Nel febbraio del 1946, subito dopo la sconfitta del nazifascismo in Europa, gli ex deportati e prigionieri politici fondano a Varsavia la Federazione internazionale degli ex prigionieri politici (Fiapp). Nel luglio del 1951 la federazione decide, al congresso di Vienna, di aprirsi alle organizzazioni di ex combattenti della Resistenza e agli attivisti di diverse opinioni politiche di 18 paesi europei, compresi gli eredi degli oppositori al nazismo in Germania. È da questa scelta europeista e internazionalista che nasce la Fir, Federazione internazionale dei resistenti.

Mai più fascismo

La forza della Fir è evidente sin dai primi passi, un insieme di milioni di donne e uomini che hanno operato per sconfiggere la barbarie nazifascista e che si riconoscono nel giuramento fatto all’apertura dei campi: «Mai più fascismo, mai più guerra!»

Poco conosciuta ai più, pur rappresentando una delle più importanti realtà dell’antifascismo del dopoguerra, la Federazione internazionale dei resistenti cresce con i principi che i sopravvissuti ai lager nazisti hanno voluto scrivere nel primo statuto della Fiapp: «Lottare vigorosamente per la soppressione totale del fascismo in tutte le sue forme e ovunque venga alla luce e per lo sradicamento dell’ideologia fascista; combattere con tutti i mezzi ogni opera visibile e invisibile a favore di una rinascita del fascismo».

Una lotta che vede la Fir impegnarsi in diversi incontri internazionali contro la rinascita del nazismo e dell’antisemitismo o contro «il neofascismo e il nazismo», identificando già con attenzione, alla fine degli anni Sessanta, quelle sottili distinzioni – non certo solo semantiche – che saranno alla base delle nuove destre in Europa alla fine del secolo scorso.

Gli interventi

Esemplare è la manifestazione di Strasburgo del 21 aprile 1979, contro la prescrizione dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità, che segue e precede le diverse prese di posizione contro la nomina da parte della Germania di un Commissario europeo compromesso con il regime hitleriano o la richiesta di dissoluzione di tutte le associazioni di ex SS.

Impegno che non cessa nel presente e che vede oggi la federazione sostenere la battaglia dei suoi membri belgi e tedeschi contro il pagamento delle pensioni di guerra che Bruxelles continua a versare agli ex collaborazionisti arruolati nelle SS, o in prima linea per la rimozione del monumento eretto a Zedelgem, a qualche chilometro dalla capitale dell’Europa, in ricordo di alcuni prigionieri internati nel vicino campo di Vloethemveld.

Un alveare in pietra con centinaia di api, per non scordare «quei lavoratori pacifici che sono tali sino a che non si sentono minacciati». Un’idea del Museo nazionale dell’occupazione della Lettonia in collaborazione con il comune della ridente località delle Fiandre. Per non dimenticare i membri lettoni della 15ª e 19ª divisione delle Waffen SS che lì furono internati, in un campo di detenzione gestito dall’esercito inglese, dopo l’8 maggio 1945.

Per la pace

Accanto all’incessante lavoro di contrasto alla riorganizzazione dei gruppi fascisti, documentando i crimini del passato e realizzando una costante attività di monitoraggio delle diverse realtà nazionali, la Fir non dimentica un’altra parte fondamentale delle parole dei sopravvissuti, che vollero costituirsi in federazione anche per «sviluppare un’attività che miri a rafforzare la solidarietà internazionale per la stretta collaborazione dei popoli nei vari campi della vita politica, economica e culturale, affinché sia assicurata una pace mondiale duratura e sia impedita una nuova guerra; per rappresentare gli interessi degli ex prigionieri politici nei confronti dei governi e di altre agenzie nazionali e internazionali, per lottare per l’educazione democratica del popolo; erigere monumenti per le vittime della barbarie fascista e mantenere i memoriali dei martiri; istituire archivi internazionali sulle prigioni e sui campi fascisti».

