Al di là di tutte le polemiche strumentali, la piazza – anzi le piazze – del 25 novembre sono state un evento bellissimo. Costituiscono una straordinaria occasione per tutte noi e consegnano alla politica e alle istituzioni, alle opposizioni e ancor più a maggioranza e governo, una grandissima e rinnovata responsabilità: quella di rispondere alle donne che vogliono essere finalmente libere, anche dalla violenza maschile. Queste piazze rappresentano infatti una novità, una rottura. Abbiamo visto sfilare donne, ragazze, bambine, ma anche ragazzi e uomini, famiglie, studentesse e studenti delle scuole di ogni ordine e grado, professori, intellettuali, esponenti politici, sindacalisti, artisti. Una partecipazione di massa che si deve allo straordinario coraggio e impegno di Non una di meno e di tutto il movimento femminista che in questi anni non ha mollato, è stato avanguardia, baluardo, stimolo. E che ha costruito il palcoscenico sul quale, al momento giusto, potesse farsi presenza fisica il sentimento diffuso di chi voleva gridare, di fronte all’ennesimo femminicidio di Giulia Cecchettin, «Ora basta».

Bandiere e piattaforma

La prova concreta che, nonostante il perdurante gender gap e quel 27 per cento di uomini italiani che ancora non ritengono il femminicidio un problema, il cambiamento verso la parità va avanti nel nostro Paese in modo inesorabile, proprio grazie alle battaglie delle donne e alla quotidiana faticosa emancipazione femminile. È chiaro dunque che tutto questo è andato ben al di là dell’adesione alla piattaforma programmatica delle organizzatrici, per diventare se non un evento storico certamente uno spartiacque.

Eppure, la ministra Roccella, sbagliando, ha definito questa piazza «un’occasione persa» per la presenza di bandiere ed esponenti palestinesi e la mancata condanna pubblica e preventiva dei terribili stupri che Hamas ha condotto sulle ragazze e sulle donne israeliane il 7 ottobre. Giorgia Meloni ha voluto invece sottolineare soprattutto l’assalto alla sede di Pro Vita&Famiglia accaduto a Roma.

Per quanto riguarda il Pd, lo stupro è un crimine di guerra e come tale va condannato, chiunque ne sia l’autore, così come l’assalto alla sede del movimento per la vita e la famiglia, perché il rispetto delle parti è la precondizione di ogni convivenza pacifica e civile.

La potenza positiva

Ma tutto questo non può inficiare la potenza positiva di quella marea fucsia che sarebbe davvero sbagliato sottovalutare e alla quale bene hanno fatto a prendere parte elettori, militanti, esponenti del Pd. Sarebbe un gravissimo errore minimizzare, colpevolizzare o addirittura acuire, come sembra voglia fare una destra forse un po’ spaventata, differenze che ci sono e sempre saranno presenti in un movimento che fa della differenza una pratica e una risorsa.

Ora, semmai, il tema è essere all’altezza della piazza e capire che da quest’onda femminile e femminista può venire finalmente quel salto di qualità che da tempo tutti aspettiamo. Dunque, cosa fare da oggi in poi?
Sappiamo che un pezzo di questo movimento ritiene intrinsecamente sbagliato il dialogo con la destra quale portatrice proprio di quel modello patriarcale di famiglia e società (Dio, Patria e Famiglia) costruito sul rapporto totalmente asimmetrico di potere tra i sessi, da cui discendono sopraffazione, violenza, femminicidi.

Eppure, anche con questa destra al governo, il principale partito della sinistra non può che continuare a lavorare incessantemente per allargare i diritti delle donne, attraverso il rapporto con il movimento femminista, chi sta dentro il Parlamento e nelle istituzioni dialoga con chi sta fuori, in prima linea nelle associazioni, nella rete antiviolenza e, appunto, nei movimenti femminili e femministi. Per evitare la sola testimonianza e cercare invece di tradurre in politiche, interventi e norme le istanze delle donne, ogni giorno un passo avanti anche perché non ci sia un passo indietro. Sapendo che sull’idea di libertà, di famiglia e sulle nostre priorità la distanza è talvolta incolmabile (vedi per esempio alla voce occupazione femminile, nidi, natalità).

Ma c’è un altro motivo che ci induce al confronto. La battaglia contro la violenza maschile assomiglia a quella contro le mafie: si combatte il più possibile tutti insieme per l’appunto perché è di natura culturale e perché è anche così che si produce il cambiamento. È per questo che abbiamo collaborato con l’esecutivo e con la maggioranza di destra sull’ultima legge che rafforza le misure di prevenzione dopo la denuncia, abbiamo impegnato il governo a tornare presto in Parlamento per una legge sull’educazione all’affettività e a stanziare risorse, già in questa manovra che è punitiva per le donne, per i centri antiviolenza e per la formazione e la specializzazione degli operatori della giustizia.

Cosa manca all’appello

Nel frattempo, due leggi mancano ancora all’appello: la legge sul consenso, che si presuppone sia assente in caso di denuncia, e quella sulle molestie sessuali con l’aggravante del rapporto subordinato di studio e di lavoro. La prima affronta una questione dirimente: una donna che denuncia uno stupro va creduta, ad essere provato non deve essere il rifiuto ma l’aver detto sì, mai più domande sulle abitudini sessuali, sulla condotta, sui vestiti. La seconda colmerebbe una grave lacuna, dal momento che il reato di molestie sessuali non è previsto e quindi è difficile punirlo prima che si arrivi a una vera e propria violenza sessuale. I relativi disegni di legge del Pd sono in Commissione Giustizia al Senato. Da qui si potrebbe iniziare per dare un seguito concreto, in modo unitario, a questa storica Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

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