Quindici anni fa, a Rio de Janeiro, il presidente dell’Uruguay Pepe Mujica disse: «È necessario ripensare il nostro modo di vivere. Lo sviluppo deve favorire la felicità dell’uomo, perché è il nostro tesoro più importante». Un concetto semplice, eppure ancora rivoluzionario e poco applicato. Per essere felici non bisogna solo produrre, accettare, andare e fare, ma anche rinunciare, non accettare, non andare, non fare, in poche parole dire NO.

Quando pensiamo a Gigi Riva i suoi NO appaiono subito dopo la sua faccia, tra un gol e l’altro, perché diceva NO, Gigi? Perché voleva favorire la sua felicità che poi era quella di tutta la Sardegna. Su quei NO e i suoi gol ha costruito la sua leggenda, l’unica italiana che travalica il tifo e il tempo. Nel 1960 Mario Schifano dipinse un NO gigante, rosso, sgocciolante, sbilenco, d’opposizione a tutto, oggi sarebbe la copertina migliore per raccontare quello che è accaduto sulle panchine italiane.

Ha cominciato Antonio Conte, una vita alla Juventus, che dopo aver parlato con Aurelio De Laurentiis, Lele Oriali e soprattutto con la sua famiglia ha deciso di dire NO, restando al Napoli e sconvolgendo la Juventus che solo ora ha confermato Igor Tudor, dopo aver barcollato e non poco, e aver incassato anche il NO di un altro prodotto juventino: Gian Piero Gasperini, che ha scelto la Roma e il progetto Claudio Ranieri.

Poi è arrivato il NO di Simone Inzaghi all’Inter che, nonostante i cinque gol presi in finale di Champions League con il Paris Saint-Germain, voleva rinnovargli la fiducia. A quel NO di Inzaghi è seguito quello di Cesc Fábregas, che forse conosce quel discorso di Mujica e ha preferito il Como all’Inter. E, infine, è arrivato il NO più grande e importante di tutti: quello di Claudio Ranieri alla Nazionale italiana, dopo il licenziamento di Luciano Spalletti.

I Mr. Wolf si stancano

Tutti questi NO uniti come puntini ci stanno dicendo che la Juventus, l’Inter e la Nazionale non si aspettavano quelle risposte, perché ragionavano in un modo vecchio, sentendosi una proposta che non si poteva rifiutare e, invece, NO, NO alla Juventus da parte di due juventini, NO all’Inter da parte dell’allenatore che l’ha portata due volte in finale di Champions, e NO dal miglior allenatore emergente che dovrebbe far carriera in fretta e invece decide di continuare a fare esperimenti su quel ramo del lago di Como, e poi, a chiudere, arriva il NO dall’allenatore che voleva essere il CT della Nazionale – come tutti gli italiani della sua età, su quelli più piccoli, dovremo fare diversi studi per capirlo – e decide che NO, anche i Mr. Wolf si stancano, o forse non tutti i problemi hanno una soluzione.

Oppure anche Ranieri si è ricordato di Mujica, o stando a Cagliari ha assorbito la vocazione di Gigi Riva, ed eccoci di nuovo al quadro di Schifano, quel grosso NO, rosso e sgocciolante che campeggia sul calcio italiano, principalmente sulla testa del presidente FIGC, Gabriele Gravina, che poi dovrebbe essere la sua parola preferita visto che è quello che risponde ogni volta che gli viene chiesto di andarsene.

Ora la sua parola preferita gli torna indietro come il boomerang a Paolo Villaggio, ma lui sa rilanciare, è la più grande incarnazione del teorema Ricucci, ovvero ai triangoli di Gravina manca sempre un lato, se poi aggiungiamo che non è mai selvaggio né sentimentale capiamo bene a chi ha detto NO il sir/sor Claudio Ranieri. Il suo NO è una spina proprio dove il suo Sì era la rosa che andava bene a tutti. Il NO comporta sempre una spiegazione, come sta avvenendo in queste ore, con pubblicazione anche dei suoi messaggi privati, come a dire: vale tutto pur di capire.

