«Modesta? Che nome brutto e deprimente!» È il benvenuto tagliente che Valeria Bruni Tedeschi riserva alla novizia che ha accolto a palazzo, e che sceglierà di chiamare, da franco-piemontese colta, Maudit, Maledetta, come Verlaine, Rimbaud, Baudelaire.

Lei è la principessa Brandiforti, per Valeria Golino e per il suo L’arte della gioia, e la licenza anarchica di non andare per ordine è in linea con la materia in questione. È anarchica la scrittura di riferimento, è anarchica un’eroina letteraria che qualcuno ha definito «nietzschiana piena di idee marxiste», una incarnazione di donna post-ideologica «più avanti di noi», come dice Golino, supremamente moderna. Maudit non è solo Modesta. Maudit sono il libro e la sua autrice Goliarda Sapienza.

A Cannes si vede solo il primo di sei episodi, nei cinema in due parti, il 30 maggio e il 13 giugno, prima di passare su Sky. La titanica, gattopardesca statura di Bruni Tedeschi, becchina aristocratica della propria casta, qui non ha avuto il tempo di lievitare. Ma il sovversivo capolavoro di culto di Goliarda Sapienza appartiene più ai francesi che a noi.

È in Francia che, scoperto e tradotto da Nathalie Castagné, scritto tra il 1967 e il 1976 ma cestinato dai grandi e medi editori italiani, nel 2005 è diventato un caso letterario. Feltrinelli lo ha pubblicato solo nel 2008.

Un’eroina sovversiva

Troppo scomoda Modesta per gli anni Settanta dell’Italia democristiana: una creatura d’istinto senza pastoie morali, libera di uccidere per sopravvivere e di godere l’eros, anche morboso, senza riserve. Corre quest’anno il centenario dalla nascita della scrittrice. Golino l’ha conosciuta diciottenne sul set di Storia d’amore di Citto Maselli.

Sapienza era stata compagna di Maselli ed era la sua coach di dizione. Il romanzo macina stupro, incesto, manipolazione, amore saffico e delitti plurimi senza castigo e senza rimorso, per una radicale affermazione di libertà personale e di conoscenza. Il sesso è di volta in volta godimento o contropotere, desiderio carnale senza pudore.

Libera di amare, libera di uccidere.

È difficile trasferire in immagini la materia lavica della scrittura di Goliarda Sapienza, così ambigua e così affine all’Etna che incombe sul racconto, dall’arcaica Chiana del Bove alla Catania sognata.

Golino punta sugli elementi vittoriani, perfino gotici, della saga, sul feuilleton, a beneficio di chi dal divano di casa si beve Bridgerton ma pretende di più. Ha girato solo la prima delle quattro parti del libro, ma il sequel si farà. Qui Modesta (Tecla Insolia, una rivelazione) colleziona, tra i suoi delitti funzionali, ben tre matricidi.

Nella Sicilia latifondista della Prima guerra mondiale, uccide madri vere e simboliche che sono modelli stereotipati di femminilità e tappe di crescita: la vittima, la mistica e la padrona. Bambina, abbandona madre e sorella disabile nel rogo della stamberga in cui fanno la fame. Ma è in quella miseria, nel libro, che ha già imparato che «toccandomi là dove esce la pipì si provava un godimento più grande che a mangiare il pane e la frutta».

Nel romanzo (ma non nel film), lo stupro subito da parte del padre non è solo violenza. La madre numero due è Jasmine Trinca, una suor Leonora reclusa perché peccatrice, che si rispecchia nel desiderio carnale della bambina accolta in quel convento di lusso come un enfant sauvage. Sacrificare la venerata, desiderata Leonora, è un gesto liberatorio.

Il Gattopardo è femmina

Quando arriva sua altezza Valeria Bruni Tedeschi, l’acida principessa vedova Brandiforti (madre della defunta Leonora), L’arte della gioia vola alto. C’è tutto un corredo di echi gotico-vittoriani intorno al soggiorno di Modesta nella dimora feudale.

In soffitta rumoreggia una “cosa” misteriosa, come in Jane Eyre, che è poi il recluso, pazzo rampollo freak della matriarca. Il “mostro”, ammansito ad arte, diventerà il trampolino per il titolo, un marito di comodo sessualmente gratificato a pugnette.

Il povero Rocco, autista, corteggiatore e scomodo testimone (che nel libro non c’è) sarà l’ennesima vittima sacrificale. Al sesso vero, con frutto, provvede don Carmine (un ottimo Guido Caprino), factotum della tenuta, che odora di terra e stalla. L’amante di Lady Chatterley è dietro l’angolo.

L’arte della gioia non è “televisivo”, non ha i tempi, l’estetica e la pruderie da Rai 1. Non lo è soprattutto Bruni Tedeschi nel ruolo della sua carriera: soavemente dispotica, cinica e complice, un Gattopardo femmina più radicale del principe di Salina, becchina della sua casata «di storpi e di mentecatti», vittima per scelta e per volontà.

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