Domenica 1° gennaio 2023, tutti a lezione di soft power. In Qatar non perdono tempo né si lasciano distrarre dalle parentesi festive che appartengono a altri quadranti geopolitici. Ancor meno si peritano di trattare apertamente un tema che altrove viene maneggiato con cura e senza ostentazione. Hanno fretta di mettere all’incasso l’eredità dei mondiali, avevano cominciato a farlo quando ancora la competizione era in corso, sicché figurarsi se indugiano adesso che la manifestazione è stata chiusa da quasi tre settimane.

Costruire il soft power

Dunque ecco organizzata una conferenza a cura del Katara Public Diplomacy, un istituto di studi avanzati la cui missione è, ancora una volta, esplicitamente illustrata nella home page del sito ufficiale: «Mettere in forma la percezione globale sul Qatar e influenzare il comportamento del pubblico globale del XXI secolo e oltre (...)». Semplice e schietto.

La lezione è stata tenuta da Marwan Kabalan, studioso siriano che è anche direttore di Policy Analysis presso l’Arab Centre for Research and Policy Studies. Che davanti a un pubblico invero piuttosto sparuto, come testimoniano le foto pubblicate dai media qatarioti, ha stilato un bilancio dei successi ottenuti dall’emirato in termini di prestigio internazionale, con culmine toccato grazie all’organizzazione di Qatar 2022. Quanto serviva per dare l’ennesima voce a una volontà di autocelebrazione che nell’emirato tocca da settimane livelli altissimi. Con un obiettivo che era stato chiaro fin dall’inizio dell’intera operazione Qatar 2022: l’egemonia culturale e politica nell’area del Golfo e sull’intera arabo-sfera.

Obiettivo che, al di là di un uso piuttosto azzardato del concetto di soft power su cui Domani ha avuto modo di soffermarsi, si può considerare raggiunto. E che conferisce definitivamente al piccolo emirato un rango da soggetto geopolitico nettamente sovradimensionato rispetto alla sua taglia geografica, alla sua storia nei contesti internazionale e regionale, al suo peso militare. Un risultato che del resto è stato riconosciuto anche dagli altri grandi attori dell’area, che pure avrebbero  avuto qualche ragione di guardare con disappunto a questa crescita da Ogm. Come l’Arabia Saudita, giusto per citare l’esempio più significativo.

E invece proprio la monarchia saudita, che pure fra il 2017 e il 2021 aveva orchestrato l’embargo del Qatar coinvolgendo Bahrein, Egitto e Emirati Arabi Uniti, ha compreso che riconoscere l’ottimo lavoro fatto dagli Al Thani è il miglior punto di partenza per cercare di fare meglio e riprendere un ruolo guida nell’area. Con la consapevolezza che comunque il Qatar è arrivato lassù per restarci.

L’immagine di sostenibilità 

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Le settimane che seguono la rassegna calcistica mondiale sono un continuo bollettino della vittoria. Il mondiale casalingo viene raccontato come il migliore di sempre sotto ogni punto di vista: l’organizzazione, la sicurezza, lo spettacolo calcistico in campo, una finale spettacolare come nessun’altra. E a questi dati propagandati nell’immediato se ne aggiungono altri di produzione più recente.

Per esempio, la notizia fresca secondo la quale il Qatar si piazza al primo posto fra le principali mete degli investimenti diretti esteri. Secondo dati forniti da fDI Intelligence, una società di analisi legata al Financial Times, la performance fatta registrare dall’emirato nel 2022 ha a che fare non soltanto con la celebrazione dei mondiali o con la crisi del gas provocata dall’aggressione russa all’Ucraina, ciò che ha conferito alle riserve gasiere qatariote un’inattesa possibilità di espansione sui mercati esteri. A attrarre investimenti esteri sarebbero stati anche i settori dei business di varia taglia e dei servizi finanziari, oltreché quello dell’IT.

Doha diventa dunque una piazza attrattiva sul piano globale. E intanto, come riferisce un’altra sezione del bollettino quotidiano della vittoria, dimostra capacità di raggiungere elevati standard di qualità anche sul piano delle politiche ambientali e della sostenibilità. A dare la notizia è stata Bodour al Meer, direttrice esecutiva del Dipartimento per la sostenibilità all’interno del Comitato supremo per l’organizzazione e l’eredità dei mondiali. Le cifre fornite da al Meer riferiscono che i rifiuti prodotti durante la manifestazione sono stati riciclati all’80 per cento, ciò che porrebbe l’emirato in posizione di avanguardia in materia di economia circolare. Non si può far altro che prendere atto e passare oltre, poiché i dati sono inverificabili.

