Sapessi com’è strano aprire cantieri a Milano. In questa stramba stagione di vigilia delle Olimpiadi invernali e delle successive elezioni comunali, dal centro alla periferia è tutto uno tsunami di chiacchiere che si va abbattendo sull’essenza della “città del fare”. Proviamo a ricostruire la mappa della polemica metropolitana contemporanea, che parte da via Montenapoleone e arriva sino a San Siro.

Innanzitutto, tema cruciale, «il ballo del mattone». Sono diventate pubbliche, come si sa, le ragioni (motivazioni) che hanno spinto il tribunale del riesame a smentire categoricamente l’impostazione della procura contro architetti, costruttori e politici, finiti nell’impreciso mirino giudiziario degli inquisitori. I giudici usano parole come «semplificazione argomentativa svilente». E affermano gli stessi concetti prospettati dai pochi osservatori che hanno osato esprimersi sul punto.

Nel senso che, al massimo, si sarebbe potuto procedere per abuso d’ufficio. Abrogato quel reato, in base a quale acrobazia chi indaga può saltare direttamente all’accusa di corruzione tra architetti, ingegneri, politici e manager delle immobiliari? Dov’è l’illecito profitto (i soldi o i favori)? Come si può far entrare nelle carte dell’accusa qualcosa che nel codice penale non esiste (l’«urbanistica democratica»)?

Ci sarebbe da riflettere, e anche tanto, ma la doppia risposta della procura di Milano è stata fulminante. Una, ha ampliato il numero dei sostituti procuratori a caccia di cantieri da biasimare. Due, è stato già ipotizzato il ricorso in cassazione contro la bocciatura del riesame. Insomma, si procede: con il paraocchi. E non considerando che sin dal primo palazzo contestato, quello di piazza Aspromonte, i supremi giudici avevano già spiegato alla procura che quello dov’è stato innalzato un palazzo «non è un cortile». Quindi, non c’era e non c’è illecito. Chiaro e tondo.

Non apparteniamo al manipolo dei complottisti, l’atteggiamento della procura diretta da Marcello Viola sembra però dar ragione alle teorie del centrodestra sui pm scatenati a vanvera. Cioè, visto che sinora la procura ha collezionato smentite, chi pagherà per i cantieri fermi, per le giornate di lavoro perse, per gli appartamenti nei quali non si può entrare, durante un’indagine dai tempi lunghissimi e dall’esito quanto meno dubbio?

Sono questioni serie, complesse, profonde e molto dibattute, ma soprattutto, e curiosamente, in privato. Nel senso che il labirinto di cantieri sequestrati è un assoluto inedito per il milanese medio, quello del «pago, spendo, pretendo». E che oggi scopre che non esiste la certezza della pena e nemmeno la certezza della casa. La sua apprensione non trova una sponda alla luce del sole nella politica, sinora molto timida. Tanto che la strategia del silenzio ha finito per rendere il sindaco Beppe Sala un po’ troppo evanescente rispetto ai gusti degli elettori. Cioè, dov’è nascosta la città che “non si ferma”?

Il pensiero corre anche ai tanti progetti nati e defunti, ai luoghi individuati e smentiti, ai dibattiti aperti e chiusi intorno allo stadio di San Siro: finalmente – ma vedremo – dopo quattro anni di patimenti siamo in dirittura d’arrivo. Con la politica frazionata e i comitati cittadini agitatissimi.

L’ultima polemica della serie nasce in una delle più ricche vie dello shopping del mondo, e cioè Montenapoleone. È stata appena chiusa al traffico privato e i commercianti narrano di imminenti catastrofi, con il 60 per cento di incassi in meno. Lo stesso accadeva – lo diciamo agli smemorati – nel 1985, quando venne chiuso al traffico corso Vittorio Emanuele, la via che collega il Duomo a piazza San Babila. Quarant’anni fa. Una decisione (presa allora dai socialisti di Paolo Pillitteri) che ha portato, conti alla mano, meno smog per chi passa e ricchi incassi ai negozianti.

Senza la difesa delle sue radici, la “città del fare” finisce per perdersi. Né si intravede, a Palazzo Marino, la voglia di reagire. Ma tanto, si sente dire, il centrodestra è messo peggio: è incapace di trovare candidati votabili. E finché dura, è dolce annaspare in questo mare.

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