I dati Istat indicano che in Italia si diventa padri mediamente a 35,8 anni, in ritardo rispetto al resto d’Europa: in Francia avviene a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra a 33,7 anni. Dai racconti dei giovani padri a Domani emerge un paese nel quale scegliere di essere genitore è un atto di coraggio. «Non basta aver rotto con la famiglia patriarcale, ora serve imparare di nuovo a stare bene insieme»
Padri presenti, complici dei propri figli, disposti a togliere tutto lo spazio necessario alla vita lavorativa e privata per crescere insieme alla famiglia. E per dividere nella maniera più equa possibile il carico di cura con la propria compagna.
Ma anche giovani genitori che si sentono più un’eccezione che la normalità, in una società non a loro misura. È questo il pensiero che accomuna i padri trentenni in Italia, secondo i racconti raccolti da Domani per la festa del papà.
Le confidenze
«Vorrei rompere la barriera emotiva che di frequente allontana i padri dai propri figli. Vorrei che con me mio figlio si sentisse libero di parlare e confidarsi. Certo che potrà avere i suoi segreti ma non vorrei ci fossero cose che mi tiene nascoste per timore», spiega Francesco Codori, 32 anni, medico specializzando all’ospedale di Novara.
Che tra due mesi diventerà per la prima volta padre, in una città in cui sia lui, sia la sua compagna si sono trasferiti soltanto da qualche anno. Dove, quindi, dovranno riuscire a costruire la loro nuova vita in tre, senza la vicinanza delle famiglie che li hanno cresciuti.
I nonni
«I nonni verranno sicuramente ad aiutarci. Ma non potremo contare su di loro tutti i giorni, come se abitassimo nella stessa città», chiarisce Codori, spaventato dal carico di lavoro che li aspetta ma anche convinto che riusciranno ad affrontarlo: «Qui serve iscrivere il bambino all’asilo nido ancora prima che nasca, per provare a trovare posto. Così, abbiamo già iniziato i colloqui con le strutture. Poi, per fortuna, la mia compagna ed io abbiamo buone posizioni lavorative, siamo entrambi medici con un contratto nel pubblico, a tempo indeterminato. Questo ci consentirà di sfruttare al massimo l’opportunità dei congedi per trascorrere più tempo possibile con nostro figlio. E di poterci permettere l’aiuto di una babysitter», sottolinea Codori convinto che sia proprio la precarietà economica, nella maggior parte dei casi, a frenare i suoi coetanei dal diventare genitori.
«Gli stipendi in Italia sono fermi da anni. E mantenere un figlio non è più per tutte le famiglie. Noi abbiamo fatto una scelta coraggiosa che ci siamo potuti permettere», commenta il 32enne quasi neopapà, consapevole di essere non solo l’unico del suo gruppo di amici che sta per avere un figlio ma anche un’eccezione per il nostro Paese. In cui, certifica Istat, è a 36 anni che mediamente gli uomini fanno il primo figlio.
Le statistiche
L’Italia è in ritardo rispetto al resto d’Europa: in Francia avviene a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra a 33,7 anni.
Ad averne 34 ma già con due figli è Luca Liverani che vive sull’Appennino bolognese, a Marzabotto. «Quando ho saputo che la mia compagna era incinta della prima bambina, mi sono licenziato. Perché ho preferito dedicare il tempo alla famiglia più che al lavoro», spiega il giovane genitore convinto della scelta intrapresa.
Oggi ha trovato una nuova occupazione in un’azienda agricola vicino a dove abita, che gli porta via meno tempo rispetto alla precedente, anche se per uno stipendio più risicato. «Così, posso suddividere equamente il carico di cura dei nostri figli con la mia compagna. Non è stata una scelta facile da mettere in pratica, perché ho dovuto sperimentare una condizione diversa rispetto a quella in cui anche io sono stato cresciuto. Ma è stimolante e mi ha insegnato a usare tipi diversi di intelligenza», chiarisce Liverani mentre racconta gli impegni che scandiscono tutta la sua giornata da padre: dalla mattina quando accompagna i figli a scuola, alla sera, quando li mette a letto.
Il patriarcato
Liverani è convinto che rompere con la società patriarcale fosse necessario per redistribuire in maniera equa i carichi di lavoro, le responsabilità e le libertà tra i componenti della famiglia. Ma pensa che neppure la condizione che i genitori di oggi si trovano ad affrontare sia idilliaca. Non soltanto per le difficoltà nel raggiungere una stabilità economica, ma anche «perché non siamo più abituati a stare insieme. Ci siamo illusi che potevamo sopravvivere come individui singoli, soli, ma non è così. Dobbiamo re-imparare che cosa è la reciprocità».
A pensare che il tessuto sociale di oggi sia frammentato e la vita quotidiana troppo frenetica e incerta per consentire ai trentenni di vivere la genitorialità come «una scelta normale», c’è anche Alessio Luna, 32 anni, ingegnere, che vive insieme alla sua compagna ad Osimo, cittadina in provincia di Ancona, nelle Marche.
È padre da cinque mesi e racconta che veder nascere sua figlia è stato il momento più bello della sua esistenza, «che mi ha fatto crescere soprattutto dal punto di vista psicologico». Luna racconta di aver deciso subito di evitare che il lavoro sottraesse tempo e energie alla famiglia. Ma che non è affatto semplice riuscire a conciliare vita professionale e privata: «Non è stato facile neanche usufruire dei 10 giorni del congedo di paternità obbligatorio. Figurati pensare di beneficare del congedo facoltativo, impossibile. Dall’azienda per cui lavoro mi hanno chiamato molte volte per sapere quando sarei tornato, perché senza di me la produzione non poteva andare avanti. Ho provato a mettermi nei loro panni e ho capito che per una piccola impresa non è facile neppure trovare risorse in grado di sostituirti. Se non cambia la mentalità delle persone, non si potrà mai trasformare la realtà. Adesso, la mattina mi sveglio spesso all’alba per lavorare, mentre la mia compagna e mia figlia dormono».
Anche Luna è l’unico della compagnia di amici con cui è cresciuto a essere diventato padre, così spiega che gli mancano i momenti di confronto con i compagni e che è dispiaciuto che gli stili di vita diversi inibiscano le possibilità di incontro: «È la prima volta che da uomo bianco etero provo sulla mia pelle che cosa vuol dire far parte di una minoranza», riflette amareggiato.
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