È iniziata lunedì 6 maggio, ad Alessandria, la fase preliminare del processo per disastro ambientale contro la multinazionale belga della chimica Solvay – ora Syensqo – con un’udienza preliminare che ha visto la costituzione di oltre 250 parti civili, tra cui il ministero dell’Ambiente, la regione Piemonte, cittadini che abitano vicino al polo industriale e diverse associazioni come Wwf e Legambiente. Dopo tre anni di indagini, i due imputati sono gli ex direttori di stabilimento, Stefano Bigini e Andrea Diotto. Ma il sito continua a inquinare, raggiungendo i valori più alti in Europa.

220mila microgrammi per litro, questa la concentrazione di Pfas, inquinanti chimici eterni definiti cancerogeni dall’Oms, ritrovati sotto lo stabilimento chimico Solvay, ora Syensqo. Si tratta della concentrazione più elevata registrata in Europa.

Attualmente quindi l’Italia non solo presenta in Veneto l’inquinamento più diffuso da Pfas, dove la contaminazione dell’acqua interessa quasi mezzo milione di persone, ma con il Piemonte si aggiunge anche la quantità maggiore finora mai riscontrata.

La denuncia a fine marzo

L’allarme è partito a fine marzo da un’autodenuncia da parte della stessa azienda, che avvisa le autorità locali alessandrine dopo aver riscontrato concentrazioni anomale di Pfas sotto una vasca. Vasca utilizzata per ripulire le acque di produzione da questi composti chimici.

Anche se dire anomale è dire poco. L’azienda ha rilevato sotto la vasca 250mila microgrammi per litro di cC6O4, un Pfas prodotto in esclusiva dalla proprietà e considerato meno tossico, anche se, come ha dichiarato il Tar di Torino, risulta essere comunque «un rischio per la salute e l’ambiente».

Si trattava di una perdita apparentemente fuori controllo, tant’è che il 5 aprile lo stabilimento ha bloccato il reattore E dello stabilimento che scarica in quella vasca. Le concentrazioni sono state confermate a 220mila microgrammi dalla direttrice di Arpa Alessandria, Marta Scrivanti, alla presenza del tavolo tecnico richiesto dal sindaco di Alessandria Giorgio Abonante e convocato il 16 aprile.

I problemi però non sono iniziati a fine marzo, come dimostrano documenti inediti ottenuti da Domani, Arpa Alessandria aveva già riscontrato concentrazioni anomale a fine ottobre. Tuttavia la comunicazione ufficiale è avvenuta solo il 10 aprile, quando Scrivanti ha inviato una pec urgente a comune, provincia, Asl e azienda. In particolare sono stati trovati il Pfoa, ufficialmente dismesso da Solvay/Syensqo nel 2013, il cC6O4 e l’ADV, Pfas brevettati e prodotti esclusivamente dall’azienda.

Non è chiaro perché Scrivanti abbia aspettato sei mesi prima di comunicarlo, omettendo, in questo modo, di avvertire dei primi segnali di contaminazione gli unici enti che – in forma preventiva – avrebbero potuto bloccare la produzione dello stabilimento. La direttrice di Arpa Alessandria, contattata per un commento, ha preferito non rispondere.

Schiuma nel fiume

Sabato 13 aprile Arpa Alessandria è stata avvisata dagli abitanti di Spinetta della presenza di schiuma nel fiume Bormida presso lo scarico del polo chimico.

Scrivanti e la sua squadra hanno raccolto campioni di schiuma sia all’esterno che all’interno dello stabilimento, dove è stata ritrovata la stessa schiuma. Solo alcuni giorni dopo, cogliendo l’occasione offerta dall’inaugurazione di un nuovo impianto per il trattamento dei Pfas, il direttore dello stabilimento, Stefano Colosio, ha cercato di rassicurare gli animi, dichiarando come «le schiume nel Bormida non sono create dal nostro scarico, ma erano già presenti nel fiume stesso, a monte degli impianti».

