La kermesse fiorentina della destra radicale europea è stata un flop; e un regalo non premeditato a Giorgia Meloni, che porta a casa un paragone vincente con Matteo Salvini che la incorona leader di una destra istituzionale, giusta per governare l’Europa.

La destra organica, quella di Meloni, non è una forza populista (pur non disdegnando la retorica dell’amico/nemico che fa audience in questi tempi immoderati) e persegue un progetto di restaurazione. Una destra che vuole una democrazia monarchica, se così si può dire, che dia centralità al potere di comando, in contrapposizione a quello delle assemblee rappresentative. Quell’atavico disprezzo per il parlamento che appartiene alla nostra destra è più in salute che mai e ritorna in grande spolvero oggi, un tempo in cui si misura il declino di affetto per la democrazia deliberativa.
Rispetto al progetto della destra meloniana, che ha l’ambizione di ridimensionare quel poco di democratico che c’è in Europa, la Lega svolge un ruolo ancillare. Svolge la funzione di far apparire la rivale/alleata come una destra persino moderata, distante dalle roboanti parole oltranziste sciorinate dagli esponenti di Identità e democrazia riuniti alla Fortezza da Basso di Firenze, con visita fuori orario (e a nostre spese) agli Uffizi.

La stessa cosa

Ma nonostante la distanza che pare separare Lega e FdI, sbaglierebbe chi credesse che ci troviamo di fronte a due mondi. Il mondo è uno, sia che vesta in doppiopetto (o Armani) sia che indossi la felpa.
La destra del dì di festa e la destra scamiciata dicono le stesse cose, condite con salse diverse, al punto da farle apparire come diverse anche ai commentatori perspicaci; al punto da darci di Meloni l’immagine di una moderata di democristiana postura. Ma le due destre dicono le stesse cose.

Entrambe danno l’assalto alla divisione dei poteri, dipinta come uno strumento che fa il gioco dell’opposizione perché mette ostacoli al governo. Governabilità si traduce in attacco ai giudici: lo ha fatto la Presidente del consiglio nel suo discorso a Cop28 di Dubai, lo ha fatto Salvini a Firenze.

Comune è anche il mantra del destino condiviso degli europei, giudeo-cristiano e islamofobico, contro le radici secolari, illuministe e la cultura dei diritti: idee espresse da Meloni e anche da Salvini quando ha dato il benvenuto agli esponenti della destra europea.

Per entrambi, l’Europa di Altiero Spinelli e di Jacques Maritain appartiene al passato. Per entrambi, la nuova Europa deve assomigliare ad un trattato confederativo tra stati per consentire a ciascuno di fare i propri interessi, senza spiegare agli elettori come possono essere ad un tempo nazionalisti e cooperatori.
Per entrambi, il mondo è diviso tra amici e nemici dell’occidente, e tra i nemici al primo posto ci sono i dannati della terra che aspirano a lasciare i loro ghetti di morte e di soprusi.
Per entrambi, è venuto il tempo di riscrivere il patto costituzionale per fare della democrazia una macchina avaloriale finalizzata a incoronare chi governa, assicurandole/gli una maggioranza al riparo da ogni efficace azione di controllo da parte dell’opposizione.

Opposizione che, non potendo essere soppressa, è umiliata come se fosse una iattura, non un dono della democrazia. Salvini l’accusa di sostenere i fondamentalisti islamici; Meloni propone che l’Europa lotti contro i terroristi «da qualunque parte vengano», e sappiamo che ama includere tra questi anche «una certa sinistra». Non ci si lasci ingannare dall’abito, che non fa il monaco.

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