Scontri a Milano e a Bologna, agenti feriti. Meloni: «Immagini indegne». Schlein: «A migliaia hanno protestato pacificamente». Per le strade lavoratori, studenti e insegnanti a denunciare l’immobilismo del governo di fronte al massacro della Striscia
Medici, insegnanti, studenti e lavoratori di ogni categoria hanno invaso le più importanti piazze d’Italia per chiedere la «fine del genocidio» a Gaza e denunciare l’immobilismo del governo. Tra la capitale, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Napoli e tanti altri centri urbani (più di 80) hanno sfilato centinaia di migliaia di persone. Cinquecentomila secondo quanto riferiscono dall’Unione sindacale di base (Usb), organizzatore dello sciopero generale. La più grande manifestazione in favore della Palestina dal 7 ottobre 2023. «Oggi 500mila persone sono scese in piazza in 65 città – ha detto Francesco Staccioli del direttivo Usb – si sono bloccati i principali porti, si è fermato il 90 per cento del trasporto pubblico e il 50 per cento del personale delle ferrovie».
Un pezzo d’Italia ha risposto all’appello nonostante le grandi sigle sindacali, a partire dalla Cgil, e i partiti non abbiano aderito alla grande giornata di mobilitazione. Sintomo del vuoto di rappresentanza presente nel paese e della frustrazione condivisa dalla massa contro il massacro di civili nella Striscia.
Ma gli intenti pacifici della giornata sono stati macchiati dagli scontri in alcune città italiane subito usati dalla maggioranza di centrodestra il pretesto per attaccare la partecipazione democratica vista in tutto il paese. A dare il là sono stati gli scontri a Milano con un gruppo che ha cercato di entrare nella Stazione centrale: 60 i feriti tra gli agenti (secondo le autorità), una decina i fermi.
A Bologna c’è chi ha occupato la A14 e la tangenziale. Per sgomberare il blocco, la polizia ha usato cariche e lacrimogeni. Anche qui otto persone fermate. A Venezia, il corteo composto da più di 20mila persone si è concluso nel Porto commerciale di Marghera: «Le merci non partono, è giunto il momento di dire stop al genocidio. Qui inizia ufficialmente il blocco».
Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha usato i fatti di Milano per rivendicare lo sgombero del Leoncavallo avvenuto nelle scorse settimane: «Come al solito, gli antagonisti dei centri sociali, eredi di quel Leoncavallo che la sinistra difende a spada tratta, scendono in piazza nascondendosi dietro finti messaggi di pace quando il loro vero obiettivo è aggredire violentemente le forze dell'ordine e compiere atti di vandalismo».
Immediata anche la reazione della premier Giorgia Meloni che dopo l’uccisione dell’attivista ultraconservatore Charlie Kirk ha alzato i toni della dialettica politica. «Sedicenti “pro-Pal”, sedicenti “antifà”, sedicenti “pacifisti” che devastano la stazione e generano scontri con le forze dell’ordine. Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza» ha detto la premier. Un modo per non vedere la richiesta in massa di introduzione di sanzioni nei confronti del governo israeliano.
Da New York il monito del capo della Farnesina, Antonio Tajani: «In nome della Palestina non si può fare i delinquenti».
Sul caso si è espressa anche Elly Schlein che ha condannato le violenze ma ha tenuto il punto: «Non possiamo accettare però di vedere che la violenza di qualche centinaio di manifestanti che hanno colpito la stazione copra quelle decine di migliaia di manifestanti che pacificamente oggi in tutto il paese hanno manifestato per Gaza».
La piazza della capitale
A Roma il corteo per la Palestina è un corpo eterogeneo, colorata, pacifica e di tutte le età. Secondo l’Usb c’erano centomila persone in piazza, per la Questura erano oltre 50mila. È il gioco dei numeri diventato prassi. Dalle periferie romane i movimenti studenteschi di licei e università si sono organizzati per arrivare in Piazza dei Cinquecento da dove poi è partito il corteo. Da tempo non si vedeva una mobilitazione simile.
«Blocchiamo tutto», era lo slogan di partenza e così è stato per lunghe ore. La congestione delle arterie principali della capitale si è sciolta solo nelle tarde ore del pomeriggio.
In testa al corteo anche una rappresentanza dei Vigili del Fuoco. «Sappiamo benissimo qual è la definizione di bambini, li tiriamo fuori dalle case e dalle macchine, a volte anche morti. Sappiamo anche cosa significa persona. Oggi in Palestina la dignità delle persone viene calpestata», dice Paolo Cergnar. «Siamo alla testa di questo corte come Vigili del Fuoco, cosa che non accadeva da anni. Non possiamo essere complici di un riarmo che sottrae soldi alle economie, alla ricerca, all’università e ai trasporti. Uno stato invece di investire in armi dovrebbe investire nel benessere dei cittadini».
Dalla testa alla coda sono tante le sigle e i movimenti che hanno condannato l’immobilismo del governo e non solo. Critiche sono state rivolte anche alle opposizioni assenti al corteo. «Medici senza frontiere è in piazza per un messaggio semplice. Noi medici e operatori umanitari non possiamo fermare un genocidio. Possono farlo i leader mondiali e le istituzioni. Chiediamo ai governi di adottare tutte le misure politiche ed economiche per porre fine a questo genocidio», dice Marco Bertotto, direttore dei programmi di Msf. L’ong paga a caro prezzo il suo impegno nella Striscia con 13 operatori uccisi dall’Idf dal 7 ottobre.
Tra un coro e l’altro si sono fatti strada anche i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo. «L’arte non è uno spazio neutrale. Israele fa molto artwashing, usa l’arte come forma di potere e di convincimento. Ci sono infiltrazioni di finanziamenti che provengono dall’industria delle armi e vanno al mondo dell’arte», dice Ilenia di Vogliamo tutt’altro (l’Assemblea dei lavoratori dello spettacolo) ricordando anche la loro lotta contro i tagli del governo nel settore.
La Palestina ha portato in piazza diverse categorie di lavoratori, ognuna con la sua rivendicazione sociale. Appuntamento al 4 ottobre, con la manifestazione nazionale.
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