E adesso, a chi la raccontano più? Chi ci crede più che, sì, lasciateli godere e, via, godiamocela comunque un po’ tutti, perché la Napoli calcistica non è abituata a tanta grazia? Venerdì 23 maggio 2025, un venerdì sera da ricordare, e ormai stanno diventando tanti: ultima giornata, pathos quanto basta, ma nemmeno, perché con Napoli-Cagliari e Como-Inter, con gli azzurri a +3, il Napoli, per una ventina abbondante di minuti prima del gol del vantaggio, ha pure temuto di perderlo, perché l’Inter vinceva, lui no.

Ma è durato poco, nemmeno il tempo per disperarsi: è finita 2-0, le firme contiane di McTominay e Lukaku, e pazienza poi quale che sia stato il risultato dei nerazzurri.

Tricolore. Il numero quattro della storia, il secondo in tre anni. Non è un miracolo, non è una favola, non è immaginario popolare dei tempi andati e riesumati – ricordate il Ricomincio da 3? – e non ci sono santi né romanzieri che tengano questa volta: il Napoli, che era già diventato grande compiendo un metaforico maradonicidio – non rimuovere, non dimenticare: crescere – nella primavera 2023 con lo scudetto di Spalletti, oggi è un adulto nel pieno della suo vigore.

Il Napoli, punto e basta

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Dice: calma, furono due scudetti a stretto giro, in quattro campionati, anche quelli del 1987 e del 1990; e arrivarono anche una Coppa Uefa e una Supercoppa italiana, tanto per capirci: ciclo è questo, ciclo era quello, lo dicono gli almanacchi.

Vero, ma gli almanacchi – e, in realtà, soprattutto la memoria e le sue suggestioni – dicono anche che quella fu una squadra straordinaria, ma – lo sanno tutti – aveva Maradona, e illustrano anche come, dall’apice, sarebbe arrivato il crollo, a livello societario soprattutto.

Ecco: questo, oggi, non è neppure da mettere in preventivo, perché la gestione di Aurelio De Laurentiis – ci torneremo – è ben lontana, nei tempi e nei modi, da quella dell’epoca. Altro mondo.

Intanto ha parlato il campo, e il campo ha detto una cosa molto chiara: non è più il Napoli “di” qualcuno: è il Napoli punto e basta, e tanto basta. Tralasciando i primi due scudetti, non c’è bisogno di andare oltre, il terzo titolo portava i nomi di Kim, Kvaratskhelia e Osimhen, di Spalletti e di Giuntoli. Tutti personaggi che con Napoli e il Napoli hanno avuto un rapporto da professionisti. Tutti personaggi che a Napoli non ci sono più, anche se parliamo dell’altro ieri.

Ebbene: questo Napoli ha vinto anche senza di loro, perché tutti se ne sono andati, a stretto giro sebbene con tempi e modi diversi, e chi, nel momento dei loro addii, ha dato per chiusa la stagione della gloria ritrovata, beh, si è dovuto straordinariamente ravvedere. Rispetto all’ultimo scudetto ci sono ancora, eccome, Anguissa e Lobotka, meraviglie del calcio, e pure Meret, capitan Di Lorenzo, Politano, Raspadori, ma alle facce dei campioni di cui sopra si sono sovrapposte quelle di Bongiorno, di Neres e di Lukaku, quelle di Conte e di Manna.

Possibile? Possibilissimo, e qui si torna al discorso di cui sopra: a chi lo raccontiamo, oggi, che a Napoli si vince per caso o per qualche congiunzione astrale? C’è ancora qualcuno che ci crede?

Asso scozzese

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Difficile, perché quando si pesca dal mazzo del mercato uno come Scott McTominay, pagandolo il giusto e ricavandone il doppio, significa che oltre al denaro ci sono le idee, e le idee sono buone. Lo scozzese, appunto, è uno dei nuovi volti di questo Napoli vittorioso, e il gol dello scudetto, a ben guardare, non poteva che essere il suo: sono 12 in campionato, roba da centravanti, ma non sono stati solo i gol la sua cifra stilistica, perché l’ex United a tutti gli effetti può essere considerato uno dei migliori uomini del campionato 2024-25.

In assoluto, attenzione, non solo del Napoli, e in tutto questo la vittoria è doppia: del giocatore, che qualcuno troppo in fretta aveva bollato come inadatto a certi livelli (per quanto sia vero che tra Premier e Serie A il divario è abissale), e per il club che ha assecondato uno dei desiderata di Conte.

La mano di Conte

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Ecco, Antonio Conte è uno che ha chiamato la figlia Vittoria, uno che gli scudetti li ha vinti in Italia con la Juventus e con l’Inter, in Inghilterra con il Chelsea, e aggiungendo il Napoli è a quota sei con quattro squadre diverse, in due nazioni diverse. C’è la sua mano in questo trionfo, e la sua mano significa quel furore agonistico che tutti gli riconoscono e che trasmette per osmosi ai suoi giocatori e una comunicazione diretta: abile a utilizzare i mind games, quelle scaramucce verbali che piacciono tanto agli inglesi e che per il tecnico salentino sono qualcosa di innato.

Quante volte ha ricordato il decimo posto della scorsa stagione, l’eredità che ha ricevuto? Quante volte ha fatto intendere, e detto esplicitamente, che non era cosa, ma che comunque ci avrebbe provato a fare la storia? Quante volte ha trovato un bersaglio utile e lanciato fumogeni per allentare la pressione sui suoi?

Certo, dal mercato in estate ciò che aveva chiesto lo aveva sostanzialmente ottenuto (Buongiorno, McTominay, Lukaku appunto, e pure Gilmour), ma a gennaio, in piena corsa per il titolo, ha visto andarsene Kvaratskhelia, senza trovarsi con un sostituto adeguato. Difficile accettarlo per chi lo aveva adottato, i tifosi s’intende, figurarsi per Conte, uno che s’è inalberato per molto meno, e un po’ dovunque. Ora il dubbio è sul suo futuro: resterà? Tornerà a Torino? Vedremo, questo è il momento della vittoria, della festa.

Che, anche se dirlo non va di moda, nell’immaginario collettivo tra vincere e non vincere passa tutta la differenza del mondo: vuoi mettere gli scudetti con le consolazioni morali del dolce stilnovo belgiochista, o con le Coppe Italia e la Supercoppa già alzate nel corso della presidenza di De Laurentiis?

Già, De Laurentiis. Ambizioso, evidentemente capace, teatrale, non necessariamente simpatico: la crescita e l’assestamento del Napoli – perché, in effetti, si tratta di un successo strutturale e non di un exploit. E se per i mistici, i credenti e i superstiziosi il titolo di due anni fa era stato guidato dalla Mano de Dios, da lassù o dovunque vogliano credere, ora lo si può dire: il Napoli non è più questo. Il realismo magico è qualcosa di meraviglioso. Ma, più prosaicamente, il Napoli, oggi, è grande per davvero.

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