Bucha è – anzi, era – una cittadina ucraina di poco più di 35mila abitanti, a nordovest di Kiev che, da qualche giorno, si è scoperto esser stata teatro di un eccidio di civili commesso dell’esercito russo, prima che la città stessa fosse riconquistata dalle forze ucraine.

Immagini satellitari attestano l’esistenza di fosse comuni con centinaia di cadaveri e testimoni riferiscono il rinvenimento di file di corpi di civili con le mani legate dietro la schiena con degli stracci e un colpo d'arma da fuoco sulla nuca. Si rievoca Srebrenica.

E mentre il ministero della Difesa russo smentisce che la carneficina sia opera dell’esercito russo, e sostiene che, anzi, la diffusione di quelle immagini terribili costituisce solo «l’ennesima provocazione» del governo ucraino, il presidente Volodymyr Zelensky accusa la Russia di aver commesso un genocidio, il segretario di stato americano Antony Blinken afferma che le immagini dei civili ucraini morti trovati a Bucha sono un «pugno allo stomaco» e che i responsabili ne pagheranno le conseguenze e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg definisce gli omicidi di Bucha una «brutalità» come non se ne vedeva in Europa da decenni.

Le Nazioni Unite e molte organizzazioni non governative (come Human Rights Watch) dichiarano che la scoperta di fosse comuni a Bucha solleva seri dubbi sul rischio che siano stati commessi crimini di guerra e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, il complesso di norme che dovrebbero regolare il comportamento degli eserciti durante un conflitto armato, in cui, è purtroppo il caso di ribadirlo, a discapito del proverbio, non è tutto permesso.

Crimini di guerra e genocidio

Foto AP

Gli attacchi indiscriminati ai civili, il bombardamento di obiettivi non militari, l’attacco a chiese e beni culturali, infatti, come tutte le altre violazioni delle regole che disciplinano il comportamento durante la guerra, rappresentano crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale.

Essi, poi, si verificano spesso, purtroppo, contemporaneamente ad altri comportamenti forse ancora più efferati, come i crimini contro l’umanità (che possono colpire addirittura cittadini del medesimo stato che li commette) e il genocidio. Quello di Bucha, potrebbe essere effettivamente tale?

La convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, del 1948, definisce il genocidio come ogni comportamento commesso con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e, in particolare, l’uccisione di membri del gruppo, le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo, il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale, l’adozione di misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo, il trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

Di esso è responsabile tanto lo stato che lo ha commesso, quanto le persone fisiche che lo hanno ordinato e materialmente realizzato. Insomma, perché si verifichi un genocidio non è affatto necessario cagionare la morte di un numero enorme di persone, come invece pare essere opinione diffusa, e neppure che i relativi comportamenti siano posti in essere nel contesto di una prassi sistematica, diffusa, di violenza, o di una specifica policy di genocidio, a condizione che i relativi comportamenti abbiano l’intenzione (il dolo specifico) di raggiungere l’obiettivo di distruggere, anche solo in parte, il gruppo che colpiscono.

Dimostrare l’esistenza di un siffatto intento non è affatto semplice. Quindi, al fine di valutare concretamente l’esistenza di un rischio di genocidio, gli studiosi che se ne sono occupati, e l’organizzazione delle Nazioni Unite, hanno individuato alcuni elementi la cui presenza può esser letta come un indice di probabilità di genocidio: una sorta di “figure sintomatiche di genocidio”.

Tra questi, un predittore è rappresentato da precedenti violazioni di massa dei diritti umani e altri crimini perpetrate da parte del medesimo stato che si sospetta possa aver commesso o stare commettendo il genocidio, specie se nei confronti del medesimo gruppo.

Ancora, il genocidio appare di più probabile commissione nel caso di grandi sconvolgimenti politici, i quali portano alla destabilizzazione di un dato contesto sociale e lo rendono meno sicuro. Esso, spesso, è poi supportato, anticipato, promosso, da una propaganda e dall’uso di un linguaggio che sono volti a svalutare e demonizzare la popolazione bersaglio.

E alla luce di questi parametri va ricordato il precedente dell’Holodomor, la “morte per fame” che colpì il territorio dell’Ucraina dal 1932 al 1933 cagionando tra i sette e gli otto milioni di morti e che fu causata da politiche fondiarie sovietiche che indussero una carenza di cibo e una enorme carestia quell’Ucraina allora granaio dell’Urss e che il parlamento europeo, nel 2008, ha qualificato come un crimine contro l'umanità.

E parimenti vanno tenuti in debita considerazione il fatto che la Russia sta realizzando, per giustificare la sua invasione dell’Ucraina – il cui obiettivo sarebbe “solo” la sua denazificazione e la cui leadership è stata definita da Putin come una banda di tossicodipendenti e neonazisti – una propaganda in cui si fa un uso, evidente e spregiudicato di fake news, censura e di un linguaggio che mira alla demonizzazione dell’avversario e che, sempre Putin, in più di un’occasione, abbia suggerito che l’identità ucraina sarebbe sintetica e che, storicamente, russi e ucraini sarebbero un solo popolo, “una nazione, in effetti”.

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