Tra le cose aberranti che dice il presidente del senato Ignazio La Russa nel suo messaggio di auguri natalizio è che i reduci dell’Msi non vollero sovvertire l'ordine democratico, come se dovessero essere ringraziati di questa accortezza. In realtà, dimentica di dire, che ci provarono e non ci riuscirono.

Dopo la caduta del fascismo, i nuclei più convinti iniziano attività clandestine che porteranno alla nascita del Msi.

Nell’ottobre 1946 molti futuri dirigenti dell’Msi, tra cui Pino Romualdi, guidano i Fasci di azione rivoluzionaria (Far), responsabili di attentati e azioni spettacolari come il trafugamento della salma di Mussolini.

Il 26 dicembre 1946 avviene la fondazione ufficiale dell’Msi nello studio di Arturo Michelini; molti esponenti dei Far confluiscono nel partito, segnando fin dall'inizio l'intreccio tra legalità e attività eversiva.

Nel dicembre del 1947 avviene l’arresto di Pino Rauti e Clemente Graziani (futuri leader di Ordine Nuovo), che accelera l’ingresso dei membri dei Far nell’Msi, che iniziano a considerare il partito come una specie di ramo operativo.

Il 15 gennaio 1950 Giorgio Almirante è costretto alle dimissioni da segretario a favore dei moderati, ma durante il suo mandato aveva tollerato azioni violente contro sedi di partiti, sindacati e associazioni partigiane

Nel novembre del 1956 al Congresso di Milano, la vittoria della corrente moderata di Michelini provoca la scissione del gruppo “spiritualista” ossia evoliano (che gravitava intorno a Julius Evola e alle testate Imperium e La Sfida), che si distingueva per una visione tradizionalista e guerriera: il gruppo è guidato da Pino Rauti, che fonda il Centro Studi Ordine Nuovo (On). On mantiene per anni un rapporto di doppia militanza e influenza culturale sul mondo giovanile missino

Nel 1960 l’Msi sostiene il governo Tambroni, scatenando rivolte popolari, indice il suo sesto Congresso nazionale a Genova dal 2 al 4 luglio. La scelta viene considerata una grave provocazione, poiché Genova è una città Medaglia d’Oro della Resistenza e i consiglieri missini locali avevano recentemente causato la caduta del popolare sindaco democristiano Vittorio Pertusio. Il 28 giugno Sandro Pertini, rappresentante storico del Cln e futuro presidente della Repubblica, fa un famoso discorso: «Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza».

Il prefetto Luigi Pianese cerca di dissuadere l’Msi, avvertendo che il partito avrebbe avuto contro l'intero fronte costituzionale e le associazioni partigiane. Il 30 giugno 1960 Genova diventa teatro di violenti scontri tra manifestanti e forze di polizia. I reparti della celere si trovarono circondati in Piazza De Ferrari da manifestanti armati di bastoni, spranghe e ganci da portuale. I poliziotti, non conoscendo i vicoli della città, si trovarono in svantaggio, mentre i manifestanti sapevano dove ripararsi dai candelotti lacrimogeni. Il questore Giuseppe Lutri comunicò che il Congresso non poteva essere garantito in modo democratico senza ricorrere a metodi drastici (ovvero fare fuoco sulla folla).

Di fronte all’impossibilità di gestire l'ordine pubblico, il congresso dell’Msi fu revocato. L'episodio di Genova isolò definitivamente Tambroni, che fu costretto alle dimissioni il 19 luglio 1960. L’Msi accusò la Dc di tradimento, sostenendo di essere stato usato come un detonatore per favorire l'apertura politica verso il centrosinistra. I fatti di Genova rappresentarono lo scontro frontale tra la memoria della Resistenza (di cui Pertini era l'emblema) e il tentativo dell’Msi di legittimarsi come forza di governo. La piazza di Genova agì come un anticorpo naturale del sistema democratico, espellendo l’Msi dall’area di governo per i decenni a venire.

Il 27 aprile 1966 durante scontri all’Università di Roma tra studenti di sinistra e neofascisti di Avanguardia Nazionale e gruppi di destra, muore lo studente socialista Paolo Rossi.

Nel maggio 1966 i deputati missini Giulio Caradonna e Raffaele Delfino guidano personalmente assalti alle facoltà occupate, giustificando la violenza come legittima difesa delle istituzioni. .

A giugno 1969 Almirante torna alla segreteria e lancia la sfida della “piazza di destra”, promettendo contro-azioni a ogni mobilitazione comunista.