Nessun problema quindi? Così sembra per l’azienda, che ha spiegato come i campioni – quelli dell’azienda e quelli di Arpa – abbiano prodotti medesimi risultati. «I nostri dati sono già disponibili e quelli di Arpa, già trapelati, sono concordi», ha chiosato Colosio davanti alla stampa locale.

Poche ore dopo, però, Arpa ha smentito la linea dell’azienda, pubblicando i risultati del campionamento e sottolineando come le schiume riscontrate siano invece oggettivamente riconducibili all’impianto di Solvay/Syensqo perché contengono «concentrazioni di tensioattivi come cC6O4 a ADV», oltretutto in concentrazioni «pressoché raddoppiate rispetto all’ultimo controllo di gennaio 2024».

La sentenza del Tar

L’ultima difficoltà in termini di tempo per Solvay/Syensqo è la sentenza della seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte (Tar), chiamato a pronunciarsi su tre diversi procedimenti riferibili tutti alla produzione di Pfas della proprietà.

La società aveva richiesto l’annullamento di alcuni obblighi, chiesti invece dalla provincia di Alessandria e da Arpa, come i limiti agli scarichi delle sostanze nel torrente Bormida, e nello stesso periodo alcune associazioni ambientaliste e attivisti avevano chiesto di fermare la produzione integrale del sito per il possibile rischio ambientale e sanitario.

Il Tar del Piemonte ha confermato la possibilità di Solvay/Syensqo di produrre il cC6O4 – proprio il Pfas ritrovato in concentrazioni anomale sotto la vasca del reattore E – a patto che rispetti tutti e 32 gli obblighi imposti dagli enti territoriali, tra cui il divieto assoluto di lasciarsi scappare inquinanti nell’ambiente.

Perché, come si legge nella sentenza «alla stregua degli studi scientifici disponibili, risulta presente un rischio per la salute e l’ambiente derivante anche dai Pfas di nuova generazione a catena corta (il cC6O4), talché le contestate prescrizioni trovano giustificazione in forza del principio di precauzione».

Questo però non obbliga l’azienda a interrompere la produzione. Come evidenziano le analisi di Arpa, nonostante il reattore difettoso sia stato spento, i campionamenti nei pozzi interni lo stabilimento evidenziano ancora concentrazioni fuori controllo. Livelli che si aggirano tra i 2mila e i quasi 4mila microgrammi/litro di un composto chimico pericoloso che lì non dovrebbe esserci.

Solvay/Syensqo ha proposto agli enti di fermare la produzione di Pfas fino a fine maggio per rimuovere il terreno contaminato e ripristinare la vasca di contenimento. Tuttavia non è chiaro se l’attività sia attualmente ferma. Quello che si può affermare è che le concentrazioni stanno diminuendo.

L’azienda infatti sta smaltendo la fuoriuscita con i suoi presidi di bonifica, ma non è chiaro come vengano smaltiti e se i presidi siano efficaci. Come afferma la stessa Scrivanti nella documentazione inedita citata poco sopra: le fasi del trattamento del percolato attuate dall’azienda «non sono efficaci [motivo per cui] si ritiene opportuno valutare modalità alternative di smaltimento» perché, attraverso gli attuali presidi i Pfas, non possono che «subire unicamente una diluizione», e quindi non essere smaltiti correttamente.

Inoltre, nel documento viene segnalato come questa sia un criticità segnalata dall’autorità ambientale locale a partire dal 2021. Non è chiaro, quindi, perché la produzione non sia stata interrotta in forma precauzionale nonostante le autorità ambientali sappiano da almeno 3 anni che i presidi di bonifica non sono sufficienti.

Secondo alcune fonti si sta facendo concreta una possibile delocalizzazione verso l’Asia, dove la casa madre belga Solvay ha rinforzato i propri stabilimenti negli anni post Covid.

Il possibile rischio di fuga della multinazionale riporta alla mente l’attuale situazione veneta dell’altra produttrice di Pfas in Italia, la vicentina Miteni che, una volta fatta fallire nel 2018, non ha mai bonificato la falda sottostante il sito.

