Il tasso di sovraffollamento nazionale ha raggiunto il 138,5%, con 72 istituti oltre il 150% e punte superiori al 200%. Il bilancio tracciato dall’associazione e le criticità che riguardano il lavoro negli istituti di reclusione e la scarsa presenza di personale
Sovraffollamento crescente, diritti negati, personale assente. È il bilancio dell’associazione Antigone che sottolinea quanto avvenuto nelle carceri italiane nel 2025. In particolare, alla fine di novembre negli istituti di reclusione erano detenute 63.868 persone, quasi 2mila in più rispetto a un anno fa, a fronte di una capienza effettiva di 46.124 posti (700 in meno di quelli che vi erano all'inizio dell'anno).
Sovraffollamento e morti
Il tasso di sovraffollamento nazionale – dicono i dati di Antigone – ha raggiunto il 138,5%, con 72 istituti oltre il 150% e punte superiori al 200%.
«Nel 42,9% delle 120 carceri visitate non sono garantiti i tre metri quadrati di spazio vitale per persona (nel 2024 questa percentuale si fermava al 32,3%); oltre la metà delle carceri ha celle senza doccia e nel 45,1% mancano acqua calda o si registrano condizioni igieniche adeguate», si legge nel report.
Critici anche i numeri sulle morti: 238 persone sono decedute in carcere nel 2025, di cui 79 si sono suicidate, secondo il dossier "Morire di carcere" di Ristretti Orizzonti.
«Il carcere italiano è ormai ridotto a un contenitore di corpi – denuncia Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – e ha abdicato alla funzione di reinserimento sociale prevista dalla Costituzione. Molto doloroso doloroso tirare le somme di un altro anno di carcere in Italia ma il bilancio di fine 2025 è forse il più cupo degli ultimi anni. Perchè restituisce l'immagine di un sistema penitenziario che è sempre più in crisi, con tensioni in costante crescita e un silenzio assordante da parte delle istituzioni che rifiutano qualsiasi ipotesi di riforma e qualsiasi intervento che permetterebbe di alleggerire il peso delle carceri, a beneficio delle persone detenute, che vivono ammassate l'una sull'altra e degli operatori che, già sotto organico, denunciano un pesante e crescente stress lavorativo».
Il personale
Tra le varie voci del report, c’è anche il focus sugli operatori all’interno delle carceri. La situazione del personale non è meno critica. Sempre dai dati delle visite di Antigone si evidenzia come solo il 77,5% degli istituti ha un direttore con incarico esclusivo; negli altri casi la direzione è condivisa tra più carceri, con evidenti ricadute sulla qualità della gestione. In media si contano 1,9 detenuti per ogni agente di polizia penitenziaria e 70 detenuti per ogni educatore, ma in alcune realtà i numeri diventano insostenibili: a Regina Coeli si arriva a 3,2 detenuti per agente e 95 per educatore; a Novara a 2,7 detenuti per agente e addirittura 180 per educatore.
Restano altissimi anche gli eventi critici: negli istituti visitati si registrano in media 16,7 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti, 2,6 tentati suicidi e 16,4 isolamenti disciplinari ogni 100 persone detenute.
«La sofferenza psichica è una delle grandi emergenze del carcere italiano – è quanto si legge – Dalle oltre 100 visite effettuate quest'anno da Antigone è emerso come l'8,9% delle persone detenute presentava una diagnosi psichiatrica grave al momento delle visite. A fronte di ciò, il 20% assumeva regolarmente stabilizzanti dell'umore, antipsicotici o antidepressivi, mentre il 44,4% faceva uso di sedativi o ipnotici. Gli psicofarmaci continuano a rappresentare uno degli strumenti principali di gestione dell'ordine interno e del disagio sociale, spesso in assenza di reali necessità e percorsi terapeutici e di supporto».
Il lavoro
E mentre il carcere si riduce a spazio di mera custodia, lavoro, formazione e istruzione restano largamente marginali. Lavora per l'amministrazione penitenziaria circa il 30% delle persone detenute, mentre solo il 3,7% ha un impiego con datori di lavoro esterni. Frequenta la scuola il 30,4% dei presenti, ma solo il 10,4% è coinvolto in percorsi di formazione professionale.
Tutto questo «nonostante il 38% delle persone detenute abbia una pena residua inferiore ai tre anni e potrebbe accedere a misure alternative alla detenzione, che non rappresentano una rinuncia alla pena ma una modalità più efficace e costituzionalmente orientata di esecuzione, capace di ridurre drasticamente la recidiva e aumentare la sicurezza collettiva».
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