Circa una quarantina di chilometri a sud di Parigi, l’antico Château de Saint-Vrain è una residenza di campagna che da qualche tempo è tornata ad accogliere ospiti che vogliono sperimentare un cambio di prospettiva. Sono due giovani ex cuochi di città – James Henry e Shaun Kelly – ad averne ripensato spazi e obiettivi per farne il fulcro di un’azienda agricola a filiera chiusa, fondata su un approccio rigenerativo, dove ciò che si produce arriva in tavola. Fattoria, ristorante, camere per fermarsi ad apprezzare ciò che sta nascendo, con il coinvolgimento di agronomi, architetti, carpentieri, artigiani della pietra, del legno, del cibo: questo è oggi il microcosmo Le Doyenne. Qui è arrivata anche Lori Oyamada, panificatrice americana che ha trascorso otto anni della sua formazione nella fucina di Tartine, a San Francisco, dove ha mosso i primi passi e si è nutrita dell’entusiasmo di una squadra in costante fervore sperimentale, fino a diventare una spalla fidata di Chad Robertson.

Fino a che «mi sono sentita pronta per sperimentare qualcosa fuori dal perimetro già conosciuto», spiega. «Ho capito che la panificazione non può basarsi su un approccio integralista: rispetto le tradizioni e mi piace molto osservare chi le recupera. Ma quando si tratta di me, non voglio avere una fede da seguire. Ho visto così tante persone ottenere un pane ottimo seguendo strade e tecniche così diverse che non posso credere ci sia un unico modo per farlo. Come ci arrivi è l’intima espressione di te stesso e non devi mai sentirti confinato in un perimetro precostituito, se questo non ti appartiene».

Out of the box

Non a caso, Lori ha lasciato Tartine, ormai diventata azienda da grandi numeri, in cerca di una dimensione che sentisse più sua: ha girato l’Europa per un po’, esplorato panetterie che ammirava, perché di imparare dagli altri non si finisce mai.

Poi ha scelto Torino, per frequentare un master sul ruolo delle politiche alimentari nel mondo contemporaneo. Ma alla chiamata del forno non ha saputo resistere: oggi è la panettiera di Le Doyenne, dove presto il pane, oltre a finire sulla tavola degli ospiti del ristorante, si venderà anche al dettaglio, nello spaccio aziendale.

È sola a panificare, anche se circondata da amici e colleghi impegnati a perseguire la stessa visione di sostenibilità: non certo un impegno semplice, anzi una nuova sfida che però assume i contorni del dono, «perché mi permette di scendere in profondità e perseguire le mie scoperte quotidiane», in relazione con contadini e mulini del territorio.

Questo, per Lori, significa fare il pane, consapevole di appartenere a una comunità globale che può contare su molte persone di talento. Quando ne parla, sottolinea la soddisfazione di farne parte, perché il movimento della panificazione moderna non è semplicemente una bella storia da raccontare, ma un collettivo di persone pronte ad aiutarsi e confrontarsi, generose, aperte, fiduciose nel futuro. Parole sue. Molte di loro sono donne, professioniste stimate che crescono per numero e importanza del ruolo che rivestono.

Le donne del pane

La storia non dovrebbe mai essere un confronto tra uomini e donne, e il rischio di cavalcare l’antagonismo tra un mondo al femminile e uno al maschile è sempre dietro l’angolo. Però è vero che nella panificazione moderna la quota rosa può ormai contare su modelli significativi rintracciabili in tutto il mondo.

Ciascuna di loro interpreta il mestiere a suo modo: c’è sempre la scuola Tartine dietro ai primi passi di Na Young Ma e Crystal White, oggi entrambe imprenditrici affermate, alla guida di attività all’avanguardia in California (Proof Bakery a Los Angeles e Wayfarer a San Diego).

Nello stesso contesto si sono formate figure che lavorano per un progresso sostenibile del settore, come Mai Nguyen, agronoma e co-fondatrice della California Grain Campaign, al lavoro con il Food Institute Changemaker di Berkeley; e Nan Kohler, mugnaia di lungo corso a Pasadena.

In Europa continentale è bene seguire il lavoro di Monika Walecka a Varsavia (Cala W Mące) e quello gluten free di Ava Celik a Berlino (Aera). E anche in Italia le esperienze virtuose si moltiplicano, dal micropanificio Le Polveri di Aurora Zancanaro a Milano al Pandefrà di Francesca Casci a Senigallia, a L’assalto ai forni di Lorenza Roiati, sempre nelle Marche, ad Ascoli Piceno, senza contare il rifugio piemontese di Carol Choi e Francesco Scarrone (lei al pane, lui in cucina), ideatori di Rantan. Un elenco decisamente parziale, che lascia la voglia di approfondire ancora.

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