Non c’è abbastanza tempo. Sarebbe a causa degli obblighi di lavoro che la maggior parte dei genitori italiani, spagnoli e portoghesi non riesce a dedicarsi ai figli come vorrebbe, anche se sia le madri che i padri concordano sul fatto che l’attività di cura rappresenta uno degli aspetti più appaganti nella vita.

È ciò che emerge dall’indagine Sosef (State of southern european fathers), condotta da Equimundo, il centro per le mascolinità e la giustizia sociale che promuove la parità tra i generi, su un campione di circa 1.500 genitori nei tre paesi del Mediterraneo: Italia, Spagna e Portogallo.

Il rapporto, però, non solo mostra come le difficoltà nel conciliare vita-lavoro pesino ancora oggi soprattutto sulle spalle delle madri, che sono quelle che pagano il costo fisico e psicologico più alto (difficoltà nel dormire, dolori, affaticamento o esaurimento), quelle che molto più dei padri lamentano di dover gestire responsabilità familiari mentre lavorano e quelle che con più probabilità rinunciano alla carriera o sono costrette al part-time.

Ma anche che, nonostante sia in atto una grande trasformazione della genitorialità nel Sud Europa, con i padri sempre più impegnati nella gestione domestica e nella cura dei figli come caregiver responsabili e non come aiutanti, la spinta al cambiamento è, nella vita vera, lenta e in molti casi più percepita che reale.

Differenze di percezione

Dalle risposte degli intervistati si capisce, infatti, che mentre i padri dicono di essere ugualmente coinvolti nella cura della famiglia, le madri vivono la quotidianità diversamente: il 75 per cento degli uomini è convinto di condividere equamente le responsabilità con la partner. Ma solo il 52 per cento delle donne lo conferma. Tre padri su quattro ritengono che il loro figlio più piccolo cerchi entrambi i genitori allo stesso modo per cure affettive o fisiche. Ma solo la metà delle madri è d’accordo.

Così, sebbene siano ormai numerose le evidenze scientifiche sui benefici che il coinvolgimento dei padri nelle attività di cura, soprattutto nei primi mille giorni di vita, comporta per i figli, per le partner, per loro stessi e soprattutto per l’intera società, la strada per una distribuzione paritaria del carico di cura tra i genitori è ancora lunga.

Soprattutto se parliamo dell’Italia. Fanalino di coda, si legge nell’indagine Sosef, non solo del nord Europa ma anche dell’area sud, con un tasso di occupazione femminile al 53,1 per cento nel 2024, più basso della media europea del 66 per cento, e con il congedo di paternità più breve dell’Unione europea: due settimane contro le 16 della Spagna. «Un paese che appare fermo, bloccato da barriere strutturali, sociali e normative che frenano la piena partecipazione dei padri alla cura e una sua più equa condivisione, molto più di quello che avviene nei vicini Spagna e Portogallo»: così viene definita l’Italia nell’indagine.

Il nostro, quindi, non è un paese per padri che vogliono prendersi cura dei loro figli fin da piccoli. A testimoniarlo ci sono i dati. La scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro, infatti, fa sì che le donne abbiano venti volte più probabilità degli uomini di essere casalinghe, il doppio rispetto a Spagna e Portogallo. Ma non solo.

Tra tradizionalismi e congedi non paritari

Come si capisce dall’analisi, in Italia pesano più che negli altri paesi anche una visione tradizionale della suddivisione dei compiti familiari, la credenza che esistono differenze biologiche che rendono le donne più adatte alla cura e le aspettative socialmente imposte che definiscono la maschilità attraverso tratti come il dominio, la soppressione emotiva e l’autosufficienza.

A completare il quadro, oltre alle difficoltà nell’accesso ai servizi di supporto alla cura pubblici e privati, che sono disomogenei in tutta l’Europa meridionale, sia per disponibilità sia per qualità, oppure troppo cari, c’è la questione del congedo di paternità. «Per raggiungere un reale parità ed equità di genere nella cura, essenziale come dimostrano numerosi studi anche per favorire la natalità, c’è bisogno di una trasformazione strutturale, a partire dal rinnovamento del mercato del lavoro ma anche dalle riforme politiche - spiega Barbara Vatta, project manager del Centro per la salute delle bambine e dei bambini, onlus che ha promosso l’indagine in Italia - attraverso una garanzia di estensione del congedo per i padri fin da subito. Che assicuri loro un congedo pari a quello delle madri, retribuito al 100 per cento, obbligatorio e non trasferibile».

Una strategia che la Spagna, dove circa tre quarti dei padri ha diritto al congedo genitoriale, uguale tra donne e uomini, e oltre il 90 per cento usufruisce per intero delle 16 settimane, ha messo in atto. Ottenendo anche, nel trend negativo della natalità che caratterizza tutta Europa, una leggera inversione di tendenza, arrivata proprio pochi anni dopo la legislazione più estensiva sui congedi. Che in Italia, invece, nonostante le novità sul congedo parentale, ancora manca.

Come è assente anche un sistema di monitoraggio adatto a conoscere l’effettivo l’utilizzo dei dieci giorni di congedo retribuito per i padri. L’Inps stima che a usufruirne siano in media il 65 per cento degli aventi diritto, tra i quali ad esempio non figurano le partite Iva e i lavoratori precari, nonostante gli intervistati di tutti e tre i paesi al centro dell’analisi Sofos riconoscano in modo schiacciante i benefici del congedo parentale retribuito e paritario.

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