Marcello Viola è il nuovo procuratore capo di Milano: il plenum del Csm lo ha nominato con 13 voti a favore, dopo un breve dibattito su cui si sono allungate le ombre del caso Palamara.

Il procuratore generale di Firenze prende così il posto del pensionato Francesco Greco e da lui eredita una procura che oggi è divisa e in grande difficoltà, dopo i contrasti nella gestione del processo Eni e la fuga di notizie con i verbali sulla presunta loggia Ungheria.

La nomina di Viola dà un segnale di forte discontinuità: la procura di Milano, infatti, negli ultimi anni è sempre stata guidata da magistrati interni e di orientamento progressista. Viola, invece, oltre ad aver svolto buona parte della sua carriera in Sicilia e considerato vicino alla corrente conservatrice di Magistratura indipendente, che lo ha sostenuto nella candidatura.

I suoi contendenti erano il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, sostenuto da Unicost, che ha ricevuto 3 voti e il procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, sostenuto da Area, che invece ne ha ottenuti 6.

Proprio la candidatura di Romanelli risultava quella più in continuità con la gestione dell’ufficio: molto vicino all’ex procuratore Greco, Romanelli ha trascorso tutta la sua carriera nell’ufficio milanese. Invece, la scelta del plenum è stata quella di individuare un candidato di rottura, anche alla luce della profonde divisioni che il caso Amara ha provocato proprio all’interno dei magistrati milanesi.

L’ombra del caso Palamara

A condizionare il dibattito davanti al plenum, però, è stata l’ombra lunga del caso Palamara che già aveva influenzato la nomina del vertice della procura di Roma.

Nella giudizio comparativo in favore della candidatura di Romanelli, infatti, la togata di Area Alessandra Dal Moro ha scritto che «l’immagine di indipendenza» di Viola «è risultata obiettivamente appannata, a prescindere da responsabilità o colpa dell’interessato, per effetto della nota vicenda relativa alla nomina del Procuratore di Roma, oggetto, come noto, di un grave tentativo di condizionamento dell’attività del Consiglio».

Viola, infatti, è il magistrato che è stato inconsapevolmente al centro del caso Palamara. Nel maggio del 2019 lui era uno dei candidati alla successione del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e il suo nome è stato al centro dell’accordo tra Unicost e Mi maturato durante la cena dell’Hotel Champagne di Roma tra Palamara, i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti e cinque membri del Csm.

Proprio questo è stato ribadito nel dibattito anche dal togato Giuseppe Cascini, il quale ha ricordato una intercettazione del caso Palamara, in cui l’ex consigliere Massimo Forciniti diceva che “Viola fa tutto quello che dice Cosimo Ferri” e ha definito questo un «problema insuperabile» tanto da fargli ritenere che il nome di Viola non dovesse nemmeno essere presentato: «Non ho elementi per ritenere che sia vero, ma è oggettivo che così la sua immagine di imparzialità sia violata».

E ha concluso: «Si dirà che è stato nominato a Milano quello che doveva andare a Roma e chi lo voleva lì è stato buttato fuori dalla magistratura o condannato a sanzioni severe», con un riferimento chiaro a Palamara e agli ex togati del Csm sanzionati per il tentativo di condizionare la nomina del procuratore di Roma.

Tradotto: il caso Palamara avrebbe appannato il profilo di Viola a prescindere dal fatto che lui ne sia risultato estraneo e – come si legge nella relazione. lo stesso fatto che il pg di Firenze non sia mai intervenuto pubblicamente per commentare e prendere le distanze dovrebbe essere un elemento da considerare a suo carico, nella valutazione del suo profilo attitudinale.

La difesa di Di Matteo

In favore della nomina di Viola si è espresso invece il togato di Autonomia e Indipendenza Nino Di Matteo, che già lo aveva sostenuto nella corsa alla procura di Roma poi assegnata a Francesco Lo Voi.

Di Matteo ha evidenziato che nel fascicolo Palamara non esistono intercettazioni in cui Viola sia interlocutore e che, anche dalle chat, non risulta che Viola abbia fatto attività di autopromozione. «Viola non può essere a vita vittima di una situazione di cui non è stato protagonista», ha detto Di Matteo, ritenendo scorretta anche la sola citazione nella relazione in favore di Romanelli. 

Poi è passato al contrattacco, rievocando anche le occasioni in cui i nomi di Romanelli e Amato siano emersi nello scandalo Palamara.

«Romanelli è il soggetto in favore del quale si muove in modo scomposto un membro della Dna nei confronti di Palamara, per chiedergli di convincere membri del Csm a confermare Romanelli come procuratore aggiunto in Dna», ha ricordato Di Matteo, citando anche le conversazioni dirette che risultano fatte da Amato per ottenere un contatto con un membro del governo.

Discontinuità

La scelta del plenum del Csm, quindi, si è orientata alla discontinuità evocata nel suo intervento proprio da Di Matteo.

La nomina di un magistrato esterno alle dinamiche ormai consolidate dell’ufficio dovrebbe servire proprio a segnare un nuovo corso in una procura tanto ambita quanto difficile.

Attualmente, infatti, è in corso uno scontro interno sfociato anche in procedimenti penali davanti al tribunale di Brescia: uno per rivelazione di segreto d’ufficio per la diffusione dei verbali del legale esterno di Eni, Piero Amara, contenenti rivelazioni sulla presunta loggia Ungheria; un secondo, invece, riguarda la presunta omissione di atti d’ufficio nella gestione del fascicolo Eni/Nigeria.

Nei giorni scorsi, inoltre, si è svolta una riunione molto tesa tra iprocuratori, in cui è stata contestata la distribuzione dei carichi di lavoro tra i dipartimenti dell’ufficio, adombrando l’esistenza di favoritismi. Inoltre il facente funzioni Riccardo Targetti ha duramente contestato l’atteggiamento dell’aggiunto Fabio De Pasquale, sotto indagine a Brescia per il caso Eni, fino a dargli parere “non positivo” in consiglio giudiziario nella valutazione di riconferma nel ruolo.

Viola, dunque, eredita una situazione decisamente complessa da gestire. Tra i corridoi del palazzo di giustizia milanese, dove si aspettava la decisione del Csm, si parla di «anno zero»: al dispiacere per la mancata nomina di Romanelli, che era unanimemente apprezzato nell’ufficio, in molti pm si somma la convinzione che questa nomina possa mettere fine a «logiche di guerra interna» che risalirebbero anche a prima della guida di Greco.

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