È su questa linea che la federazione si adopera per assistere le vittime dei campi, operando per il riconoscimento dei loro diritti sociali e medici e, in piena guerra fredda, legando il suo impegno alla questione della pace, del disarmo, della comprensione e della cooperazione tra Est e Ovest, diventando la voce degli ex combattenti della Resistenza contro l’uso della forza per la risoluzione dei conflitti.

Ieri e oggi

La pace e il disarmo sono al centro dell’Incontro mondiale dei resistenti e degli ex combattenti per il disarmo, organizzato dalla Fir a Roma nel 1979 e di innumerevoli iniziative nazionali e internazionali, tanto da sfociare in un riconoscimento importante: il 15 settembre 1987, il segretario generale dell’Onu, Xavier Perez de Cuellar, conferisce alla Fir lo status di "Messaggero di Pace delle Nazioni unite”.

Realtà che ha ‘pienamente vissuto’ lo spazio che ci separa dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha festeggiato i suoi settant’anni in piena pandemia - ennesima sfida dopo i momenti difficili dello sfaldamento dei blocchi contrapposti, la guerra nell’ex Jugoslavia, la crisi degli anni Novanta e l’apertura della Federazione ai giovani antifascisti del 2004 - la Fir lavora in queste stesse ore alla ricerca di soluzioni per la guerra in Ucraina, conflitto che vede, tra l’altro, contrapporsi due stati le cui rispettive associazioni sono parte della Fir.

Cosciente dei pericoli della guerra, in un mondo in cui se non esiste un cavaliere bianco che possa essere totalmente esonerato da ogni responsabilità, esiste la necessaria assennatezza per identificare i responsabili, per distinguere i colpevoli dalle vittime, la Federazione internazionale dei resistenti ha lanciato un appello ai veterani della Grande guerra patriottica e ai loro discendenti, in Russia, in Ucraina, in Israele, in Bielorussia o ovunque essi oggi si trovino, perché si attivino al fine di far cessare immediatamente le ostilità, forti del loro passato e del loro prestigio. Senza dimenticare il debito nei confronti dei 27 milioni di morti dell’Unione Sovietica, ma ben distinguendo tra le realtà di allora e quelle odierne, non cadendo nell’errore di voler assimilare tra loro eventi e protagonisti che non possono essere equiparati.

Strenuo difensore della pace e del negoziato come strumento per prevenire e risolvere le controversie internazionali, la Federazione riunisce oggi associazioni memorialistiche e di ex combattenti della Resistenza, deportati e prigionieri del fascismo di 27 paesi, e unisce alla presenza internazionale il sostegno ai membri impegnati a combattere la presenza di movimenti di estrema destra, neofascisti o neonazisti in quasi tutti i paesi europei, coordinando azioni e riflessioni sulla minaccia rappresentata dall’ascesa dell’estrema destra in tutto il continente europeo, sullo sviluppo della xenofobia e del razzismo, dell’antisemitismo e di tutte quelle devianze dal cammino democratico che è patrimonio della Resistenza.

«I combattenti della Resistenza si sono uniti per opporsi alla rinascita del nazismo e del fascismo, per vegliare sulle libertà riconquistate, difendere i valori della Resistenza, esigere la condanna dei criminali di guerra, riaffermare i principi che furono base della creazione delle Nazioni unite» scrisse il senatore Arialdo Banfi, partigiano di Giustizia e libertà e presidente della Fir in rappresentanza dell’Anpi in occasione del trentennale della federazione.

Ed è a lui che dobbiamo anche forse l’immagine più limpida di cosa fosse e di cos’è oggi la Federazione internazionale dei resistenti: «È vero che tra di noi ci sono uomini molto diversi, sul piano ideologico, politico, religioso. Ci sono comunisti, socialdemocratici e socialisti, ci sono gollisti e indipendenti; cattolici, ebrei e atei. E malgrado tutto ciò la Fir ha saputo non solo mantenere, ma rafforzare la sua unità».

Un’unità messa spesso in pericolo dagli sconvolgimenti della storia, ma che continua ad essere la forza della Fir e l’essenza della sua autorevolezza.

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