Lorena Cesarini

Quel «carina sei» di Iva Zanicchi a lei rivolto quando si sono incrociate sul palco è il sunto del travolgente disastro a cui abbiamo assistito. Lorena Cesarini ha esordito ringraziando l’uomo che l’ha scelta, quel magnanimo di Amadeus che, pensate, le è apparso all’improvviso il primo gennaio, come una specie di Dio Giano, per comunicarle che lei, proprio lei era una delle prescelte.

E chissà, la Rai magari l’ha pure pagata. Le hanno pure prenotato un hotel. Ringraziava commossa, Lorena, piangeva, rideva, sospirava. Pensavamo che potesse bastare così, con l’immagine della fortunata eletta chiamata a fare da ancella al suo signore, e invece no. Invece s’è aggiunta pure la lettura dei tweet cattivi sull’Italia razzista, e non è che non sia vero che sia un paese pieno di gente razzista, ma perché tutto sulle spalle gracili di questa donna?

Perché non poteva godersi il suo momento e la sua serata come Fiorello, Amadeus, Zalone anziché indossare il vestito della vittima che deve dire per forza qualcosa che scuota le coscienze, perché una donna che sale sul palco non può essere semplicemente brava e divertente? No, deve avere l’investitura della missione.

Pure se non ha l’impalcatura, la struttura per sostenerla. Come Lorena Cesarini. Che alla fine di quello sgangherato discorso retorico e quel vittimismo scolastico da prima serata a Sanremo è finita per sembrare non chi combatte, ma chi soccombe.

E quindi, appunto, torniamo all’inizio, al saluto della donna d’altri tempi, dell’Iva nazionale che la saluta con la genuinità disarmante dell’italiano medio che stava appunto pensando: «Carina sei». Un disastro. Voto: 1

Sangiovanni

Sangiovanni (Foto Matteo Rasero/LaPresse)

Inserito nel cast solo in nome dell’inclusività: sempre lo stesso santo, Sanremo, per 72 anni era un evidente abuso di posizione dominante. Invece, di San Giovanni nella storia, stando a Wikipedia, ce ne sono almeno 64.

Vari martiri, qualche vescovo, molti dottori della chiesa. Nessun cantante. Quello del festival non interrompe questa bellissima tradizione. Tra l’altro non esiste nessun santo di nome Remo. Voto 4

Le Vibrazioni

Le Vibrazioni (Foto Matteo Rasero/LaPresse)

Il fatto che la loro canzone sia stata, fino alle 22.55 circa, la migliore della serata è un buon indicatore della qualità media delle composizioni. Non ho altro da aggiungere a riguardo ma non potevo lasciare questo paragrafo troppo più corto degli altri. Adesso comunque dovremmo esserci, a occhio e croce. Voto 6

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Rovazzi e Orietta Berti

Chiamati a sorridere serafici da una nave da crociera a 10 anni esatti dal naufragio di Costa crociera e dunque per questo già da ammirare, il sospetto è che la Costa Toscana, la scintillante nave-sponsor da cui i due conducono una specie di cambio palco con ospiti dell’edizione dell’anno scorso, sia in realtà la famosa nave quarantena su cui, se vi ricordate, dovevano essere reclusi tutti, pubblico e partecipanti, per due settimane prima di fare ingresso all’Ariston.

Orietta e Rovazzi sembrano proprio rimasti lì per un anno intero, come in uno degli universi paralleli di Ritorno al Futuro in cui tutto è destinato ad accadere di nuovo ma con delle clamorose differenze. Biff presidente degli Stati Uniti, Rovazzi conduttore, robe così. La coppia ha però il pregio di far sentire le canzoni migliori: quelle dello scorso anno. Voto 5.

Higsnob e Hu

Highsnob e Hu (Foto Matteo Rasero/LaPresse)

La canzone mi ha risvegliato dal torpore indotto dall’assuefazione alla mediocrità delle precedenti, e non è poco. Qualche giorno fa hanno dichiarato che nella serata delle cover canteranno Mi sono innamorato di te, con «rispetto del valore di quel brano e dell’importanza che Tenco ha per la cultura italiana». Dopo il trenino da villaggio turistico di Fiorello sulle parole disperate di Vedrai vedrai, è un barlume di speranza. Voto 7.

La musica: l’anno scorso c’erano i Maneskin, Musica leggerissima, il pezzone de La rappresentante di Lista, ma anche Voce di Madame, i Coma Cose. Quest’anno, a parte un paio di pezzi, sembrano esserci solo Mahmood e Blanco. Ed è un po’ pochino. Voto 4.

Checco Zalone

Checco Zalone (Foto Matteo Rasero/LaPresse)

Tra la trans calabrese, il rapper milanese e il virologo di Cellino il personaggio meglio riuscito è stato il secondo. Il rapper che non ha una storia di riscatto da raccontare e al massimo era solo poco ricco. Il virologo era divertente ma aveva un difetto: cavalcava e rimasticava quelle idee facili e un po’ populiste secondo le quali i virologi sono dei cazzoni litigiosi senza futuro e senza presente se non c’è una pandemia che li porti in tv.

Ed è bizzarro, perché Zalone non sceglie quasi mai strade facili, forse aveva bisogno di “sanremizzarsi” un po’. Sulla trans calabrese ci sarebbe molto da dire e sono certa che il plotone degli indignati non mancherà, io ho trovato che per la prima volta Zalone indossasse la maschera sbagliata.

Lui non è mai moralista, e invece era moraleggiante. Lui non è mai il discriminato, è sempre quello che discrimina più o meno volontariamente. Non è mai sul pulpito di chi ci spiega con fare didascalico quanto siamo pieni di pregiudizi, lui è sporco e cattivo come noi, è la nostra parte peggiore, quella vile, meschina dell’italiano medio.

E invece ieri era la trans buona che racconta quanto siano ipocriti i suoi clienti dalla doppia vita, che ci racconta quanto siamo tutti diversi oltre le apparenze, che siamo incoerenti come un Luca Morisi qualunque. Però poi quando c’è da fare un nome scomoda Lapo, bersaglio più facile, più polveroso.

E nel tentativo di non essere Chapelle, finisce per inciampare nello stereotipo degli stereotipi: ci invita a non avere pregiudizi cavalcando un pregiudizio facile, ovvero trans=prostitute. Che a me non irrita, ma delude un po’. Perché Zalone è molto di più. Voto, comunque, 7 e mezzo.

Amadeus

Amadeus (Foto Matteo Rasero/LaPresse)

Lui sì, è la maschera meglio riuscita dei film di Checco Zalone, ovvero quella dell’italiano medio che ha capito cosa è giusto, cosa va fatto, cosa è corretto, ma non lo ha ancora interiorizzato. Quello che “Gli uominisessuali sono gente come noi normali”, per intenderci.

Per lui le donne sono gente come lui, è gentile, è davvero convinto di trattarle come sue pari e di averle scelte con criteri ineccepibili, ma continua a specificare che sono anche intelligenti, hanno anche studiato, che hanno frequentato centri sperimentali, che mica solo lì per caso, che insomma, sono quasi all’altezza degli uomini. Quasi normali. Appunto. Voto 6 e mezzo. Per la buona fede.

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