Sembra che il Mose funzioni. Sembra che il problema delle grandi navi in laguna sia stato risolto. E sembra anche che Venezia sia avviata a diventare la «capitale mondiale della sostenibilità», come annunciato dal sindaco Luigi Brugnaro con la creazione di un’omonima fondazione. Ma è un inganno percettivo. Se non si cambia rotta Venezia e la sua laguna sono destinate a scomparire, proprio come paventato dall’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis: «Non per la crudeltà di un nemico né per l’irruzione di un conquistatore. Sarà soprattutto per oblio di se stessa».

Nessuna delle decisioni prese su Venezia a partire da quando si optò per costruire il Mose ha infatti avuto il coraggio di prendere in carico la complessità e la fragilità dell’ambiente veneziano. Piuttosto si sono costruite e si continuano a costruire narrazioni spendibili sul piano della comunicazione e della politica che consentano di movimentare soldi e voti, di fatto rimandando, quando non aggravando, i problemi che restano tutti drammaticamente irrisolti.

Un progetto mai finito

(Foto LaPresse)

Il Mose non è mai stato finito, mai collaudato e mai testato su maree eccezionali. L’ultimo rinvio (al 2025) del termine dei lavori è di questi giorni. Soprattutto l’opera risulterà inutile nel giro di un paio di decenni, non potendo risolvere il conflitto tra la necessità di tutelare la città storica dalle acque alte, il bisogno di ricambio d’acqua della laguna e la mobilità nautica attraverso le bocche di porto. Quanto alle navi da crociera sono ora previsti “approdi temporanei” tra i container e le ciminiere di Marghera, che richiederanno interventi invasivi nell’area protetta della Laguna.

E la costituenda fondazione “Venezia capitale mondiale della sostenibilità”, alla cui presidenza Brugnaro ha indicato di volere il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, avrà una sede prestigiosa in piazza San Marco, ma «manca di un programma di ispirazione scientifica, indipendente e autorevole», come osserva Andreina Zitelli, già consulente del ministero per l’Ambiente e docente allo Iuav, nonché tra i responsabili della valutazione di impatto del Mose (che aveva espresso parere negativo già nel 1998).

«L’iniziativa suona come un’ulteriore proposito di spoliazione di risorse a fini locali ed elettorali. A oggi di sostenibile a Venezia non c’è nulla: né sul piano economico, né ambientale, né sociale». È dall’alluvione del 1966 che si lanciano appelli per salvare Venezia. Per farlo, sul piano ambientale, occorrerebbe allargare lo sguardo a tutta la bassa costa adriatica, da Ravenna a Monfalcone, così da gestire l’innalzamento del livello del mare e i fiumi alle spalle delle terre basse.

E per Venezia in particolare servirebbero interventi progressivi, già prefigurati ma mai presi in considerazione, quali la sperimentazione del sollevamento di singoli edifici e di porzioni di insulae, e la diminuzione delle profondità dei canali marittimi interni alla Laguna. «Piuttosto che nuovi scavi, come ora previsto per la crocieristica, serve un vero piano di recupero dei bassi fondali», commenta Zitelli.

L’obbligo di allontanare le grandi navi da San Marco risale al 2012; era stato istituito dopo l’affondamento all’isola del Giglio della nave Concordia (decreto Clini-Passera), ma mai messo in pratica, nonostante l’individuazione nel 2016 di un progetto ambientalmente compatibile alla Bocca di Lido (Duferco).

Solo in seguito al clamore per il ripresentarsi delle navi da crociera in laguna dopo la prima ondata del Covid-19 e all’intenzione dell’Unesco di iscrivere Venezia nella lista nera dei siti a rischio, la scorsa estate con provvedimento voluto dal presidente del Consiglio Mario Draghi le navi sono state sì bandite dal bacino di San Marco e dal canale della Giudecca, ma reindirizzate in fondo alla laguna, a Marghera, dove in attesa di una soluzione definitiva sono ora programmati nuovi scavi per la creazione di approdi temporanei.

