«Durante la fase di navigazione (27 agosto 2020 - 5 settembre 2020), l’esistenza di una importante barriera linguistica, una presentazione clinica atipica, il setting assistenziale della nave poco appropriato e uno sbarco del paziente reso complicato dalle procedure anti Covid-19 hanno certamente rappresentato condizioni che hanno determinato un ritardo diagnostico».

Sono le conclusioni a cui sono giunti i consulenti tecnici dei magistrati nella perizia medico legale depositata alla procura di Siracusa nell’ambito dell’indagine sulla morte del minore di origini somale, Said, deceduto il 14 settembre del 2020 dopo essere stato trattenuto per quasi 10 giorni all’interno di una nave quarantena per migranti. E gettano un’ombra ulteriore sull’utilizzo di questo tipo di misura che la stessa ministra Luciana Lamorgese aveva dichiarato di voler eliminare. Said è stato il secondo minore migrante a morire, in pochi mesi, dopo essere stato ospitato su una nave quarantena per migranti. 

La perizia

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Ora sulla sorte di Said si addensano nuovi interrogativi, in parte contenuti nel documento di 45 pagine depositate alla procura siciliana dai consulenti tecnici, Maria Tea Teodoro, Fortunato Stimoli e Gaetano Scifo. In sostanza, i periti riconoscono in più passi della perizia che la permanenza per quasi dieci giorni sulla nave quarantena Allegra abbia aggravato le condizioni di salute di Said. 

Ma gli stessi consulenti scrivono anche «che anche una diagnosi tempestiva avrebbe dato al paziente in verità poche probabilità di sopravvivenza data la complessità e gravità della infezione tubercolare». E dunque – secondo i periti – Said sarebbe morto lo stesso, probabilmente, a causa delle complicanze della patologia. Però è altrettanto vero che avrebbe potuto evitare ulteriori sofferenze, provocate dal trattenimento per alcuni giorni sulle navi quarantena.

Il calvario

Come si legge nella relazione predisposta dal responsabile sanitario di bordo, «anche alla luce di una consulenza psicologica effettuata sulla nave, il paziente necessitav di essere trasferito in struttura ospedaliera». Lo sbarco è avvenuto, ma soltanto il 7 settembre 2020, «quando il paziente è» finalmente «giunto nel presidio ospedaliero Muscatello», a Siracusa. 

Già dal 3 settembre «le condizioni del paziente avevano però iniziato a deteriorarsi ulteriormente sia dal punto di vista fisico sia psichico; successivamente il paziente era diventato incontinente e non autonomo e aveva cominciato a manifestare delle allucinazioni», si legge ancora nella sua cartella sanitaria. «Persistendo la incapacità ad alimentarsi e idratarsi più volte si è cercato di praticare l’infusione di liquidi che purtroppo ha avuto esito negativo». È il calvario di Said. 

La battaglia della tutrice

L’indagine è nata dall’esposto presentato al Tribunale dei minorenni di Catania dalla tutrice di Said, l’avvocata Antonia Borrello. «Sono stata nominata tutore del minore l’11 settembre», aveva raccontato ai magistrati «nonostante la “legge Zampa” fissi tale obbligo entro tre giorni dall’arrivo in Italia del minore straniero non accompagnato. I medici del reparto mi hanno detto che non potevano fornirmi la documentazione della nave Azzurra e che non sapevano rispondere alla mia domanda in merito al ritardato trasferimento dalla nave presso una struttura sanitaria».

Al momento, la domanda non ha ancora trovato una risposta.

I costi del sistema

AP

Ci sono poi altre domande sulla gestione delle navi quarantena per stranieri. Le ha rivolte, lo scorso marzo, alla Corte dei conti il Comitato verità e giustizia per i nuovi desaparecidos del Mediterraneo attraverso il suo presidente, l’avvocato Arturo Salerni. Il legale ha presentato un esposto chiedendo di «verificare se nei fatti descritti siano rinvenibili ipotesi di illegittimità e di danno erariale, e in caso positivo di individuare i soggetti responsabili».

Su quali siano stati i costi affrontati ci sono al momento solo ipotesi, a partire dalle cifre contenute nei bandi ministeriali. Nel frattempo, nonostante un costo giornaliero sostenuto dallo stato quattro volte superiore rispetto all’accoglienza nelle strutture a terra, e dopo le promesse del ministero dell’Interni, il sistema delle navi quarantena non è mai stato fermato. 

Secondo i dati forniti dal progetto In limine dell’Associazione studi giuridici immigrazione, i migranti transitati dall'hotspot di Lampedusa, in soli tre mesi, dal primo luglio 2021 al 20 settembre 2021, e poi trasferiti per la quarantena sulle navi, sono stati 5.838; “ospitati” a bordo di nave Adriatico, nave Allegra, nave Atlas, nave Aurelia, nave Azzurra. A loro si aggiungono le oltre 10mila persone straniere finite in quarantena a bordo delle navi, secondo i conteggi di fine 2020 della stessa associazione.

È un tipo di accoglienza che nella realtà nessuno, nel governo, sembra intenzionato a fermare. Ed è un affare legittimamente redditizio per le grandi compagnie di navigazione, ma anche per la Croce rossa che vi assicura a bordo l’assistenza sanitaria.

Testimoni a bordo

Salvatore Cavalli

In realtà lo stesso presidente della Croce rossa italiana, Francesco Rocca, ha definito, in una recente intervista, «borderline, il modello nato all’inizio della pandemia e in un clima ostile da parte degli amministratori locali che non volevano accogliere i migranti. Un’esperienza che deve chiudersi con la fine dell’emergenza sanitaria», ha detto Rocca a Micromega. 

Chi ha lavorato come operatore a bordo della nave Allegra quando c’era Said invece racconta, protetto dall’anonimato: «All’inizio mancava una adeguata strumentazione sanitaria e mancavano i macchinari». «A bordo, anche negli ultimi mesi, sono state ospitate diverse persone che poi dopo l’ingresso sulle navi quarantena si sono dichiarate minorenni, ma che non sono state fatte sbarcare sùbito».

Un’altra fonte che ha lavorato in un altro periodo più recente a bordo delle navi quarantena, racconta: «Dopo la fine della quarantena e lo sbarco a terra dalle navi, le persone vengono trasferite sugli autobus. Poi, in base a una lista che viene consegnata dai funzionari del ministero dell’Interno al personale della Croce rossa, molto spesso gli uomini di origine tunisina o provenienti dal Maghreb vengono destinati ai Centri per i rimpatri, i Cpr». «Non può non sorgere un dubbio – dice – che la pandemia sia soltanto un pretesto per sperimentare un metodo. Potrebbe essere sicuramente molto efficace per i “rimpatri veloci”. Ma noi lo possiamo testimoniare: ha un costo in termini economici e di vite umane». 

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