Dopo i due contestuali appuntamenti del weekend, resta ancora qualche interrogativo da rivolgere agli “orvietani” e ai “milanesi”
Merita tornare ex post sui due contestuali appuntamenti di Milano e Orvieto di cui si è vivacemente discusso alla loro vigilia. Come ha notato Romano Prodi, discutere è essenziale in un partito grande e plurale che ambisce a fare da “major party” di un’alternativa alle destre al governo.
Gli uni e gli altri hanno avuto cura di sgomberare il campo da due illazioni alimentate dai media: quella di volere dare vita a un partito distinto dal Pd e quella di un’anacronistica polarizzazione tra laici e cattolici interna al medesimo Pd. In palese contrasto con l’idea-forza dell’Ulivo.
Prendendo sul serio tale doppio chiarimento, si deve concludere che la suddetta e benedetta discussione, dunque nell’alveo del Pd, dovrebbe essere centrata su visione e linea politica. Non esorcizzando, ma all’opposto tematizzando e approfondendo le differenze.
A tal fine, non ho compreso il senso del “ponte ideale” tv tra i due incontri, che ha semmai avallato una certa superficiale lettura che accomunava i due appuntamenti. Né l’enfasi con la quale gli uni e gli altri si sono affannati a smentire di qualificarsi come “correnti”. Perché mai? Le si chiami aree politico-culturali. L’importante è che, in loro e tra loro, si accertino e approfondiscano affinità interne e differenze esterne.
Di qui qualche rilievo. A mio avviso, a Milano e a Orvieto si sono espresse sensibilità, visioni, culture politiche diverse e persino lontane su tutte le principali issues: politica estera (non senza implicazioni su pace e guerra), politica economico-sociale, politica costituzionale e postura rispetto alle riforme del governo, concezione del partito e della sua leadership. La prima di ispirazione popolare e cattolico-democratica, la seconda liberale, entrambe coessenziali allo statuto ideale del Pd ma, insisto, assai diverse.
In cerca di risposte
A seguire, qualche interrogativo rispettivamente agli “orvietani” e ai “milanesi”. Ai primi: nessuna autocritica circa una certa subalternità al mito fallace di una globalizzazione radiosa che sottostimava i costi sociali di essa e, di riflesso, la visione di una sinistra troppo schiacciata sull’establishment?
O sul curioso paradosso dei teorici di un bipolarismo spinto sino al bipartitismo che sono poi approdati alla infatuazione per i governi tecnici “terzi” di Monti e di Draghi e alla suggestione del “partito della nazione” intestato a Renzi?
Come non chiedersi se quella metamorfosi non abbia concorso a una rottura sentimentale con i ceti popolari e al confinamento dell’elettorato Pd nella Ztl? Davvero essi pensano si possa accedere all’idea di una mediazione sulle tre riforme costituzionali e istituzionali che manifestamente alterano impianto, equilibri e, inevitabilmente, ispirazione della Costituzione vigente? A cominciare dalla forma di governo parlamentare.
Ai convenuti a Milano che tanto si riconoscono nella Costituzione vigente: come si concilia la legittima, orgogliosa rivendicazione di una tradizione, quella del cattolicesimo democratico, con l’organica partecipazione alla stagione della rottamazione (non esclusa l’ostentata distanza dallo stesso fondatore dell’Ulivo) da parte di alcuni dei promotori di Comunità democratica? Come conciliare la torsione neoliberale di quel trascorso con la spiccata sensibilità sociale ed egualitaria della cultura cristiana?
Perché, in quell’incontro, non si è messa a tema la controversa questione della pace e della guerra, delle forme e dei limiti del sostegno all’Ucraina, che notoriamente divide anche quell’area? Sul punto, si registrano divisioni con gli alleati del Pd stigmatizzate dalla destra e dagli osservatori che ne denunciano il carattere dirimente nella prospettiva di un’alternativa di governo, ma, a Milano, è filtrata la notizia che si è espressamente deciso di non occuparsi del problema.
Infine, la mucca che alberga nel corridoio di entrambi, a Milano e a Orvieto, sotto forma di domanda a chi ha sostenuto un altro candidato alla guida del Pd: perché mai il “congresso” (leggi: “primarie”) lo ha vinto a sorpresa un’outsider cui Prodi ha dato atto di avere rivitalizzato un Pd estenuato?
In breve, sono convinto che sarebbe ingeneroso leggere le menzionate iniziative come mera lotta di potere tra cordate, ma se, come dichiarato, si vuole fare convinti i maliziosi critici che così non è e che davvero si vuole discutere, dentro e fuori del Pd, si devono mettere a tema le questioni che contano e le differenze al riguardo.
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