È passata una settimana esatta dalla tragedia alla funivia che collega Stresa con il Mottarone, in Piemonte, che ha provocato 14 morti e un ferito, un bambino di 5 anni rimasto orfano, ricoverato per giorni in ospedale e ora risvegliatosi. Sette giorni durante i quali le indagini coordinate dalla procura di Verbania hanno prodotto numerosi passi avanti, accertando la dinamica dell’incidente e le responsabilità di alcuni addetti ai lavori, senza però trovare ancora una spiegazione alla rottura della fune che ha provocato la caduta della funivia. 

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Una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica nazionale e internazionale, al punto che la gip Donatella Banci Buonamici, nell’ordinanza con cui ha scarcerato Gabriele Tadini (finito ai domiciliari), Luigi Nerini ed Enrico Perocchio (entrambi liberi) - rispettivamente caposervizio, gestore e direttore d’esercizio della funivia – ha sottolineato quanto questo «clamore» abbia influenzato anche le indagini della pm Olimpia Bossi, che aveva chiesto il fermo per i tre a causa del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

Ma quali sono i punti ancora da chiarire della tragedia del Mottarone? Proviamo a ricostruirli.

I fatti

26/05/2021 Verbania, sopralluogo della protezione civile e del soccorso alpino alla cabina caduta dalla funivia Stresa - Mottarone; dettaglio del freno di emergenza

Partiamo dai fatti. Domenica 23 maggio la cabina che conduceva 15 persone da Stresa al Mottarone è caduta nel vuoto mentre stava percorrendo la sua salita panoramica della durata di 20 minuti, divisa in due tronconi. Il cedimento della fune è avvenuto nella parte più alta del tragitto: la cabina è precipitata per 100 metri prima dell’ultimo pilone. A causa della posizione dei rottami, per le squadre di soccorso è stato anche complicato raggiungere il luogo in cui si è fermata la funivia. Alla fine il bilancio parla di 14 morti.

Le indagini hanno permesso di accertare che sono stati due i problemi alla base della tragedia. Il primo riguarda i freni della cabina precipitata, che erano stati disattivati dai cosiddetti “forchettoni”, due staffe di metallo inserite all’occorrenza sul sistema frenante della vettura per tenere aperte le ganasce. Il secondo è stata la rottura della fune traente. Sono queste le concause della strage.

Normalmente i forchettoni vengono utilizzati quando la funivia è all’ultima corsa della giornata, dal momento che rendono meno problematica la riapertura dell’impianto il giorno dopo, nel caso in cui il freno d’emergenza della cabina scatti per qualche ragione. Il freno d’emergenza interviene se succede un evento eccezionale, come può essere la rottura della fune che traina la cabina, in modo che la vettura si fermi. In presenza dei forchettoni, invece, il freno non entra in funzione e la cabina torna indietro, in modo incontrollato, verso la valle, come avvenuto il 23 maggio a Stresa.

Il caposervizio della funivia, Tadini, ha ammesso di essere stato lui a dare l’ordine di disattivare i freni. Ha anche detto che Perocchio e Nerini erano a conoscenza della decisione, ma i due negano. È un mistero invece, al momento, la causa della rottura della fune. 

La funivia

La funivia è stata aperta il 24 aprile dopo il periodo di chiusura dovuto alla pandemia. L’impianto collega il Piazzale Lido di Stresa alla vetta della montagna che divide il Lago Maggiore da quello di Orta. Nel 2002 la funivia è stata sottoposta a una revisione straordinaria eseguita dalla ditta Poma Italia (ora Agudio). Nel 2009, a completamento dell’opera, è stata costruita dalla società Leitner una seggiovia biposto che dalla stazione di arrivo della funivia al Mottarone conduce alla croce in vetta al monte (1.491 m s.l.m.), alle piste da sci e ad Alpyland, una nuova area divertimenti sorta nel 2010, e costituita da un alpine coaster (bob su rotaia).

La funivia è strutturata in due tronconi, ciascuno con due cabine dalla portata di 35 persone (il 23 maggio le persone presenti erano la metà a causa delle restrizioni anti-Covid-19). Il primo troncone parte a 205 metri in località Lido di Carciano, a Stresa, e raggiunge la località Alpino, dove si trova il Giardino botanico Alpinia. Il secondo parte dagli 803 metri di Alpino e raggiunge un pianoro immediatamente sotto la vetta del Mottarone, posto a 1.385 metri. Da qui è possibile raggiungere i 1.491 metri a piedi o con la seggiovia. Il comune di Stresa sostiene che l’impianto appartiene alla regione Piemonte e la regione dice che invece appartiene al comune.

La sindaca Severino ha ricordato che di recente si erano svolti dei lavori importanti. Chiusa nel 2014 per una revisione generale, la funivia ha riaperto nel 2016 dopo due anni di lavori di manutenzione affidati alla società Leitner. I controlli, ha fatto sapere il Mims, si sono susseguiti a luglio del 2017 e tra novembre e dicembre 2020 sono stati effettuati controlli specifici sulle funi e una società specializzata si è occupata dell’esame visivo delle funi tenditrici.

