Le concessioni balneari vanno messe a gara, come previsto dalla direttiva Bolkestein. L’ha confermato il Consiglio di Stato (CdS) con una sentenza pubblicata lo scorso 30 aprile, in conformità a pronunce precedenti. I giudici di Palazzo Spada hanno ribadito la scadenza delle concessioni balneari al 31 dicembre del 2023, sconfessando ancora una volta il governo, che invece insiste con le proroghe.

Già nel 2021 l’adunanza plenaria del CdS – affermano i giudici – «ha a chiare lettere precisato» che le spiagge sono una risorsa «sicuramente scarsa» e che le norme sulle proroghe sono disapplicabili «non solo dai giudici nazionali, ma anche dalle stesse pubbliche amministrazioni, non ultime quelle comunali».

Partendo da quest’ultima sentenza, proviamo a chiarire la questione.

I fatti

Dopo molti anni di proroghe a opera di diversi governi, nel 2021 l’adunanza plenaria del CdS stabilì che il termine ultimo per la messa a gara delle concessioni balneari fosse il 31 dicembre 2023 e che, dopo tale data, quelle in essere fossero reputate non più esistenti. Nell’aprile 2023, anche la Corte di giustizia Ue confermò l’illegittimità dei rinnovi automatici, affermando la necessità di una «procedura di selezione imparziale e trasparente».

Nell’agosto 2022, la legge annuale per la concorrenza ribadì la scadenza del 31 dicembre 2023 già fissata dal CdS. Ma nel dicembre 2022, con il decreto Milleproroghe, il governo di Giorgia Meloni dispose un’ulteriore proroga delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2024 (2025 in determinate circostanze). In tale occasione, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rilevò «specifiche e rilevanti perplessità», anche per il mancato rispetto di «definitive sentenze del Consiglio di Stato». Perplessità ribadite dal Quirinale il 2 gennaio scorso, in termini di contrasto «con il diritto europeo e, quindi, con il dettato costituzionale».

La proroga del dicembre 2022 era stata finalizzata dal governo all’adozione di decreti attuativi e alla mappatura delle coste da parte di un “tavolo tecnico”. Ma i decreti non sono mai stati adottati e la mappatura si è risolta in un bluff, essendo sin dall’inizio preordinata a escludere la scarsità delle coste, per aggirare la Bolkestein, che presuppone appunto la scarsità del bene.

La posizione dell’Ue

Che la mappatura sia un bluff l’ha attestato la Commissione Ue in un parere del 16 novembre scorso: l’Italia ha spacciato come disponibili per stabilimenti balneari aree «industriali relative ad impianti petroliferi», «aree marine protette» e altre aree ove è impossibile o vietato collocare stabilimenti balneari. Pertanto, l’Italia deve «adottare le disposizioni necessarie» alla messa a gara.

La posizione dell’Ue è stata confermata di recente dal commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, in risposta all’interrogazione di un’eurodeputata dei Verdi, la quale chiedeva come la Commissione giudicasse i criteri utilizzati dall’Italia per la mappatura. Breton ha ricordato che la valutazione delle risorse naturali disponibili dovrebbe essere «reale e obiettiva», nonché «basarsi su un'analisi qualitativa». In altre parole, l’Italia non può evitare l’applicazione della Bolkestein sostenendo che le coste non siano scarse solo perché calcola pure quelle non adatte o precluse a stabilimenti balneari.

Ulteriore conferma dall’Ue è arrivata dopo la sentenza del CdS: la Commissione, nel prenderne atto, non fa retromarcia rispetto ai rilievi già avanzati sulla mappatura italiana.

A che punto siamo

Il governo si ostina a fingere che una direttiva europea non sia una fonte giuridicamente superiore a qualunque legge nazionale che disponga proroghe delle concessioni. Pertanto, prosegue la procedura di infrazione dell’Ue contro l’Italia.

Forse anche i gestori degli stabilimenti balneari iniziano a capire l’inganno del governo, come ha dimostrato la manifestazione dell’11 aprile scorso: l’incertezza sulle concessioni blocca i loro investimenti.

Mentre l’esecutivo continua l’imbarazzante teatrino, la Grecia lancia aste elettroniche per la messa a gara delle licenze per gestire stabilimenti e attività commerciali connesse. Pure la Spagna ha avviato la messa a gara per l’assegnazione delle spiagge, e gli storici chiringuitos potranno passare a nuovi concessionari. Solo in Italia i balneari paiono intoccabili. Ne andrebbe quantificato il peso in termini di voti, per capire come sia possibile che la categoria da anni tenga “in ostaggio” governi di ogni colore.

Da Palazzo Chigi continuano a ribadire che «è in corso un’interlocuzione tra il governo e la Commissione Ue». Forte è il sospetto che si traccheggi in attesa delle elezioni europee e di una Commissione “amica”. Del resto, quando si mostra scarso rispetto della strada maestra del diritto, restano solo le scappatoie. Scappatoie circa le quali l’Italia vanta una certa tradizione.

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