Per anni hanno scandito lo stesso giuramento: staremo con chi indossa una divisa. Ogni volta che un agente veniva ferito, ogni volta che un fatto di cronaca scuoteva l’opinione pubblica, ogni volta che serviva ribadire fermezza, il governo ha risposto con un mantra: «Siamo al fianco di chi difende lo Stato».

Giorgia Meloni lo ha ripetuto nei messaggi istituzionali, Matteo Salvini lo ha trasformato in slogan permanente – «Io sto con chi ci difende» – rilanciato a ogni indignazione social. Matteo Piantedosi, all’inizio della legislatura, ha promesso che «questo governo non lascerà mai soli i nostri uomini e le nostre donne in uniforme».

Nel 2023 il Decreto Caivano venne presentato come il segnale politico di un esecutivo che protegge le forze dell’ordine e ne legittima la centralità. Nel 2024 e 2025, ad ogni tensione di ordine pubblico, la retorica della “divisa sacra” è tornata come presidio identitario, consolidando un rapporto costruito sul riconoscimento simbolico.

Il rinnovo contrattuale 2022-2024 del comparto sicurezza-difesa è stato esibito come prova che le promesse diventano atti. Quando il ministro dell’Interno annunciò la copertura legale per gli agenti indagati per fatti di servizio, il messaggio sembrò definitivo: il governo era lo scudo politico di chi vigila nelle strade.

Il dietrofront nella manovra

Poi è arrivato il momento di mettere per iscritto quel sostegno in una legge di bilancio. L’articolo 42 della bozza 2026 non porta una tutela, ma un innalzamento dell’età pensionabile: tre mesi in più nel 2026, quattro nel 2027 e un adeguamento progressivo dal 2028.

La giustificazione tecnica parla di uniformità previdenziale e dinamiche demografiche, ma nelle centrali sindacali il provvedimento è stato letto come una smentita del principio di specificità che lo stesso governo aveva invocato in più occasioni. Le divise, chiamate a operare in situazioni di stress fisico e psicologico, si trovano ora di fronte a una vita lavorativa più lunga, con il rischio di essere costrette a garantire ordine pubblico con corpi e risorse logorati dall’età. Il Silp Cgil parla di un «paradosso legislativo»: si esalta l’usura del mestiere per sostenere il prestigio delle forze dell’ordine, ma la si ignora quando si tratta di pensioni.

L’aumento dell’età pensionabile non arriva da solo. Nel testo della manovra non compare un piano straordinario di assunzioni, mentre i sindacati stimano un deficit strutturale di oltre 10mila unità tra polizia e carabinieri. Con il turn over bloccato al 75 per cento, nel 2026 si rischia una riduzione di circa 1.300 agenti.

Il corpo invecchia, le pattuglie in strada si riducono, i turni si allungano. «Una polizia geriatrica», denuncia il Silp Cgil. Sap, Coisp e Fsp, in una nota congiunta, parlano di un esecutivo che «ha alimentato aspettative per poi arretrare nel momento delle scelte concrete».

Intanto la spesa per il riarmo estero continua a salire – oltre 31 miliardi di euro nel 2025, con proiezioni in aumento – mentre per la sicurezza interna non si prevede un rafforzamento tecnico né un piano di formazione aggiornato alle nuove minacce. La distanza tra le dichiarazioni di sostegno e la realtà delle risorse si manifesta nella composizione dei capitoli di spesa, non nei post istituzionali.

La propaganda

La frattura diventa evidente quando il linguaggio della propaganda incontra le condizioni operative del comparto. Il governo che ripeteva «non vi lasceremo soli» ora chiede più anni di servizio. Lo stesso esecutivo che rivendicava di essere «dalla parte delle forze dell’ordine» non prevede strumenti per colmare i vuoti di organico.

Il potere simbolico della divisa, agitato come segno di identità nazionale, viene piegato all’esigenza di tenere in servizio personale sempre più anziano. Anche perché ridurre l’età media del corpo significherebbe investire.

La manovra insomma mostra la distanza tra il linguaggio della prossimità e la prassi contabile della rinuncia. Chi indossa una divisa viene chiamato a restare, ma senza garanzie di miglioramento operativo, senza ricambio generazionale, senza riconoscimento dell’usura del lavoro.

Finché il ritornello era «noi stiamo con voi», il patto sembrava solido. Ora quel «con voi» si traduce in più tempo in servizio, meno colleghi, più carichi di lavoro e prospettive di uscita dal corpo spostate in avanti. Lo scarto tra la promessa e la norma diventa la misura politica di un tradimento non dichiarato ma percepibile.

È qui che si misura la credibilità di chi ha fatto della divisa uno strumento identitario. Quando la pensione si allontana e gli organici non si rinnovano, anche le parole più ripetute iniziano a pesare come un conto in sospeso. E in un comparto costruito sulla fiducia istituzionale, il passaggio da scudo politico a sacrificio prorogato rischia di lasciare il segno più delle celebrazioni ufficiali.

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