Contattata per un commento, l’azienda ha preferito non rilasciare ulteriori dichiarazioni in merito, ritenendo le comunicazioni svolte finora sufficienti. Intanto tracce di Pfas sono state ritrovate dalla Asl nell’acqua potabile di Alessandria e di alcuni comuni vicini, come Piovera, dove diversi pozzi sono stati chiusi in forma precauzionale.

Il cC6O4 e l’ADV, poi, sono stati trovati dalla regione Piemonte nel sangue dei cittadini di Spinetta, nell’ambito del biomonitoraggio che ha coinvolto 127 abitanti. Nonostante si tratti di un campione ristretto, il 30 per cento presenta nel sangue valori sopra la soglia di attenzione fissata dagli esperti a 20 nanogrammi al millilitro.


La replica di Syensqo/Solvay

«Ci spiace dover leggere un articolo del vostro quotidiano riguardante Syensqo/Solvay, contenente informazioni imprecise o parziali che rischiano di provocare ingiustificati allarmismi, oltre che fornire una descrizione non adeguata dell’impegno e degli investimenti in sostenibilità effettuati dalla nostra società a Spinetta Marengo. Innanzitutto, che il sito di Spinetta Marengo sia «il più contaminato d’Europa» viene affermato dagli autori dell’articolo senza fornire alcuna referenza né fondamento, utilizzando dati parziali e totalmente decontestualizzati. È pretestuoso ogni accostamento o equiparazione della situazione piemontese con quella veneta soprattutto perché, ad Alessandria, l’acqua è ed è sempre stata potabile come hanno dichiarato anche recentemente gli Enti. Riteniamo inoltre importante precisare quanto segue, limitandoci agli elementi più rilevanti:

- relativamente ai dati sul biomonitoraggio realizzato sul sangue di un campione di cittadini alessandrini, gli autori – che probabilmente riportano dati di seconda mano – trascurano di dire che non sono ancora disponibili i risultati ufficiali.

- Le concentrazioni di PFAS – riscontrate non “sotto una vasca” ma in un piezometro posizionato all’interno di un’area già oggetto di misure potenziate di messa in sicurezza – non sono mai state fuori controllo e hanno interessato una limitata area di impianto, posta in sicurezza da interventi di trattamento in continuo dell’acqua di falda (Mipre) grazie ai quali non è stato registrato alcun impatto sulla falda a valle dell’area stessa. Inoltre, non è stato registrato alcun impatto nemmeno sulla falda all’esterno dello stabilimento a valle della barriera idraulica, come dimostrato da tutte le analisi effettuate sui pozzi esterni allo stabilimento che non hanno rilevato alcuna anomalia.

- La linea E dell’impianto è stata fermata immediatamente e in via cautelativa per volontà di Syensqo, a dimostrazione della tempestiva e prudente gestione dell’impianto anche in situazioni di emergenza.

- Per quanto riguarda i sistemi di trattamento del sito è sufficiente confermare che sono costantemente monitorati dall’azienda e dagli Enti e sono in linea con le migliori tecnologie disponibili con performance ben superiori a quanto richiesto dalla normativa europea BREF BAT.

- Per completezza, occorre dire che la sentenza del Tar citata dagli autori ha respinto anche il ricorso di Legambiente che sosteneva la «scarsa intellegibilità» dell’autorizzazione AIA, soprattutto riguardo alle emissioni e chiedeva la chiusura dello stabilimento in quanto, secondo Legambiente, Solvay avrebbe prodotto C6O4 senza un’autorizzazione valida.

Infine, anche l’ipotesi di una delocalizzazione in Asia è priva di fondamento».