A novembre 1969, nel pieno dell’autunno caldo, Pino Rauti e il nucleo principale di Ordine Nuovo rientrano nell’Msi (la cosiddetta “politica dell'ombrello”) per trovare protezione legale mentre cellule eversive pianificano azioni terroristiche

Il 12 dicembre 1969 c’è la strage di Piazza Fontana. Sebbene l’Msi neghi ogni coinvolgimento, le indagini individueranno in Ordine Nuovo (appena rientrato nel partito) la matrice dell'attacco; la stampa missina sfrutta l’evento per invocare lo stato di emergenza.

Il 7-8 dicembre 1970 è il momento Golpe Borghese. L’Msi è informato del tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese (segretario missino negli anni cinquanta); Almirante decide di non aderire ufficialmente per evitare lo scioglimento del partito, ma molti iscritti partecipano attivamente. .

Tra il 1970 e il 1971 l’Msi cavalca la Rivolta di Reggio Calabria tramite Ciccio Franco, trasformando una protesta locale in un’insorgenza eversiva contro lo Stato.

Il 31 maggio 1972 avviene la strage di Peteano. L’autore Vincenzo Vinciguerra è un ordinovista; l'inchiesta accerterà che Almirante finanziò con 35 mila dollari la latitanza in Spagna di uno dei responsabili, Carlo Cicuttini, all’epoca segretario di una sezione dell’Msi. Almirante prima fruì dell’immunità parlamentare e non andò a processo, e poi il reato fu estinto per amnistia.

Il 7 aprile 1973 Nico Azzi, militante del gruppo La Fenice (legato a Rauti e interno all’Msi), tenta di far saltare il treno Torino-Roma per incolpare i gruppi di sinistra.

Pochi giorni dopo, il 12 aprile 1973 accadono le violenze di quello che è rimasto nella storia come il “giovedì nero” di Milano. L’Msi organizzò un corteo nonostante il divieto esplicito della Prefettura. La manifestazione era guidata da dirigenti locali di rilievo, tra cui Franco Maria Servello, Franco Petronio e Ignazio La Russa, all’epoca segretario del Fronte della Gioventù, la sezione giovanile dell’Msi.

Il corteo non autorizzato si diresse verso la Prefettura e sfociò in violenti scontri con la polizia, con lancio di bombe a mano. Una di queste esplosioni uccise l’agente di Pubblica Sicurezza Antonio Marino. Nel tentativo di manipolare la responsabilità dell'accaduto e accreditare la tesi di un'infiltrazione comunista, vennero sparse per le strade delle tessere del PCI.

Sebbene l’Msi abbia inizialmente tentato di dissociarsi dai responsabili materiali, Vittorio Murelli e Maurizio Loi, descrivendoli come provocatori esterni legati ad Avanguardia Nazionale o ai servizi segreti, il legame tra il partito e gli estremisti emerse chiaramente, rendendo palese la comunanza tra le frange violente e la struttura ufficiale. L’obiettivo strategico di tali azioni era la rottura dell’ordine pubblico per indurre il governo a proclamare lo stato di emergenza.


Nel novembre 1973 il governo scioglie il movimento politico Ordine Nuovo per ricostituzione del partito fascista; Rauti si attiva per recuperare i militanti rimasti fuori.

L’anno dopo, gennaio 1974, l’inchiesta Rosa dei Venti svela una struttura occulta (il Sid parallelo) legata all'operazione Gladio e a gruppi come Ordine nuovo e Msi, finalizzata a colpi di Stato anticomunisti.

28 maggio 1974, strage di Piazza della Loggia a Brescia. Le indagini indicano come responsabili esponenti di Ordine Nuovo legati alla cellula veneta e al mondo rautiano dell’Msi.

Solo dopo il 1974 il rapporto tra il Movimento sociale italiano e l’eversione nera subì una trasformazione, passando da una fase di protezione e ambiguità a una di progressiva deradicalizzazione. Questa crisi alimentò lo scontro tra la corrente moderata di Ernesto De Marzio (favorevole a una piena democratizzazione) e quella di Almirante.

Nel dicembre 1976 la spaccatura culmina nella scissione di Democrazia Nazionale. I moderati uscirono dal partito denunciando l’incapacità di Almirante di recidere i legami con il nostalgismo e l'estremismo. L’Msi rimase così privo della sua ala più istituzionale.

Nel gennaio 1978 la strage di Acca Larenzia, dove morirono tre giovani missini, segna un punto di non ritorno, accelerando la fuga di molti militanti verso la lotta armata clandestina.

Il 2 agosto 1980 la strage di Bologna rigetta l’Msi in un isolamento estremo. Sebbene il partito non fosse direttamente coinvolto, l'attribuzione della matrice ai neofascisti colpì duramente l'immagine di tutto il mondo politico neofascista.

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