Sorprendersi per la forte partecipazione di giovani di ogni sorta, età e parte alle manifestazioni di vicinanza e di solidarietà col popolo palestinese è prova di una diffusa incomprensione. Quella di pensare che le nuove generazioni siano in grande misura indifferenti alle gravi iniquità del nostro tempo, ripiegate sulla propria vita e il proprio disagio e soprattutto avverse all’idea stessa che la “politica” sia la chiave del cambiamento.

A provarlo, starebbe il loro assenteismo al voto superiore alla media, il giudizio particolarmente duro sui partiti, la caduta della loro partecipazione ad attività volontarie (particolarmente grave nella fascia 18-19 anni, dal 16,6 per cento al 6,5 per cento del totale fra 2015 e 2023, misura l’Istat), o anche il loro esodo imponente dall’Italia.

Effettivamente, davanti a questi fatti perché non dovremmo sorprenderci di un improvviso sussulto giovanile? Perché questi fatti sono in realtà letti male. Essi segnalano l’estrema difficoltà per le nuove generazioni di tradurre in un moto collettivo di protesta e di cambiamento quella che è una loro profonda e diffusa consapevolezza delle ingiustizie del nostro tempo e una piena consapevolezza che la politica è il modo per cambiare le cose.

Di fronte agli orrori, questa volta, ragazze e ragazzi hanno vinto l’inerzia. Come lo hanno fatto altre volte attorno ad altri obiettivi che avessero un capo e una coda. Questa è la tesi che noi Forum Disuguaglianze e Diversità sosteniamo in un piccolo, denso saggio, “Giovani”, pubblicato assieme a Caritas Italiana in un libro, Le parole del Giubileo, appena uscito per EDB. Lo facciamo rileggendo una grande massa di dati disponibili, portando nuovi dati, utilizzando quanto abbiamo appreso da una vasta rete di relazioni.

Perturbazioni

Partiamo da alcuni tratti condivisi della condizione giovanile: la difficoltà a conseguire l’indipendenza e a compiere le scelte che segnano l’età adulta (con il progressivo scivolamento della soglia stessa della “gioventù”); la povertà di buoni lavori e gli ostacoli a intraprendere; la diffusione del disagio individuale e della fatica mentale.

Per poi andare oltre: l’insuccesso nel fare pesare i propri valori, saperi e aspirazioni, nell’esprimere un adeguato potere negoziale, nel disporre di spazi da utilizzare in modo autonomo; l’infantilizzazione; l’assenza eclatante di un acceso confronto intergenerazionale; forti disuguaglianze al loro interno, legate alla condizione sociale, di genere, etnica e territoriale, che si manifesta in radicali differenze nei rischi che si possono assumere e nel rapporto con il potere.

Consapevolezze

Dietro questa perturbazione stanno profonde consapevolezze. A cominciare dalla sensibilità forte dei giovani al cambiamento climatico e all’ambiente: quella dei/delle giovani italiani/e fra 16 e 30 anni, ci dice Eurobarometro, è anche assai più alta della media europea.

Una consapevolezza che si estende all’ingiustizia sociale, anche nella fascia di età più delicata, la tarda adolescenza (17-18 anni). Nel contesto di lezioni e incontri nelle scuole italiane promossi da un programma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, abbiamo ritrovato e misurato una forte sensibilità alla connessione fra disuguaglianze e «colore della pelle», «genere» e «classe sociale», che conferma innumerevoli indagini, se ben lette. E c’è di più.

La consapevolezza giovanile riguarda anche il fatto che per cambiare la società è necessario un impegno collettivo. In un’indagine campionaria del Centro Luigi Bobbio sulla fascia 18-34 anni il 44 per cento risponde che «per cambiare la società bisogna impegnarsi personalmente» o in politica o in associazioni della società civile.

Paura di essere delusi

La questione vera è che una larga maggioranza di giovani non è pronta a tradurre quelle consapevolezze in un proprio impegno collettivo continuativo. Lo ritiene inefficace o impossibile.

Quando agli stessi giovani si chiede se sono «politicamente impegnati» in partiti o associazioni la risposta positiva cade dal 44 a meno del 7 per cento. E la sfiducia nei partiti e nelle associazioni della società ne è il segno tangibile.

Negli incontri con loro emerge la motivazione di questa sfiducia: la paura di ritrovarsi in luoghi dove, ancora una volta, non si sarà ascoltati o che hanno la «loro» agenda, i «loro» interessi, la «loro» targa; la paura di essere delusi. E allora, memori che nella storia è proprio dalle nuove generazioni e dalla loro leadership che è quasi sempre venuta la scossa per un’emancipazione generale, il confronto ci ha spinto ad andare avanti. A mettere a terra gli ostacoli che impediscono a quelle sensibilità di aiutare il paese intero a uscire dal guaio in cui siamo.

Rimuovere gli ostacoli

Sono gli ostacoli su cui stiamo ragionando con tante realtà del paese: le condizioni e le prospettive economiche che, rispetto agli anni ’60, non consentono “lussi” nell’uso del proprio tempo; il senso comune prevalente che ha spinto al “si salvi chi può”, spento la speranza collettiva, diffuso l’idea che pubblico sia corruzione e sfascio, convinto che gli oligarchi espressi da un capitalismo impazzito siano imbattibili; le molteplici e crescenti forme di intimidazione di ogni impegno acceso e conflittuale; l’esilità di spazi liberamente organizzabili; l’impermeabilità, la chiusura gerarchica, la logica di cooptazione di associazioni e partiti. Che si sommano al crollo del peso numerico dei giovani: la fascia 15-25 anni era il 16 per cento della popolazione negli anni ’60, è sotto l’11 per cento oggi.

Sono ostacoli che pesano anche su quelle avanguardie del mondo giovanile che, nonostante tutto ciò, sono profondamente impegnate in forme diverse: azioni e sperimentazioni territoriali, articolazioni giovanili di associazioni, movimenti, nuove realtà. A frenarne l’efficacia è in molti casi anche la difficoltà di trovare modi organizzativi che, senza replicare le forme gerarchiche del ‘900, evitino di cadere in un “orizzontalismo” paralizzante o foriero di leadership non trasparenti.

Ma allora, non sorprendiamoci se ragazzi e ragazze delle scuole tornano nelle piazze. Affrontiamo piuttosto con loro e con l’intero universo giovanile la sfida di rimuovere quegli ostacoli, affinché la piazza non sia un fuoco di paglia. Di farlo attorno a obiettivi concreti, radicali ed emozionanti. E ricercando assieme forme nuove di organizzazione che ci attrezzino a contrastare avversari potenti che non hanno alcuna intenzione di mollare il potere che gli cresce nelle mani. È anche questo l’impegno del ForumDD in questa travagliata fase.

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