«Una volta a dicembre, a un nigeriano che aveva l’epilessia, un giovane infermiere aveva dimenticato di dare a questo ragazzo la compressa, la sera prima. Così, la mattina seguente ebbe una crisi epilettica ed inveì contro di me. Davanti alla mia scrivania c’erano i carabinieri. Uno di loro lo prese e gli diede tante di quelle mazzate in faccia. Mai vista una scena del genere».

È il 26 novembre del 2019 e, all’interno del centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio che si trova tra le campagne di Potenza, l’infermiera Arianna Linsalata racconta a un suo collega un episodio che non appare isolato all’interno del Cpr. Già, perché le violenze delle forze dell’ordine, infatti, appaiono quasi una costante nel centro, a leggere le 289 pagine che compongono l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari, Antonello Amodeo, su richiesta della procura lucana guidata da Francesco Curcio.

L’inchiesta ha svelato un sistema di frodi nelle pubbliche forniture a danni del ministero dell’interno e, allo stesso tempo, gli abusi e i maltrattamenti che sarebbero stati commessi nei confronti dei migranti dal personale della struttura e dalle forze dell’ordine. Tanto che i poliziotti hanno dovuto indagare su tre loro colleghi, uno dei quali, Rosario Olivieri, è finito agli arresti domiciliari. La commissaria Paola Lupinacci, responsabile dell’ordine pubblico nel Cpr lucano, invece, è indagata insieme al medico responsabile della struttura, Donato Nozza, perché «agendo con crudeltà, con abuso dei loro poteri, cagionavano un verificabile trauma psichico al cittadino gambiano Lamin Sawaneh, costringendolo con la violenza a subire contro la sua volontà la somministrazione per mano intramuscolare da parte dell’operatrice sanitaria di una fiala del farmaco sedativo valium», si legge nel capo di imputazione. Mentre ciò avveniva, hanno ricostruito i detective lucani: «I militari dell’arma dei carabinieri appartenenti al XII battaglione di Bari in servizio di ordine pubblico sotto il comando della Lupinacci mantenevano il Sawaneh steso per terra all’aperto a torso nudo e piedi nudi, immobilizzato con l’applicazione di fascette di contenimento ai polsi e alle caviglie e la pressione di un piede sulla testa».

«Ricorda episodi di pestaggi di ospiti da parte delle forze di polizia»? ha chiesto durante gli interrogatori uno dei detective della polizia che hanno condotto le indagini all’infermiera del Cpr Valeria Nisi. E Nisi ha risposto così: «c’erano tante situazioni, era un inferno lì dentro, e solo chi si trovava a vivere di persona lo può capire. Di episodi sgradevoli ce ne sono stati tantissimi. Ma c’è un episodio in particolare che non riesco a togliermi dalle orecchie». L’infermiera ha poi raccontato di aver visitato un uomo che presentava contusioni ed ematomi su tutto il corpo, e lamentava dolori alle braccia. «C’erano dei veri e propri segni di manganellate sulla schiena», ha aggiunto Nisi: «furono fatte medicazioni per le ferite sanguinanti, ma le forze dell’ordine mi dissero di non chiamare il 118».

Depistaggi

Tuttavia, secondo la procura di Potenza, vi sarebbero stati anche dei tentativi di depistaggio. L’ispettore di polizia Rosario Olivieri avrebbe tentato di sviare le indagini, redigendo una relazione di servizio poi finita sulla scrivania del questore e del procuratore capo di Potenza, e nella quale si attestava che un uomo tunisino, Ben Check, avrebbe aggredito un’operatrice con un paio di forbici, pur sapendolo innocente. Una relazione che poi è risultata falsa. Come falsa sarebbe la comunicazione di reato inviata alla stessa procura lucana dall’ispettore di polizia Giovanni Capodieci (che per questo è indagato) e in cui veniva riferito di avere acquisito elementi in ordine al fatto che la somministrazione di valium a Lamin Sawaneh era avvenuta con il consenso di questi e per iniziativa del medico Nozza. «Cosa contraria al vero», scrivono i giudici: «atteso che il Sawaneh aveva subito la somministrazione di Valium su espressa richiesta della Lupinacci (n.d.r. commissaria responsabile dell’ordine pubblico del Cpr) mentre era trattenuto a forza all’aperto da militari dell’Arma dei Carabinieri, immobilizzato al suolo con mezzi di contenzione». C’è un altro infermiere, Antonio Romanelli, che nella chat Whatsapp del personale della società Engel che gestiva il Cpr fino al 2022, ha raccontato ai colleghi di aver notato «strane ferite» su un “ospite” che chiedeva il rivotril, il farmaco utilizzato per trattamenti di soggetti con epilessia, ma che nei Cpr italiani viene somministrato regolarmente per stordire i migranti. Secondo Romanelli l’origine delle ferite era dovuta al fatto che «i poliziotti avevano spiegato due cosine al malcapitato ospite». In tutti i casi, l’impressione, a leggere le carte giudiziarie, è che in alcuni casi la violenza esercitata abbia visto il coinvolgimento delle diverse forze dell’ordine. In un passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, rispetto all’episodio della somministrazione forzata di farmaci al cittadino tunisino, Ben Check, gli inquirenti annotano che «le persone sicuramente coinvolte nel trattamento dell’uomo la sera del 30 novembre 2021 erano diverse». E fanno i nomi di un commissario e di un ispettore di polizia, di un luogotenente dei carabinieri; di sei agenti della finanza che erano presenti, invece, scrivono che «non appaiono identificabili a vista poichè sono tutti col volto e con la testa coperti dai berretti e dai colli delle divise».

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