Con Giorgia Meloni, la richiesta di una iniziativa comune sulla vergogna degli incidenti sul lavoro. Con Carlo Calenda, la manifestazione in memoria di Aleksej Navalny. Con Giuseppe Conte, l’ipotesi di un comizio insieme in Sardegna, dove si vota domenica 25.

Elly Schlein chiude la settimana con un’offensiva a tutto campo, come si dice in questi casi, dopo aver ottenuto un indubbio successo politico e mediatico con l’approvazione della mozione sul cessate il fuoco a Gaza, favorita dall’astensione della maggioranza di destra-centro. Se non si può ancora parlare di un metodo, poco ci manca.

Partire da una battaglia concreta (il salario minimo, la violenza di genere, la pressione diplomatica su Israele per bloccare la carneficina, gli incidenti sul lavoro, le libertà civili e politiche minacciate anche in Europa e in Italia dai seguaci della Russia di Putin) per trovare interlocutori e alleanze, anche fuori dai recinti più scontati.

L’attivismo di Schlein ha già avuto l’effetto di allarmare gli avversari interni al Pd (i sindachini a caccia del terzo mandato, il presidente della Campania Vincenzo De Luca che a 75 anni ha riscoperto la sceneggiata in piazza, ha mosso all’assalto di Palazzo Chigi alla guida di primi cittadini disoccupati organizzati, pur di levare la scena alla segretaria) e rivali esterni. Ma quel che più interessa è l’effetto di sistema.

Il bivio di Meloni 

Dopo un anno e mezzo di governo Giorgia Meloni è al bivio. Ne hanno parlato, confrontandosi sulla Stampa, lo storico Giovanni Orsina e Marco Follini, a proposito di romanizzare i barbari. È un bivio che la sinistra conosce benissimo. Come ha scritto Orsina (13 febbraio), «Meloni è in una collocazione bifronte. Di lotta e di governo, per così dire».

Per la sinistra è una posizione scomoda, quasi sempre è finita male. La destra post-populista degli anni Venti del nuovo secolo è ovunque molto più spregiudicata. Punta a tenere insieme la vecchia rabbia anti-sistema con l’occupazione di ogni segmento di potere. Operazione difficile, ora che sei tu il sistema, ora che il treno si ferma perché il ministro sei tu.

Di fronte al suo elettorato ultras desideroso di epurazioni, vendette, cacciate, la destra deve fingere di stare all’opposizione anche quando governa. Deve comunicare che anche quando occupa i piani alti resta all’opposizione dell’opposizione.

Suggerire che sì, le destre vincono le elezioni perché scelte dal popolo, ma il mondo continua a essere quel postaccio di sempre, frequentato da poteri forti, giornali, giornalisti, intellettuali, e pure cantanti di Sanremo, tutti di sinistra, tutti comunisti, o socialisti che sognano di fare i comunisti, come ha detto il presidente argentino Milei nel suo tour italiano, statalisti incalliti.

«Folklore», l’ha effigiato Giulio Tremonti, che oggi è deputato di Fratelli d’Italia e che pure già nel 1998 aveva pubblicato un libro intitolato Lo Stato criminogeno. Ma anche Orbán si presenta da anni come un assediato dall’invasione dei migranti.

La sostituzione etnica ordita dalla Open Society di George Soros, per essere più precisi, di cui parlava anche Meloni nei suoi libri: «Appena tocchi Soros da sinistra c’è una levata di scudi. Non credo ai burattinai, ma parliamo di chi ha l’intento dichiarato di fermare la destra italiana... La sinistra è il servo sciocco di questo disegno. Globalisti che mettono la persona contro la sua identità» (La versione di Giorgia, uscito nel 2023 per Rizzoli, pp. 50-51).

Le bandiere dell’estrema destra

Da mesi Meloni ha smesso di usare questi toni, anche se oggi si ritrova con Zemmour e prevedibilmente Orbán nel gruppo dei conservatori. L’Europa è il primo livello di contraddizione, perché la premier italiana ufficialmente rivendica la volontà di rovesciare l’alleanza «innaturale» tra popolari e socialisti (così innaturale che va avanti da mezzo secolo), in realtà aspira a entrare nel club dei padroni dell’Unione, con rapporti di forza migliori.

Un gioco che potrebbe riuscire, se non ci fosse in Italia chi agita le bandiere della destra estrema nella coalizione di governo, ovvero Matteo Salvini. Nessuno come lui incarna il barbaro romanizzato, dagli slogan su Roma ladrona al patto elettorale con Lorenzo Cesa e Aldo Patriciello, roba da far impazzire Umberto Bossi, che infatti ha fatto arrivare il suo ruggito di protesta.

L’azione di Elly Schlein ha l’effetto (non secondario) di portare questa tensione all’estremo, fino a far scoppiare nel destra-centro tra FdI e Lega una contraddizione tutta politica. Prima che arrivino gli elettori a farlo.

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