E se invece non ci fosse nulla da capire? Come cantava Francesco De Gregori, perché Ranieri ha scelto di tenere fede alla promessa fatta a sé stesso prima ancora che alla Roma, voleva smettere e ha smesso, e ora farà il dirigente con meno responsabilità e più tempo per vivere e viaggiare. A differenza degli altri NO che passavano anche per ragioni economiche, oltre che sentimentali e selvagge, pensate a Inzaghi in Arabia, più di Totò, quello di Ranieri era un NO al tempo, al destino, al fato, che è arrivato troppo tardi rispetto al sogno, e poi un fuoriclasse almeno devi «aveccelo», direbbe Totti, fosse solo per sopportare il cinismo di Gravina o la sua disperazione.

Come diceva Mario Monicelli: «Venite ora da me perché tutti gli altri sono morti». C’è un tempo per ogni cosa: per fare il CT della Nazionale e anche per fare l’eroe nazionale e quello di Ranieri – a suo avviso – era passato, oppure non gli andava più, anche gli eroi si stancano, che poi come diceva Romain Rolland: «Eroi sono tutti coloro che fanno tutto quello che possono», e Tonali, Barella e Donnarumma non sono i tre moschettieri e non sono abbastanza per convincere Ranieri a ricominciare tutto daccapo, a fine carriera poi e dopo aver visto la partita contro la Moldova.

Per fare il martire ci vuole un po’ di vocazione. Quindi ha calcolato che dati causa e pretesto, a Gravina tutto il resto. Perché Ranieri ha scelto i Friedkin come Mark Renton “Rent Boy” sceglie la vita sul finale di Trainspotting, una vita normale, senza la Nazionale, che non fa scalpore paragonare all’eroina, guardate come è finito Luciano Spalletti, a questo punto De Laurentiis non è più il Vietnam, ma un parco giochi disneyano.

I ragazzi del 2006

Il NO di Ranieri è quello che sta sopra le teste di tutti, soprattutto sui desideri dei ragazzi italiani che non hanno mai visto l’Italia ai Mondiali mentre le librerie sono piene di volumi che gli raccontano l’Italia ’82 e a questo punto va bene anche quella del 1990, quella del 1994 è tutta nel rigore di Roberto Baggio che sta facendo la fine di Moacir Barbosa, il portiere del Brasile del 1950.

Invece, la vittoria del 2006 ha qualcosa che non va per via dei rigori, o forse perché priva di epicità, nonostante gli sforzi di Caressa&Bergomi, o forse perché tutti quei campioni del mondo stentano a diventare allenatori e quindi padri del pallone, sono rimasti figli, sebbene per alcuni di loro ora si prospetta persino la successione a Spalletti dopo il NO di Ranieri. Rino Gattuso davanti a tutti. Lo danno in pole position.

ANSA

Oppure, Gravina ha una possibilità di far germogliare il NO di Ranieri, e aiutare a crescere veramente l’Italia, NO, non deve capire Mujica, o mettersi a studiare Le undici virtù del leader di Jorge Valdano, ma può uscire dal consueto ed entrare nel futuro, chiamando non un amico degli amici, ma uno come Francesco Farioli o Roberto De Zerbi, prima che diventino dei Ranieri stanchi, perché serve ricostruire non rattoppare.

Viene da sfogliare l’album di tutti quelli che dovevano esserci e non ci sono stati, di quelli che potevano cambiare la Nazionale e non sono arrivati nemmeno a dire NO, su tutti Zdeněk Zeman, il re del NO, al doping economico e farmaceutico e al potere calcistico-moggiano, che non ha visto nemmeno i limoni come cantava Enzo Jannacci.

Ora il NO ha vinto. In un inizio d’estate dove i referendum falliscono come la Nazionale, e il paese è impantanato alla ricerca dell’eroe. E se anche gli eroi italiani si fossero stancati? Non a caso, Julio Velasco, uno dei pochi rimasti, chiedeva di votare Sì al referendum per l’abbassamento degli anni di residenza per richiedere la cittadinanza italiana, e l’Italia ha detto NO, senza nemmeno prendersi la briga, come Ranieri, di pronunciarlo, scegliendo la diserzione, il mare e il silenzio.

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