accaduto in passato con la Cina e il silenzio vaticano sui campi uiguri, anche stavolta occorre andare all’ultimissima prefazione scritta da papa Francesco a esergo di un’antologia di scritti (Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace edito da Solferino e Libreria editrice vaticana) per leggere una sua chiara invettiva contro l’aggressione dell’Ucraina architettata da Vladimir Putin da fine febbraio.

Occorre, però, anche chiedersi se in questo caso Francesco stia parlando come capo politico o pastore, dal momento che all’iniziativa spirituale di consacrare i due paesi belligeranti al Cuore immacolato di Maria, fa da contraltare il fallimento della mediazione politica della Santa Sede nel primo conflitto che sta scuotendo l’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Una tregua olimpica?

Dati i drammatici presupposti, da Bruxelles il presidente della Commissione delle conferenze episcopali europee, il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, insieme al reverendo Christian Krieger, presidente della Conferenza delle chiese europee, ha inviato una lettera ai leader di stato Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, chiedendo un cessate il fuoco dal 17 al 24 aprile, quando cadono rispettivamente la Pasqua occidentale e quella orientale.

È quanto ha chiesto il papa la scorsa domenica delle Palme: «Si ripongano le armi, si inizi una tregua pasquale. Ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no. Una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente».

Intanto la Santa Sede sta lavorando a una mediazione, ma fonti vaticane palesano una frustrazione cronica dall’inizio del conflitto, oggi neppure troppo velata, per di più esacerbata dai passi di un papa che pensa come pastore ma agisce irrimediabilmente da politico: in vista di un incontro con il patriarca di Mosca Kirill, come si potrà togliere l’aspetto politico da eventuali dichiarazioni congiunte?

Lo scandalo della Croce

Per lo stesso motivo, infatti, la via Crucis è stata irrimediabilmente politicizzata quando si è deciso di affidare la XIII stazione a una famiglia russa e ucraina – secondo il libretto diffuso dalla Sala stampa vaticana – scatenando il malcontento del popolo ucraino. 

L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, via Twitter si era detto perplesso dell’iniziativa, pensando se non fosse il caso di escludere la famiglia russa. Nessuna replica della Santa Sede, che però nel frattempo, malgrado la scelta dei crociferi seguisse il fil rouge dell’incontro mondiale delle famiglie di giugno, ha sostituito le famiglie con due donne, rispettivamente di Bucha e Mosca, Albina e Irina.

Ne ha parlato in maniera ampiamente diffusa il gesuita Antonio Spadaro prima sul Manifesto, poi rileggendone il testo a più riprese sui canali Rai: «Il papa, mettendo insieme sotto la croce queste due donne che si stringono la mano nel toccare il legno insanguinato della croce, svolge il suo compito di pastore cattolico, cioè universale. Così salva la cattolicità della sua fede e della sua chiesa».

Né Russia né Ucraina

La difesa a mezzo stampa di Bergoglio non frena, però, lo scisma della chiesa ortodossa. Due giorni fa 400 sacerdoti della chiesa ucraina sotto la giurisdizione del patriarcato di Mosca hanno fatto appello al Consiglio dei primati delle antiche chiese orientali, chiedendo una condanna netta del patriarca Kirill che, benedicendo la guerra condotta da Putin, si sarebbe, di fatto, discostato dall’insegnamento ortodosso, sostenendo in nome della croce crimini di guerra.

Ma Oltretevere il mantra è la prudenza, al punto tale che non si parla mai espressamente di Putin, né di Mosca, ora neppure di Ucraina: «Cristo è crocifisso lì, oggi» ha detto il papa domenica scorsa.

Così il nemico diventa la guerra, un mostro apocalittico senza nome né luogo, al punto tale che risulta difficile capire se quella vaticana sia prudenza o strategia politica. «La croce di Abele e quella di Caino sono due croci diverse. Non possono essere unite, perché chiunque voglia seguire Gesù deve prendere la propria croce. Gli ucraini la stanno già portando. I russi devono ancora caricarsi la loro croce» ha tuonato dall’Università Cattolica in Ucraina il vice-rettore Myroslav Marynovych. Il papa, intanto, sceglie il silenzio.

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