La politica è fatta di idee e persone: Carlo Calenda ha dimostrato di avere idee confuse e affidabilità personale sotto lo zero. Non c’è da fidarsi neppure quando gli si chiede che ore sono: per l’ennesima volta ha usato il Pd come trampolino per le proprie ambizioni personali. 

Prima ha chiuso un accordo con il segretario del Pd Enrico Letta, poi se lo è rimangiato in diretta tv da Lucia Annunziata dopo un paio di giorni. Calenda sapeva da subito che nella coalizione c’erano anche Verdi e Sinistra Italiana oltre che Luigi Di Maio, tanto che tra i punti dell’accordo c’erano le regole per le candidature dei rispettivi leader (al proporzionale e non all’uninominale). 

Poi deve aver guardato due sondaggi o forse soltanto i commenti su Facebook e ha scelto un’altra strada: invece che essere l’approdo sulle sponde del centrosinistra per elettori moderati spaventati da Salvini & Meloni, Calenda ha preferito trasformare Azione nella bad company di Forza Italia. Per uno che ammira tanto Winston Churchill e Luigi Einaudi ridursi a raccattare gli scarti di Silvio Berlusconi è una ben strana parabola. Magari il paese è davvero pieno di persone disposte a votare Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, ma ora non è più un problema per il centrosinistra. 

Con la rottura del patto Calenda si mette in competizione per gli elettori di centrodestra. Ma in questa elezione vince chi mobilita i suoi, non chi convince lo swing voter, il mitologico elettore mediano (troppo breve la campagna elettorale, tra estate e assenza di programmi).

Fare la sinistra

Tramontata l’ipotesi di un fronte largo anti-destre con tutti dentro, superata l’alternativa di un centrosinistra sbilanciato verso il centro e Calenda, a Enrico Letta e soci non resta che un’opzione antica eppure originale: fare una campagna elettorale di sinistra, con o senza i Cinque stelle (impiccati a misure assurde come il super bonus o inutili come il cashback).

Letta potrebbe scoprire che invece si usare espressioni astruse come “occhi di tigre” o “agenda draghi”, si prendono più voti parlando di tasse, di welfare, di attacco alle rendite (dai taxi ai balneari alle società dell’energia), che della collocazione internazionale dell’Italia importa agli elettori assai meno delle scelte concrete in materia di diritti, civili, sociali, individuali e collettivi.

Il primo passo sarebbe dire: dal disegno di legge Zan alla delega fiscale allo ius scholae, in questa legislatura non abbiamo combinato niente. Abbiamo capito di aver sbagliato a cercare compromessi al centro con le destre, ora noi affrontiamo la sfida con le nostre posizioni, poi saranno gli altri a cercarci per arrivare al compromesso.

Mentre Calenda si crogiolerà a celebrare i risultati di un governo Draghi nel quale non aveva alcun ruolo, il nuovo centrosinistra sbilanciato a sinistra potrà esplorare le praterie lasciare dalle ambizioni miopi dei tanti leaderini centristi e dalla inadeguatezza di Giuseppe Conte dall’altro lato. 

Oppure, il Pd potrá continuare a fare il partito dell’ establishment, più draghiano di Draghi, più mattarelliano di Mattarella, più moderato di Tabacci, e far scappare anche i pochi voti rimasti. La partita vera comincia adesso, Calenda ha scelto di non giocarla ma c’è più spazio per gli altri. 

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