È improbabile che la guerra si concluda davvero con una duratura pace. Non la può accettare la destra al governo di Israele, perché il prezzo sarebbe l’assenso alla nascita di uno stato palestinese autentico. Non l’accetteranno i palestinesi, quelli della Cisgiordania nei villaggi assaltati ogni settimana dai coloni, e quelli accampati tra le ormai inabitabili rovine di Gaza
È in arrivo a Gaza un cessate-il-fuoco che poteva essere firmato almeno un anno fa, se Washington avesse deciso di usare la soverchiante forza contrattuale del Paese che rifornisce gli arsenali israeliani. Trenta o quarantamila morti più tardi, è improbabile che la guerra si concluda davvero con una duratura pace.
Non la può accettare la destra al governo di Israele, perché il prezzo sarebbe l’assenso alla nascita di uno stato palestinese autentico, soluzione respinta dalla Knesset varie volte, l’ultima con una maggioranza larghissima (99 voti su 120). Non l’accetteranno i palestinesi, quelli del West Bank nei villaggi assaltati ogni settimana dai coloni, e quelli accampati tra le ormai inabitabili rovine di Gaza.
Tra questi ultimi, alcuni, tanti, cercheranno di emigrare, nelle proporzioni probabilmente sufficienti a inverare il progetto attribuito a Netanyahu all’inizio dei bombardamenti: “assottigliare” la popolazione della Striscia. Ma altri, i più giovani, dedicheranno i prossimi anni alla vendetta, l’unico lenitivo rimasto a chi non può sperare di ottenere giustizia da un processo internazionale che, se sarà celebrato, non avrà imputati presenti: morti i capi di Hamas, al sicuro in Israele Netanyahu e i suoi generali.
Dunque il cessate-il-fuoco poggerà su un accordo aperto alle più varie interpretazioni, fragile, ambiguo, recusabile. Per tenere coesa la sua maggioranza e rimandare i conti con la storia Netanyahu ha bisogno di un conflitto permanente - se non è Gaza sarà il Libano, se non è il West Bank sarà la Siria. E sarà, soprattutto, l’Iran, il competitor che potrebbe presto dotarsi anch’esso di un’atomica.
In ogni caso Netanyahu dovrà inventarsi qualcosa per tenere in piedi il set del kolossal "Israele e l’Occidente contro l’Asse del Male”, altrimenti sarà clamorosamente chiaro che per Israele il conflitto è stato controproducente. Guerra inefficace rispetto agli scopi militari: Hamas non è stata cancellata, sta colmando i vuoti nei ranghi cooptando adolescenti; e neppure ferocie da “pulizia etnica” sono riuscite a spopolare completamente il nord della Striscia, la mai ammessa intenzione dei generali.
Guerra disastrosa dal punto di vista politico: stando ai sondaggi della Pew, all’inizio del 2023 le società arabe ormai accettavano l’esistenza della nazione ebraica ai loro confini e i regimi non vedevano rischi nel mantenere rapporti amichevoli con gli ex nemici. Tutto finito. Ora nessuna di quelle autocrazie accetterebbe di assecondare i piani israeliani per il futuro di Gaza senza un percorso diretto alla nascita di uno stato palestinese.
Quando il cessate-il-fuoco permetterà a personale e giornalisti occidentali un racconto più nitido di quanto è successo a Gaza in questi mesi, sarà ancor più chiaro che scegliendo quel modo di fare la guerra la destra israeliana ha macchiato l’immagine del Paese nelle decadi a venire, e nelle proporzioni devastanti illustrate dai sondaggi condotti nelle università americane: la futura classe dirigente occidentale sta introiettando una idea fosca di Israele.
Pensare di cambiare questa percezione strillando all’antisemitismo con i pretesti più futili, la tattica prediletta dal governo Netanyahu e dai suo fans occidentali, può solo peggiorare le cose. Non aiuterà a isolare il razzismo giudeofobico. Non taciterà le accuse al governo Netanyahu, non fosse altro perché le più affilate provengono da ebrei. Da quell’ebraismo liberale che può ancora salvare Israele.
Sarà anche un ragionare col senno di poi, ma se Israele si fosse limitata a punire il pogrom di Hamas con omicidi selettivi, probabilmente avrebbe costretto non solo le opinioni pubbliche arabe ma perfino l’oltranzismo palestinese a fare i conti con l’infamia di quell’attacco e con le proprie divisioni. Così non è stato.
Si è preferito una guerra disumana nella quale l’esercito è stato autorizzato a sterminare fino a cento civili se intravedeva l’occasione di uccidere con quelli anche un capo di Hamas. Di fronte a questo scempio di vite e di valori che ha pochi precedenti in questo secolo, gran parte dell’Occidente ha finto di non capire.
Era annunciata come la guerra del Bene contro il Male, della democrazia contro il terrorismo: ma il Bene era cieco e la democrazia inclinava al terrorismo. A parte Irlanda, Spagna, Belgio e il solitario Borrell, la Ue ha dato di sé un’immagine che si è tentati dal definire miserabile. Di fatto assente. Qualche mugugno perché Israele "eccedeva”. Un deciso no a sanzioni. Declinato nella retorica di destra oppure di sinistra, comunque il nulla. Col quale dovremmo cominciare a fare i conti.
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