In tempo record sono arrivate le motivazioni della sentenza di assoluzione di Paolo Storari, il magistrato milanese imputato di rivelazione di segreto d’ufficio per aver consegnato all’ex consigliere del Csm, Piercamillo Davigo, i verbali della presunta loggia Ungheria.

La gup di Brescia, Federica Brugnara, lo aveva assolto in rito abbreviato il 7 marzo scorso perchè il fatto non costituisce reato e lo ha motivato con 45 pagine di sentenza. 

«Storari ha più volte riferito come l'intento da lui perseguito fosse quello di segnalare una gestione delle indagini non del tutto appropriata da parte del procuratore aggiunto Pedio e del procuratore capo Greco e di comunicare al Csm il possibile coinvolgimento di magistrati (anche appartenenti alla medesima istituzione) in fatti gravissimi, per le valutazioni di competenza».

Aggiunge la giudice che lo scopo di Storari era di segnalare una inerzia investigativa grave «in quanto relativa a fatti gravi, di rilievo sia penale che disciplinare, a carico o a danno (anche) di componenti del Csm, al fine di valutare la necessità di 'veicolare' tali informazioni al Csm tramite un interlocutore ritenuto istituzionalmente qualificato a riceverle, il quale si era impegnato a fare da 'tramite' con il Comitato di Presidenza».

La gestione inappropriata sarebbe stata quella di una presunta inerzia da parte dei colleghi nell’indagare sulla presunta loggia, la cui esistenza era stata rivelata dall’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, nell’ambito di interrogatori di un filone del processo Eni.

Tuttavia, quella che la gup ha definito «inerzia investigativa» da parte dei magistrati di Milano “contrapposti” a Storari nella vicenda è già stata esclusa dai colleghi dello stesso tribunale di Brescia: sia il procuratore capo, Francesco Greco, che l’aggiunta Pedio erano indagati per omissione d’atti d’ufficio ma la loro posizione è stata archiviata.

«Alla luce delle dichiarazioni di Storari, è emerso come lo stesso si fosse rivolto a Davigo nella sua veste di consigliere del Csm» e Davigo «lo rassicurava (e lo induceva) ad affidarsi a lui, anche quale possibile tramite con il Comitato di Presidenza. Una tale interpretazione, lungi dal basarsi su mere suggestioni, si fonda sulla normativa relativa alla sussistenza dei poteri di inchiesta del Csm (art. 40 del dpr 916/1958)».

In particolare, la gup cita la circolare 510 del 1994 – la stessa chiamata più volte in causa da Davigo ma che secondo alcune interpretazioni non avrebbe attinenza con questo caso – scrivendo che dimostra «il generale potere acquisitivo del Consiglio di atti coperti dal segreto istruttorio».

Dunque il ragionamento della gup è che la consegna dei verbali da parte di Storari non sia stata irrituale, perchè lui era convinto di «interloquire con soggetto legittimato a ricevere quelle informazioni e di veicolare allo stesso per finalità istituzionali, finalità ritenute di tale rilievo da considerare subvalenti le esigenze di segretezza di cui all'indagine».

Storari, quindi, fidandosi di Davigo è incorso «in un errore su una norma extrapenale». Infatti il pm «era convinto di rivelare informazioni segrete» a chi era «deputato a conoscerle».

Tradotto: non si configura il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, perchè Storari in buona fede ha consegnato i verbali a persona che lui riteneva legittimata a visionarli per finalità istituzionali, che superavano le esigenze di segretezza.

Che poi i verbali siano arrivati all’opinione pubblica tramite Davigo non è quindi imputabile a Storari, perchè non è stato lui a farli circolare.

Cosa significa per Davigo

Dunque, le motivazioni dell’assoluzione di Storari rischiano di far ricadere ogni colpa proprio su Davigo, imputato a Brescia per lo stesso reato ma la cui posizione è stata separata perchè ha scelto il rito ordinario.

Davigo, infatti, è imputato perchè ha rivelato il contenuto dei verbali di Amara non solo all’ufficio di Presidenza del Csm (imputazione che “salva” solo la rivelazione fatta al primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, e al procuratore generale di Cassazione, Giovanni Salvi), ma anche al deputato del Movimento 5 Stelle, Nicola Morra.

Inoltre, in seguito a queste rivelazioni e al fatto che Davigo aveva portato fisicamente i verbali nel suo ufficio del Csm a Roma, i fogli trafugati sarebbero poi arrivati alle redazioni di Repubblica e del Fatto Quotidiano e poi anche del consigliere del Csm, Nino di Matteo. Di Matteo, poi, ha informato pubblicamente il plenum del plico anonimo ricevuto e del contenuto, che lui ha subito definito come calunnioso.

Per l’invio dei verbali in forma anonima è indagata a Roma la segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto.

Le motivazioni dell’assoluzione di Storari, quindi, sembrano indicare come unico vero responsabile della rivelazione proprio Davigo.

L’ex consigliere del Csm si difenderà in un processo a porte aperte che inzia il 20 aprile e lui stesso ha fatto capire di volerlo rendere pubblico, rivelando finalmente che cosa è successo in quei mesi tra aprile e maggio del 2020 in cui i verbali sono passati di mano in mano.

La posizione di Ardita

La giudice aggiunge anche un passaggio sulla posizione del consigliere del Csm, Sebastiano Ardita, che si è costituito parte civile nel procedimento perchè ha ritenuto di essere stato leso dalla rivelazione dei verbali, che contengono anche il suo nome come presunto membro della loggia, e che lui ritiene diffamatori.

«L'ipotesi relativa ad un accordo originario fra i due coimputati, volto ad utilizzare i verbali di Amara per screditare Ardita ed alla sussistenza di una versione dei fatti concordata e precostituita risulterebbe del tutto congetturale. D'altronde ritenere sussistenti ipotesi alternative ed ulteriori obiettivi inseguiti da Storari con la condotta contestata, sarebbe privo di qualsiasi appiglio probatorio e destituito pertanto di fondamento. La stessa accusa, in sede di requisitoria, ha rilevato la credibilità di Storari ed ha escluso che ci siamo delle ragioni oscure per le quali Storari abbia passato i verbali a Davigo».

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