Gli indagati

Gli indagati per il disastro sono il caposervizio Tadini, 63 anni, il gestore Nerini, 56 anni, e il direttore d’esercizio della funivia Perocchio, 51 anni, che è anche dipendente del gruppo Leitner di Vipiteno (Bolzano) della famiglia Seeber, la società che ha fornito le cabine e che si occupa della manutenzione dell’impianto. Qualche giorno dopo la tragedia, il caposervizio ha ammesso di aver lasciato inseriti i forchettoni quel giorno «perché c’era un’anomalia ai freni che li faceva chiudere spesso». I freni erano stati disattivati il giorno dell’apertura, il 26 aprile. I forchettoni non sono mai stati rimossi.

Nella sua deposizione, Tadini ha coinvolto anche Nerini e Perocchio, spiegando che i due erano al corrente della sua decisione. Tutti e tre, quindi, sono stati fermati dai carabinieri. Ma nell’interrogatorio di garanzia avvenuto il 29 maggio, Perocchio e Nerini hanno scaricato Tadini. «Non potevo fermare io la funivia – dice Nerini – Io potevo farlo solo se mancava il direttore di esercizio». Per Perocchio, invece, «quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini». Il direttore d’esercizio, in quanto dipendente della società che si occupa della manutenzione della funivia, ha aggiunto anche che non aveva alcun interesse a non manutenere al meglio l’impianto.

Per tutti e tre il gip ha disposto la scarcerazione, ritenendo insussistenti i rischi di inquinamento delle prove o fuga: Tadini è ai domiciliari, mentre Perocchio e Nerini sono liberi. Gli inquirenti dovranno ancora dimostrare se le dichiarazioni di tutti e tre corrispondono alla verità.

Il gip di Verbania, Donatella Banci Buonamici, ha smontato la tesi della procura: escono dal carcere tutti e tre i fermati per la strage della funivia del Mottarone, che ha provocato 14 morti. Disposti gli arresti domiciliari per il caposervizio dell'impianto Gabriele Tadini, l’unico ad aver confessato di aver inserito i ‘forchettoni’ e inibito l’impianto frenante di emergenza. E' uscito nella notte dal carcere di Verbania senza rilasciare dichiarazioni. Liberi, invece, il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio: per la procuratice Olimpia Bossi, il gip ha creduto all'estraneità di Nerini e Perocchio rispetto all'uso dei blocchi al freno.

L’intervento di riparazione sui freni

Un altro punto oscuro dell’incidente di Stresa riguarda il reale stato dell’impianto frenante della funivia. Dopo i primi malfunzionamenti, infatti, sui freni è intervenuta la Rvs di Torino, società che lavora per la Leitner. L’intervento è stato eseguito il 30 aprile e sembrava aver risolto il problema. Tadini, tuttavia, sostiene che il guasto era rimasto e che, a quel punto, aveva deciso di inserire i forchettoni e disattivare il freno d'emergenza. «Io però non ho ricevuto telefonate successive da Tadini. L’ho chiamato io il 3 maggio per sapere se era tutto in ordine e lui me l’ha confermato», ha dichiarato Davide Marchetto, l’operatore della Rvs intervenuto sul Mottarone.

26/05/2021 Verbania, sopralluogo della protezione civile e del soccorso alpino alla cabina caduta dalla funivia Stresa - Mottarone; dettaglio del freno di emergenza

Se così fosse, perché il guasto è rimasto? La procura ha anche ipotizzato che il freno scattasse proprio perché la fune si stava rompendo e che quindi ci sia un collegamento tra il freno d’emergenza che scatta nonostante la riparazione e la fune che poi si è spezzata, provocando il disastro. Ma ancora non c’è nulla di dimostrato. 

Chi era a conoscenza del forchettone inserito?

Un'altra valutazione che gli inquirenti dovranno fare riguarda quante persone sapessero dei freni d’emergenza disattivati sulla funivia. Quali e quanti dipendenti erano a conoscenza della cosa? Quale livello di consapevolezza del rischio di disastro avevano, nonostante obbedissero agli ordini dei loro superiori?

Inoltre c’è anche una semplice domanda rimasta ancora senza risposta: per quale motivo, in attesa del ripristino della funzionalità del freno, non sono state fermate le corse? A questo proposito la procura, nei giorni scorsi, ha sospettato che il motivo potesse essere di natura economica. Ma si attendono gli sviluppi delle indagini.

Perché la fune traente si è spezzata?

Se in quel momento i freni fossero stati in funzione avrebbero bloccato la cabina sul secondo cavo, il portante. Invece, la cabina è scivolata all’indietro su questo secondo cavo, è arrivata a toccare i cento chilometri all’ora e quando ha raggiunto il pilone intermedio della funivia è stata sbalzata via ed è precipitata a terra.

Il cavo traente aveva quasi 25 anni di vita, ma era stato sottoposto lo scorso novembre a un’analisi magnetoscopica che non aveva rivelato problemi o deformità. Tra le spiegazioni citate in questi giorni per spiegare questa rottura c’è la possibilità che per qualche ragione il cavo fosse costruito con materiale scadente oppure che sia stato danneggiato dallo stesso problema che ha spinto i gestori dell’impianto a bloccare i freni. In attesa delle relazioni tecniche, però, questo rimane il principale mistero dell’intera vicenda.

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