Rispondono Laura Fazzini e Francesco Tedeschi. I dati “parziali” sono dati consegnati dalla stessa azienda alle autorità preposte. Stessa cosa vale per la ricostruzione di quanto avvenuto, visto che è la stessa descrizione dei fatti rilasciata dall’azienda in sede di tavolo tecnico il 16 aprile. Inoltre, l’accostamento con il caso Veneto è doveroso per rendere chiare alcune affinità con il Piemonte: stiamo parlando di rilascio incontrollato di sostanze chimiche persistenti di cui, per alcune, non si conosce precisamente né la quantità prodotta, né quella sversata, né le tipologie, laddove protette da segreto industriale. Per concludere: non si capisce su quali basi l’azienda reputi sotto controllo una concentrazione di 220mila microgrammi litro di un composto pericoloso e talmente persistente da non essere degradabile in ambiente.


La replica di Arpa Piemonte

«In merito all’articolo del Domani del 14 maggio scorso, dal titolo, “Invasione di Pfas alla Solvay di Alessandria: è il sito più contaminato d’Europa” a firma di Laura Fazzini e Francesco Tedeschi e in particolare per le seguenti frasi

“I problemi però non sono iniziati a fine marzo, come dimostrano documenti inediti ottenuti da Domani, Arpa Alessandria aveva già riscontrato concentrazioni anomale a fine ottobre. Tuttavia la comunicazione ufficiale è avvenuta solo il 10 aprile, quando Scrivanti ha inviato una pec urgente a comune, provincia, Asl e azienda” e “Non è chiaro perché Scrivanti abbia aspettato sei mesi prima di comunicarlo, omettendo, in questo modo, di avvertire dei primi segnali di contaminazione gli unici enti che – in forma preventiva – avrebbero potuto bloccare la produzione dello stabilimento. La direttrice di Arpa Alessandria, contattata per un commento, ha preferito non rispondere”.

Arpa Piemonte precisa quanto segue

Non esistono “documenti inediti” dell’Arpa Piemonte. L’Agenzia produce atti e documenti che sono inviati ufficialmente tramite PEC agli enti e soggetti interessati. L’articolo fa riferimento di una lettera inviata via PEC ad oggetto “Pratica G07_2023_00166. Trasmissione analisi percolato. Comunicazione urgente” ai seguenti destinatari: Provincia di Alessandria, Comune di Alessandria, Asl AL e Solvay-Syensqo.

I dati sono stati comunicati agli enti e soggetti interessati non appena disponibili e quindi senza alcun ritardo. Come si può capire dall’oggetto della comunicazione, inoltre, si tratta di analisi sul percolato di discarica (su di un rifiuto, dunque) e non sulle acque, tema dell’articolo in questione.

Quanto affermato dal giornalista Francesco Tedeschi e da Laura Fazzini non corrisponde quindi a quanto realmente accaduto. Così come non corrisponde al vero che la dottoressa Scrivanti non ha risposto quando è stata contattata. I contatti con i giornalisti sono correttamente avvenuti tramite l’ufficio stampa dell’Agenzia alla fine di aprile e l’inizio di maggio e finora hanno sempre avuto risposta».

Rispondono Laura Fazzini e Francesco Tedeschi. Il termine “inediti”, come si evince dalla stessa lettura del pezzo, si riferisce chiaramente a documenti che non sono di pubblico dominio. Inoltre, nella replica, non pare essere confutata la scansione temporale degli avvenimenti, se Arpa Alessandria ha riscontrato a fine ottobre le concentrazioni anomale, evidentemente le tempistiche di controllo hanno richiesto molto tempo, e ciò attesta in modo oggettivo quanto la reazione di Arpa non possa certo dirsi tempestiva; del pari riferire i picchi di contaminazione al percolato di discarica con toni rasserenanti quasi a sottolinearne l’innocuità, appare quantomeno sconcertante sia dato che proviene da un ente deputato al controllo delle contaminazioni ambientali. Infine: rispetto alle mancate risposte della dott.ssa Scrivanti, nella replica si parla di contatti correttamente avvenuti con regolarità mediante Ufficio stampa, che certamente non equivale ad affermare che la suddetta abbia risposto nello specifico alle domande poste.

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