Dove va il governo Draghi? Che direzione sta prendendo rispetto al Conte II? Ci sono sicuramente elementi di rottura (la sostituzione di Arcuri). C’è stato un passo falso (la sospensione del vaccino AstraZeneca sulla scia della Germania). C’è una continuità di fondo nelle scelte sui lockdown, pur così avversate a suo tempo da Salvini. Già. Ma sulla politica economica?

Innanzitutto ci sono le misure per fronteggiare la crisi. Il decreto Sostegni, approvato la scorsa settimana, evidenzia una forte continuità con il governo precedente. La differenza è che ora c’è il consenso di tutte le forze politiche. Si pensi al prolungamento di atri tre mesi del reddito di emergenza, una misura proposta per primo dall’allora ministro Peppe Provenzano, esattamente un anno fa, e che ricevette a quel tempo aspre critiche (dall’accusa di favorire il nero a quella di assistenzialismo), tanto che gli originali tre mesi furono ridotti a due (decreto Rilancio, maggio 2020).

Oggi invece viene riconosciuta come fondamentale per la tenuta sociale: nel decreto Sostegni troviamo altri tre mesi di reddito di emergenza. Ma lo stesso vale per il rifinanziamento del reddito di cittadinanza, o per la proroga del blocco dei licenziamenti, che era stata molto avversata da un certo liberismo ideologico (ma se c’è un tempo in cui la cassa integrazione ha senso, è proprio durante una pandemia). La riforma universalista degli ammortizzatori sociali, cui sta lavorando il ministro Andrea Orlando, va nella stessa direzione: continuità e anzi rafforzamento e sistematizzazione delle misure adottate dal governo precedente.

Il condono

Certo, poi c’è il condono fiscale. Qui però Draghi ha contribuito, con la sponda del Pd e di Articolo 1, a limitarne di molto la portata. Resta una ferita simbolica, grave; ma inevitabile, perché voluta sia dal ramo di centrodestra dell’attuale maggioranza, sia (notare) dal Movimento 5 stelle.

Dal breve al medio termine, alla prospettiva: il Recovery plan. Conte aveva accentrato su di sé le scelte e imposto la segretezza, a scapito del ministero dell’Economia e soprattutto della discussione tra le forze politiche (e nella società). Era stato forse il suo errore più grave. Il risultato è stato che spesso sono stati rispolverati vecchi progetti, senza una vera visione e senza nemmeno un chiaro monitoraggio degli obiettivi. Soltanto a dicembre i partiti e l’opinione pubblica hanno potuto conoscere i contenuti del piano. La bozza originaria è stata allora significativamente modificata, e migliorata: la rettifica si deve all’opera dei ministri Gualtieri e Provenzano, e ha segnato anche un primo riorientamento verso il ministero dell’Economia.

Ora, il governo Draghi ha ristabilito fuori di ogni dubbio la centralità di quel ministero, dove in effetti ci sono le migliori competenze. A dispetto di alcune indiscrezioni iniziali, pare stia anche sostanzialmente confermando l’impianto uscito dalla revisione di Gualtieri e Provenzano. Alcune modifiche ci sono, ma marginali; molto minori rispetto a quelle già apportate sulla prima bozza.
Il governo Draghi ha poi rafforzato l’impegno sulla riforma della pubblica amministrazione. È una sfida difficile, ma cruciale, e che forse al premier tecnico di un governo di unità nazionale può davvero riuscire. Da notare che, nella coalizione giallorossa, per un anno il Partito democratico aveva ripetuto che la pubblica amministrazione andava non solo riformata ma anche rafforzata, assumendo migliaia di nuove figure atte a portare avanti l’ambiziosa programmazione del Recovery plan, e promuovendo innovazione e produttività con il consenso dei lavoratori.

Ma queste tesi trovavano poco ascolto nell’allora maggioranza, e una dura opposizione da parte del centrodestra. Ora Draghi e il ministro Renato Brunetta (di Forza Italia) le hanno riprese in un contesto molto più benevolente. Le critiche si sono acquietate. Al di là delle bandierine, è un bene per l’Italia che sia così.
Due note ancora. Draghi ha serenamente accantonato il Mes, che ormai con tassi così bassi non serve più (era utile invece a inizio pandemia): ponendo così la parola fine a un dibattito che ancora sotto Natale sembrava infuocato. Ha quindi chiarito che il patto di stabilità dovrà essere non solo sospeso fin quando necessario, ma cambiato. Finalmente, anche qui tutti d’accordo.

Unanimismo di facciata? Forse. Ma quel che conta è che il governo Draghi una direzione ce l’ha. Ed è utile non solo a fronteggiare la crisi, ma a fare uscire l’Italia dal declino, e a migliorare l’Europa. Non sappiamo se riuscirà a mantenerla, con una maggioranza così composita (anche per questo preoccupa il condono). Ma se ci riuscirà, avrà assolto a una missione storica.

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