Dopo una settimana di manifestazione e dopo lo sciopero generale di martedì, una quiete nervosa è tornata a calare sulla Francia. Alcuni irriducibili ferrovieri nella regione di Parigi continuano a incrociare le braccia al grido di «mai più salari sotto i duemila euro!» così come i loro compagni delle raffinerie, o almeno quelli che non sono stati precettati per decisione del governo.

La grande ondata è passata, ma senza una vittoria chiara né per il presidente Emmanuel Macron né per la sua opposizione. È stata una prova generale della vera battaglia, quella che si combatterà sulla draconiana riforma delle pensioni che Macron vuol far passare il prima possibile. E se il presidente francese è più che pronto ad affrontare i sindacati e l’opposizione, in molti si chiedono cosa succederà se l’inverno vedrà, accanto alle proteste dei sindacati, anche il ritorno di un movimento simile ai Gilet gialli. E anche cosa accadrà fuori dalla Francia, se queste proteste dovessero innescarne di simili nel resto d’Europa.

Scioperi rituali

Manifestazioni e scioperi all’inizio dell’autunno sono una tradizione francese. La chiamano rentrée socialle, il periodo di ritorno dalle ferie in cui, quasi per consuetudine, i lavoratori francesi ne approfittano per ricordare ai “padroni” le loro richieste. «I francesi sanno ancora scioperare», dice Francesca Barca, corrispondente della rivista Il mulino da Parigi e collaboratrice del sito economico Voxeurop.

Fino a questa settimana, la rentrée era stata una questione settoriale. Total, il gigante francese degli idrocarburi, ha ottenuto enormi profitti grazie all’aumento dei prezzi dell’energia. Quando il governo ha deciso di non tassarli, i lavoratori sono entrati in sciopero per chiedere una fetta della torta.

Lo sciopero ha paralizzato un terzo dei distributori di benzina del paese e ha avuto un impatto forte, soprattutto lontano da Parigi. «La Francia ha zone profondamente rurali, dove l’uso dei mezzi propri è fondamentale», dice Barca.

La questione è diventata nazionale soltanto quando il governo ha deciso, a sorpresa, di adottare la linea dura precettando parte dei lavoratori. I grandi sindacati hanno preso la decisione come un attacco diretto alla libertà di sciopero e hanno proclamato lo sciopero generale per martedì 18 ottobre, trasformando una mobilitazione di settore in un appello generale per l’aumento dei salari e contro il carovita.

Dopo settimane di fila ai distributori, i sondaggi mostravano che i francesi iniziavano ad essere stanchi delle proteste. Ma la mossa del governo ha dato nuova energia agli scontenti. «Salario e carovita sono temi che toccano tutti», dice Barca. L’opinione pubblica appare più disposta ad accogliere gli argomenti dei movimenti sociali in questo caso: «Tra l’altro quando la riforma delle pensioni verrà effettivamente discussa, vedremo cosa succederà».

Una tempesta perfetta

«Ci sono due dinamiche che si sovrappongono in modo imprevisto», concorda Ulysse Lojkine, ricercatore alla Paris school of economics. Da un lato le consuete proteste autunnali dei sindacati, il cui messaggio risuona più del solito a causa del generale aumento del costo della vita. Dall’altro la battaglia che si prepara contro la riforma delle pensioni, il tema centrale della manifestazione di domenica organizzata a Parigi dal leader della coalizione di sinistra Nupes Jean-Luc Melénchon. 

Già in passato i tentativi di riforma avevano causato ampie proteste, ma questa volta la mobilitazione potrebbe essere ancora più vasta. «Le precedenti riforme erano molto tecniche e difficili da comprendere. Questa è una riforma più tradizionale e molto brutale: aumenta di tre anni l’età pensionabile, da 62 a 65 anni. E Macron vuole implementarla in fretta. Per il termine del suo mandato, nel 2027, vuole che l’età di pensione sia arrivata ad almeno 64 anni», spiega Lojkine. Secondo i sondaggi, tra il 60 e il 70 per cento dei francesi è contrario alla riforma.

In questo clima da tempesta perfetta, Lojkine e altri analisti trovano difficile comprendere la decisione di Macron di esasperare il conflitto con i sindacati, nato dall’ordine di precettazione dei lavoratori delle raffinerie. Anche se nel breve termine il risultato è stato quello di spegnere le proteste e di ottenere una vittoria tattica, sul medio periodo i risultati non sono altrettanto garantiti.

Il ritorno dei Gilet gialli

Lo scenario peggiore per il governo francese è chiaro a tutti gli osservatori: l’unione delle proteste dei sindacati per gli aumenti salariali, quello della sinistra e dell’opposizione contro l’impopolare riforma delle pensioni con un ritorno di un movimento simile a quello Gilet gialli dell’inverno 2018-19. All’epoca, la causa scatenante era stato un aumento dell’imposta sui carburanti che oggi impallidisce di fronte all’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione.

«Macron è preparato ad affrontare i sindacati e l’opposizione e con l’aiuto della destra può far passare la riforma delle pensioni all’Assemblea nazionale», dice Lojkine. Ma un movimento come quello dei Gilet gialli rischia di destabilizzarlo davvero. «Non è pronto ad affrontare una protesta quasi insurrezionale della classe media fuori dai grandi centri urbani».

Per ora si tratta di speculazioni. I Gilet gialli sono spariti senza lasciare traccia da tre anni e anche i sindacati per ora sembrano se non battuti, almeno ridimensionati. Macron, inoltre, ha dalla sua un’economia che va meglio del resto d’Europa, con un’inflazione che è la metà di quella media dell’Unione e un Pil previsto in crescita all’uno per cento, mentre Italia e Germania vanno verso la recessione.

Il futuro governo italiano, in particolare, farebbe bene a tenere d’occhio quel che accade in Francia. Con le possibilità in politica economica limitate a causa del debito pubblico e dalle promesse di rigore e attenzione ai conti, unita ad una coalizione che già si mostra fragile il rischio è basti poco a far venire giù tutto.

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