La tutela della vita umana è un diritto inalienabile che quasi nessuno ha il coraggio di mettere in discussione, a parole. Nei fatti, invece, la realtà è diversa. A testimoniarlo tante ingiustizie. Tra queste anche la morte di 22 mila persone dal 2015 a oggi, che, secondo L’Oim, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, è avvenuta mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo centrale. Con l’obiettivo di raggiungere l’Europa, lasciandosi alle spalle il passato di guerre, violenza, persecuzioni.

«Sono 1184 le persone scomparse solo nel 2025. Tanto che oggi molti definiscono il Mediterraneo un cimitero liquido», puntualizza Valentina Brinis, advocacy Officer di Open Arms durante la conferenza stampa che si è tenuta in Senato, il 3 dicembre, per fare un punto sulle attività di soccorso in mare delle organizzazioni internazionali iniziate, per colmare il vuoto lasciato dagli Stati, come risposta alla crisi migratoria che l’Europa ha affrontato nel 2015, di cui la fotografia di Alan Kurdi, il bambino di tre anni trovato senza vita, riverso sulla spiaggia dopo il naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiava, è diventato il simbolo.

«Nel 2014, dopo la fine della missione Mare Nostrum, che ha salvato 150 mila persone in 12 mesi, il Mediterraneo è tornato a essere una rotta mortale. È in questo vuoto che l’anno dopo è nata quella che oggi definiamo “la flotta civile del Mediterraneo”: 21 ong che portano avanti attività di ricerca e soccorso, (Sar – search and rescue ndr) dotate di 15 navi, 7 barche a vela, 4 aerei.

Tutte insieme abbiamo tratto in salvo oltre 175 mila persone. Da 10 anni esiste anche Alarm phone, l’unica linea di emergenza dedicata al monitoraggio di quanto accade nel Mediterraneo sempre attiva, molto più di alcuni Centri di coordinamento, come quello di Malta, membro dell’Ue che, invece, spesso tacciono», dice ancora Brinis prima di spiegare come l’attività di ricerca e soccorso abbia subito un processo di delegittimazione negli anni.

Dal sostegno alle accuse

«All’inizio siamo stati accolti bene. Tra il 2016 e il 2017, ad esempio, collaboravamo molto con la Guardia costiera italiana. Poi, però, con la firma del Memorandum d’intesa Italia-Libia, che prevede il sostegno alla “cosiddetta” Guardia costiera libica, siamo diventati una sorta di bersaglio politico. Sono iniziati gli attacchi contro di noi, anche attraverso l’introduzione di norme che hanno portato a sequestri, multe e numerosi processi. Nel tempo, c’è stato anche un progressivo cambio di linguaggio per descrivere le operazioni Sar: il 75 per cento dei soccorsi, dal 2019 a oggi, è stato classificato dal Ministero dell’Interno come “law enforcement”, trasformando un dovere umanitario in un atto di controllo», conclude l’advocacy Officer di Open Arms.

A sottolineare le conseguenze delle norme che criminalizzano le ong è anche Rossella Miccio, presidente di Emergency: «Dal 2019, con la politica dei “porti chiusi” c’è stato un nuovo salto di scala in questo processo di criminalizzazione e ostruzionismo che si è rafforzato negli ultimi due anni con il Decreto Piantedosi: una legge che, in caso di violazione delle sue disposizioni, prevede sanzioni pecuniarie e detenzioni amministrative delle navi e che, a oggi, ha portato a 35 fermi. Inoltre, assegnando porti lontani centinaia di miglia dal luogo del soccorso, le autorità costringono le navi a molti giorni di viaggio in più, tanto che dal 2023 hanno impiegato oltre 760 giorni di navigazione non necessari». Una pratica vessatoria e punitiva che posticipa senza motivo l’assistenza di cui hanno bisogno le persone soccorse: «Una pratica che tiene lontane le navi di soccorso dall’area operativa: abbiamo calcolato che avremmo potuto salvare oltre mille persone in più se non avessimo dovuto perdere tempo».

Salvare vite umane non è solo un dovere umanitario, per il già senatore, presidente della onlus A buon diritto, Luigi Manconi. Ma la base per l’esistenza di tutti gli altri diritti, in quanto principio su cui si fonda il legame sociale: «È lo stato di pericolo che determina la ricerca della relazione con l’altro e crea, cioè, la comunità. Metterlo in discussione, criminalizzare le attività di soccorso significa minacciare l’esistenza stessa del legame sociale e quindi la qualità delle democrazie», chiarisce Manconi.

Alla conferenza stampa hanno partecipato anche Abdullahi Ahmed, Consigliere comunale di Torino, ex rifugiato politico, nato in Somalia, e l’Ammiraglio Sandro Gallinelli, ex consulente legale del capo del 3 reparto della Guardia Costiera.

Dal dibattito in Senato, sono emerse anche quattro raccomandazioni che le ong vorrebbero portare all’attenzione delle istituzioni: porre la tutela della vita in mare al centro di ogni decisione che riguarda il Mediterraneo centrale e rafforzare la capacità di ricerca e soccorso in mare, attivando una missione Sar europea. Riconoscere il ruolo umanitario delle ong, abbandonando qualsiasi pratica di criminalizzazione. Interrompere ogni azione a supporto dei respingimenti verso Libia e Tunisia che non possono essere considerati un luogo sicuro per lo sbarco dei naufraghi e non replicare le politiche di esternalizzazione in Paesi terzi. E, infine, la richiesta di investire in programmi di cooperazione di lungo periodo nei Paesi di origine e transito, anche per ampliare le vie di accesso sicure e legali in Europa.

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