Nelle stesse ore in cui firmava un trattato per dirottare i migranti maschi e in salute diretti in Italia in centri posti sul territorio albanese, il governo Meloni concedeva la cittadinanza a Indi Gregory, una bambina britannica affetta da una rara malattia mitocondriale degenerativa che impedisce lo sviluppo dei muscoli e non è curabile. Indi è tenuta in vita artificialmente, ma le autorità giudiziarie britanniche sembrano propense ad autorizzare la sospensione dei trattamenti per tutelare il suo interesse ad evitare dolori inutili.
La decisione del Consiglio dei ministri si basa su due ragioni. La prima, richiamata nel comunicato stampa, è l’art. 9 c. 2 della legge sulla cittadinanza del 1992: «La cittadinanza può essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello stato».
La seconda è espressa in un post di Giorgia Meloni: «Dicono che non ci siano molte speranze per la piccola Indi, ma fino alla fine farò quello che posso per difendere la sua vita. E per difendere il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei».

Le intenzioni implicite

Ci sono aspetti bioetici ovvi. Si scontrano due paradigmi. In uno si dà importanza alla qualità della vita, ed è rilevante che Indi, condannata a una morte comunque prematura, non senta dolori evitabili e non utili a prolungarne la vita. Nell’altro, ciò che conta è la vita in sé e per sé, anche se brevissima e dolorosa.
Si tratta di tesi ricorrenti nella discussione pubblica, in Italia e all’estero, tanto è vero che ci sono stati nel passato casi analoghi. D’altra parte, in Italia i genitori della bambina sono assistiti da Simone Pillon, che ha sempre difeso una visione rigida della sacralità della vita.

Mi sembra più rilevante il sottotesto e le intenzioni implicite nelle motivazioni della decisione. Consideriamo la norma invocata nel Consiglio dei ministri. Si può escludere che la piccola Indi abbia reso eminenti servizi all’Italia. In che senso in questo caso ricorre un eccezionale interesse dello stato?

Continuare a provare a tenere Indi in vita, con probabilità men che minime e infliggendole dolore, è nell’interesse eccezionale dello stato? Se così fosse, ci si potrebbe aspettare che la cittadinanza venga concessa a tutte le persone in pericolo di vita, senza molte possibilità di salvarsi.
Ci si potrebbe attendere che, invece di respingerli, rinchiuderli, o dirottarli altrove, il governo Meloni conceda la cittadinanza a tutti i bambini in pericolo che arrivano sulle coste italiane, per esempio.

Concezione proprietaria

Che differenza c’è fra Indi e i molti bambini a rischio di vita che arrivano sulle nostre coste? Il fatto che a Indi la malattia rara sia toccata in sorte? Ma anche ai bambini migranti il pericolo che corrono è toccato in sorte. Non hanno scelto certo loro. E non si può punire loro per punire gli scafisti. Peraltro, l’idea che una persona possa avere un beneficio come la cittadinanza per servire gli interessi dello stato dovrebbe ripugnare a chi crede che gli esseri umani non siano mezzi, ma fini in sé.
Indi non merita di soffrire, e non merita di essere usata come strumento politico. Ma forse l’interesse in ballo qui non è quello dello stato, ma quello del governo: l’interesse a intestarsi una battaglia ideologica sulla sacralità della vita. Anche in questo caso, il governo Meloni fatica a distinguere il proprio interesse dall’interesse nazionale.

Meloni dice di voler difendere il diritto dei genitori a fare tutto quello che possono per la figlia. In realtà, difende il diritto dei genitori di giudicare quale sia l’interesse della figlia, sostituendosi a medici, giudici e altri esperti.
Meloni e il suo governo sostengono implicitamente una visione oggettivista, in cui la vita è sacra in sé e per sé. E allo stesso tempo rifiutano l’idea che ci siano interessi oggettivi, lasciando all’arbitrio dei genitori di stabilire quale sia l’interesse del figlio, con una concezione proprietaria della genitorialità.

E sono gli stessi che invece affermano, quando si parla di Gpa, che i figli non possono essere venduti, non sono proprietà dei genitori. Non possono essere venduti, ma sono i genitori biologici a stabilire che cosa conti per loro. Possono anche stabilire se è il caso di farli soffrire. Il filo rosso che unisce tutto questo è l’ideologia più cinica e il tentativo di farla fruttare, in ogni momento, a ogni costo.

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