La recente approvazione del Patto europeo su asilo e migrazione ha portato le realtà promotrici del festival Sabir a presentare un decalogo per i candidati alle elezioni europee. Il patto è «un pacchetto di strumenti che avrà implicazioni devastanti sul diritto d’asilo, favorendo detenzioni arbitrarie e violazioni dei diritti fondamentali delle persone migranti, senza fare alcun passo avanti verso il miglioramento del sistema d’asilo europeo», hanno dichiarato i promotori,  Arci, insieme a Caritas Italiana, Acli e Cgil, con la collaborazione di Asgi, Carta di Roma, Ucca, Arcs, A Buon Diritto e Unire.

E hanno chiesto, «ai candidati alle prossime elezioni europee, impegni concreti in tema di immigrazione e diritto d’asilo anche per cambiare la rappresentazione negativa e strumentale del fenomeno dell’immigrazione e puntando all’interesse generale dell’Italia e dell’Ue».

Si è conclusa a Prato, con questo appello, la decima edizione del Festival Sabir, che ha attraversato i temi della lotta contro lo sfruttamento lavorativo delle persone di origine straniera e della cittadinanza, delle prospettive politiche di ingresso e soggiorno, della detenzione e del trattenimento dei cittadini stranieri. E, ancora, della crisi del sistema di accoglienza, del patto europeo su asilo e migrazione e della situazione nella Striscia di Gaza.

La scelta di Prato, spiegano gli organizzatori, è strettamente legata ai temi del festival: città dell’area metropolitana fiorentina, è unica nel quadro nazionale, con una presenza di persone di origine straniera che si aggira intorno al 25 per cento della popolazione residente e la comunità cinese più numerosa d’Italia. Sono infatti 58 mila circa cittadini di origine non italiana su quasi 200 mila persone in totale, e oltre 31mila residenti fanno parte della comunità cinese.

Il Sabir non è però finito con l’ultimo evento in programma a Prato, perché è prevista una seconda parte a Roma, dal 10 al 12 ottobre, con la partecipazione di molteplici movimenti e reti della società civile europea. 

Il decalogo

Dopo l’approvazione del patto Ue, sottolineano i promotori e le promotrici del festival, «il nuovo parlamento si troverà ad affrontare il fenomeno della mobilità umana con strumenti quasi esclusivamente di propaganda, che non consentono di gestire gli ingressi e il soggiorno delle persone». Le politiche degli ultimi anni, che hanno promosso l’esternalizzazione delle frontiere e ostacolato l’attività delle organizzazioni umanitarie e della società civile, indicano una strada di chiusura, di muri, che alimentano razzismo, violenza e morte. 

L’Europa, evidenziano dal festival, deve scegliere «se cambiare direzione e avviare una nuova stagione di riforme volta a gestire concretamente l’immigrazione in maniera giusta ed efficace, rispettosa dei diritti fondamentali delle persone».

Nei dieci punti individuati al termine della rassegna si chiede quindi di garantire il monitoraggio e l’applicazione dei diritti fondamentali, assicurati dalla normativa internazionale ed europea, introdurre norme che consentano l’accesso legale per lavoro e incrementare la possibilità di entrare in modo sicuro nell’Ue in ricerca di protezione. E, ancora, promuovere forme di regolarizzazione ad personam, modificare le disposizioni sul paese di primo approdo e consentire alle persone spostarsi in base ai legami familiari e amicali.

Si chiede poi di mettere fine alle forme di detenzione amministrativa e alle forme di trattenimento non solo nei paesi dell’Unione europea, ma anche ai suoi confini, e cancellare ogni forma di esternalizzazione delle frontiere. 

Serve, sottolineano infine, una missione di ricerca e soccorso europea nel Mediterraneo e una nuova forma di cittadinanza europea, che consenta ai bambini e alle bambine nate e cresciute nell’Ue di essere europei ed europee. E, infine, occorre che dare voce e protagonismo alle persone con background migratorio, in un’ottica di co-costruzione di nuove politiche migratorie attente e rispettose dei diritti.

Vie di accesso legali e sicure

«Servono da subito vie di accesso sicure e legali per le persone in cerca di protezione», ha ricordato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci nazionale, «aumentando la platea di beneficiari dei corridoi umanitari, delle evacuazioni, del reinsediamento e degli inviti onerosi, come dimostrato, da ultimo, dall’ennesima tragedia che si è consumata nell’Atlantico con un’imbarcazione alla deriva per tre mesi».

Nel 2024 il numero delle persone costrette ad abbandonare il proprio paese salirà a 130 milioni. Nel 2023, l’Onu ha registrato il più alto numero annuale di emergenze dichiarate degli ultimi 10 anni. Nello stesso anno, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni, sono almeno 8.565 persone ad aver perso la vita sulle rotte migratorie di tutto il mondo. L’anno più letale.

Nonostante questi dati, sottolineano, le politiche europee continuano a non occuparsi di percorsi migratori sicuri e regolari accessibili a tutti.

Sono migliaia, ricordano, le persone che tentano di raggiungere le nostre coste in condizioni di scarsa sicurezza, rischiando abusi, violenze, torture e, troppo spesso, la morte. Nel 2023 si è registrato un tragico aumento del 20 per cento rispetto al 2022, evidenziando l’urgente necessità di agire per prevenire ulteriori perdite di vite umane.

Quella del Mediterraneo continua a essere la rotta più letale per le persone che migrano, con almeno 3.129 morti e dispersi. Si tratta del più alto numero di vittime registrato dal 2017.

«Cessate il fuoco!»

Una parte del festival è stata dedicata a Gaza, con la presenza di molte realtà solidali. Nella Striscia si contano oltre 34mila morti e più di 76mila feriti dall’inizio dell’offensiva israeliana. «Ma la comunità internazionale non sembra avere la forza di imporre una soluzione che passi dal cessate il fuoco permanente», hanno sottolineato al festival, precisando che la recente risoluzione approvata all’Onu è stata largamente disattesa da Israele.

«Fermare non solo il genocidio a Gaza e i pogrom dei coloni israeliani nella Cisgiordania, dobbiamo fare tutto il possibile per affermare il diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese e impedire a Israele di provocare l’Iran e la sovranità dei paesi limitrofi, violando ogni diritto internazionale», ha affermato Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina.

E il blocco dell’intervento umanitario, ha sottolineato poi la presidente di Aoi, Silvia Stilli, nella Striscia «è una grave responsabilità che la politica si prende, di fronte peraltro al rischio di regionalizzazione del conflitto con il botta e risposta armato tra Israele e Iran».

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