Va da sé che l’impegno qatariota nell’attrazione delle manifestazioni sportive non si fermi con la conclusione dei mondiali di calcio. Nei primi giorni del 2023 il comitato olimpico nazionale ha pubblicato una lista degli eventi programmati nell’emirato per l’anno solare: ben 81, di cui 14 di carattere internazionale. Fra questi ultimi, i mondiali di judo e una tappa della Coppa del Mondo di ginnastica artistica. Senza dimenticare la nazionale di calcio, che nonostante le discrete premesse ha clamorosamente fallito l’appuntamento coi mondiali di casa. Dopo il licenziamento del commissario tecnico spagnolo Félix Sánchez Bás la squadra è stata affidata al portoghese Bruno Miguel Pinheiro, che la guiderà nella Coppa del Golfo in programma dal 6 al 19 gennaio in Iraq.

La questione palestinese

Su un tema la propaganda dell’emirato è stata insistente fin dall’inizio: fare del mondiale di casa un’occasione per mostrare sulla scena globale un’immagine diversa del mondo arabo. Qatar 2022 doveva essere la grande occasione storica per costruirne una diversa rappresentazione, fatta di dinamismo e rifiuto della subalternità. In questo senso anche l’esito del campo, con l’exploit della nazionale marocchina capace di piazzarsi al quarto posto, ha dato una spinta simbolicamente molto forte.

Di sicuro c’è che per quanto riguarda l’agenda dei diritti e delle libertà personali, l’emirato non ha ceduto di un millimetro imbracciando la bandiera della cultura araba contro la pretesa di superiorità da parte dell’occidente, in ciò spalleggiato dalla leadership della Fifa.

Un po’ più in sordina è passata, sul piano globale, l’enfasi assegnata durante i mondiali dai media qatarioti alla causa palestinese. Tutte le volte che è stato possibile i siti delle testate giornalistiche del Qatar hanno rimarcato la presenza di bandiere palestinesi sugli spalti, agitate dalle tifoserie delle nazionali arabe. E alcuni editoriali hanno colto l’occasione della grande vetrina del mondiale per rimettere al centro la questione. Con l’emirato che, ancora una volta, ha mostrato uno sforzo di iniziativa politica su un tema che durante i mondiali è passato in secondo piano. Le polemiche di questi giorni, animate dal blitz presso la moschea di Al Aqsa da parte del ministro israeliano ultranazionalista Ben-Gvir, sono state alimentate all’unisono dalla stampa dell’arabo-sfera.

I media qatarioti erano già avanti, poiché hanno mantenuto l’attenzione sulla causa dei territori occupati quando anche il resto dei media arabi guardavano soprattutto ai mondiali. Non abbastanza per fare del Qatar il primo difensore della causa palestinese del mondo arabo, ma certamente uno speciale segnale di attenzione, che consente di portare a casa un altro pezzo di egemonia nel mondo arabo.

Per il resto, il racconto delle cose che viene fatto a uso e consumo dell’opinione pubblica locale non contempla il minimo riferimento a questioni che possano guastare il tono positivo. Dunque si mantiene irriducibile il silenzio sullo scandalo della presunta corruzione partita dall’emirato per inquinare il parlamento europeo. E quanto alle notizie di cronaca nera, per trovarne traccia bisogna che davvero succeda qualcosa di clamoroso, in un paese che tanto somiglia all’immaginaria Pleasantville del film diretto da Gary Ross.

Quell’episodio clamoroso è stato reso noto giovedì 5 gennaio, col sequestro di un’enorme quantità di Captagon, la droga usata come eccitante dai militanti del jihad. Un quantitativo di 9.156 pasticche è stato intercettato dagli ufficiali della dogana, nascosto in un carico di materassi per bambini. Un episodio di cronaca che proietta una macchiolina sull’immagine idilliaca dell’emirato. E il fatto che buchi la barriera del controllo informativo è il segno che qualche preoccupazione stia circolando.ù

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