Sul brutale pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020, il ministero della Giustizia ha creduto anche a un'altra falsa ricostruzione, relativa alla resistenza dai detenuti. Secondo questa versione, la reazione dei carcerati causati il ​​ferimento di alcuni penitenziari durante la perquisizione straordinaria, disponibile dal provveditore Antonio Fullone.

Fullone, che oggi è indagato e interdetto, è rimasto in sella fino a lunedì scorso, quando il giudice Sergio Enea ha disposto, su richiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere, 52 misure cautelari ai danni di agenti penitenziari e della catena di comando.

«Nelle operazioni in questione taluni resistenze hanno resistenza. Dodici, in particolare, sono stati individuati e rapportati disciplinarmente», ha risposto in aula il sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi lo scorso 16 ottobre. Ma c'è stata davvero una resistenza?

La circostanza risulta soltanto dai documenti elaborati poche ore dopo il pestaggio dalla catena di comando del carcere con l'obiettivo non solo di depistare, ma anche di attribuire a uno sparuto gruppo di detenuti la responsabilità di una resistenza con traumi riportati dai poliziotti penitenziari.

La complicità dei medici

La strategia era molto semplice e aveva bisogno del contributo anche dei medici della locale azienda sanitaria per essere eseguito in modo efficace. Per quindici detenuti sono stati emessi referti senza contatto, o con un contatto minimo, con il medico, e le testimonianze raccolte confermano che la procedura usata era «totalmente in una visita medica seppure somma».

Lo conferma anche il fatto che i referti firmati dai medici erano tutti uguali. La visita è stata raccontata con dovizia di particolari da diversi detenuti, quelli accusati di avere picchi di resistenza e per questo brutalizzati e rispetto a più violenza agli altri.

«Un dottore è venuto giù alla matricola che stava con loro e faceva... “trauma cranico, lesione alla fronte”, scrivi. Ciao ciao», ha raccontato un detenuto ai pubblici ministeri. Nessuna visita, solo uno sguardo a distanza. Le testimonianze confermano questa procedura.

«Avevo sangue che mi colava dappertutto, qua sopra, qua… tutto sfondato», dice un detenuto. Prima del medico che faceva i referti a occhio passava l'ispettore per minacciare i carcerati: «Una parola: non passate parola e siete morti; stasera siete morti!». Chi ha protestato è stato picchiato anche davanti al medico, raccontano i testimoni.

Il “contenimento” 

Cosa c'era scritto in questi referti? Contenevano tutti la stessa dicitura relativa a traumi derivanti dal «contenimento da parte del personale di polizia penitenziaria».

Insomma, i resistenze hanno resistenza e da lì discendono i traumi riportano. Per la resistenza detenuti i sono stati denunciati. Tutto falso sia la presunta resistenza, sia le relazioni nelle quali vengono ricostruite le responsabilità dei detenuti, secondo la procura.

«Alla luce delle sicure risultanze video e documentali della dinamica del 6 aprile 2020, era del tutto evidente che nessuna resistenza fosse stata attuata da parte loro, essendo stata già ricevuta la loro sorte, ossia il pestaggio, verosimilmente più di altri», scrive il giudice Sergio Enea.

Il medico, indagato per falso ideologico, è Raffaele Stellato, in servizio presso l'Asl di Caserta. Non ha rotto la catena del silenzio che ha riportato una storia, dove nessuna figura si è opposta a quanto accaduto, firmando riferiti con «mendace origine causale lesionite», scrive la procura che ne aveva chiesto i domiciliari.

La misura è stata bocciata dal giudice, sulla base del fatto che, anche se sommarie, le visite mediche sono state effettuate e gli antidolorifici effettivamente somministrati.

Stellato non è l'unico indagato. Dovrà rispondere di falso anche un altro medico, Pasquale Iannotta, sempre in servizio nell'azienda sanitaria di Caserta. Iannotta risulta essere l'estensore materiale dei certificati medici dei detenuti.

Il quadro accusatorio della procura è chiaro. Da una parte, i medici avrebbero sottoscritto quindi referti  falsamente «rappresentativi di fatti e diagnosi inesistenti», così da firmare atti pubblici non veritieri sia in merito alla genesi delle lesioni, sia per quanto riguarda la negatività al Covid-19 dei soggetti.

Dall’altra, i falsi avrebbero contribuito a occultare i reati commessi dagli agenti agevolando anche la commissione del delitto di calunnia. I medici rispondono solo di falso, ma secondo i magistrati, guidati da Maria Antonietta Troncone, aggiunto Alessandro Milita (pm Daniela Pannone e Alessandra Pinto) con questi referti hanno agevolato gli agenti che hanno costruito la calunnia contro i detenuti accusandoli di aver resistito con violenza alla perquisizione. 

I referti dei poliziotti

La seconda fase del meccanismo riguarda i poliziotti penitenziari che vanno al pronto soccorso per ottenere un referto. Se ci sono i detenuti denunciati per resistenza, per rendere la scena credibile occorre che ci siano anche delle vittime: gli agenti.

I medici riscontrano traumi di ogni genere, ma tutti localizzati sui punti del corpo con i quali avevano sferrato i colpi: mani, braccia, gambe, dita. Praticamente si sono fatti male picchiando.

I referti sono 31 e per 19 agenti è scattata la denuncia per falso, oltre che per gli altri reati, perché hanno attribuito le ferite alle violenze commesse dai detenuti e non a quelle che loro stessi avevano commesso.

La regia del pestaggio non aveva considerato la prontezza dei carabinieri, prima nel sequestrare i video, fonte di prova indispensabile, e poi attraverso consulenze medico-legali per accertare i segni delle violenze sui giorni attraverso perizie effettuate dieci dopo il 6 aprile. I corpi, a distanza di tempo, continuavano a riportare i postumi del pestaggio: nasi rotti, deficit uditivi, lesioni, traumi e superamento. 

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