Scelta discutibile sul piano economico, ambientale e della fattibilità, oltre che cinica. Al ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini sono state presentate stime di scavi per sette milioni di metri cubi di fanghi inquinati dei canali industriali di porto Marghera. «Dunque non semplici sabbie o limo, come li si vorrebbe declassificare», dice Zitelli.

«Gli scavi rappresentano il vero affare lagunare. La sola movimentazione vale tra i dieci e i 13 euro al metro cubo quindi tra i 70 e i 90 milioni di euro. Soprattutto deve suonare un alert quando controllori e controllati fanno parte della stessa “squadra”, come illustrato al ministro dall’Autorità portuale, il cui presidente è anche il Commissario straordinario agli scavi». Da ricordare che proprio sugli scavi e sulla movimentazione dei fanghi sono stati costruiti i fondi neri del Mose.

Gli approdi temporanei

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La realizzazione degli approdi temporanei a Marghera richiederebbe per altro, oltre che una variante al Piano regolatore portuale (di per sé obsoleto: risale al 1965), anche la Valutazione di impatto ambientale (Via) e la Valutazione ambientale strategica (Vas), come da direttive europee.

Nel 2020 la danese Force Technology aveva svolto uno studio per Venezia terminal passeggeri finalizzato a studiare l’impatto del vento sulle grandi navi nel canale dei Petroli, a fronte del rischio che le imbarcazioni potessero essere sospinte e mettersi a traverso (effetto Suez). Lo studio risulta inaccessibile, e oggi ne viene annunciato uno nuovo, promosso dall’Autorità portuale nell’ambito del progetto “Channeling: the Green deal for Venice” per complessivi 1,7 milioni di euro, di nuovo con Force Technology tra i partner.

«Nel Prnn non c’è nulla relativo alla pianificazione territoriale necessaria per l’adattamento ai cambiamenti climatici delle aree sensibili, e nel caso di Venezia Giovannini stanzia più di duecento milioni su progetti e piani non approvati», osserva ancora Zitelli.

«La creazione di un grande terminal a Marghera risponde agli interessi dei proprietari delle aree inquinate e non bonificate, e agli interessi dei proprietari delle aree limitrofe, come è Brugnaro e, non è il solo. Draghi poteva non sapere, non così i suoi consiglieri». Proprio sui numerosi conflitti di interessi del sindaco Brugnaro, anche rispetto all’area dei Pili a Marghera di sua proprietà, Giovanna Faggionato ha pubblicato una serie di inchieste su questo giornale.

Il traffico generato dai trasferimenti da Marghera verso l’aeroporto e la città vecchia sarà a sua volta da valutare in termini di impatto ambientale. Da attendersi che andrà a interferire con quello commerciale e industriale. Né pare realistica l’ipotesi di un terminal per crocieristica e mega container in mare aperto, ora in fase di concorso di idee: un simile progetto è già stato giudicato non percorribile dal Cipe, ricorda Zitelli, che contesta come inappropriata anche l’attribuzione della gestione della Laguna al ministero delle Infrastrutture: «Venezia e la sua Laguna non sono un’infrastruttura, bensì un ecosistema unico e complesso con al centro una realtà storica millenaria: servirebbe un progetto incardinato presso la presidenza del Consiglio e in rapporto diretto con l’Unesco». 

“Salvare Venezia” vorrebbe dire anche aggredire la speculazione economica esercitata dall’industria del turismo che ha soffocato la città, desertificando le funzioni di prossimità ed espellendo (o auto-espellendo, come raccontato da Andrea Segre in Welcome Venice) i residenti dalla città antica.

Il loro numero è ormai in caduta libera, si approssima a scendere sotto i 50mila abitanti; anche gli studenti universitari, migliaia di giovani che contribuiscono a tenere viva Venezia, sono costretti a migrare in terraferma. Difficile un cambio di passo fintanto che ai residenti sia preclusa la possibilità di esprimere un’amministrazione che li rappresenti. Oggi, ricorda Zitelli, il sindaco di Venezia viene eletto con i voti di Mestre, realtà urbana e sociale ben diversa.

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