Dopo il decreto festività (n. 221), arrivato alla vigilia di Natale, è stata la volta del decreto pubblicato alla vigilia di Capodanno (n. 229). Di fatto, le misure adottate con quest’ultimo decreto legge avrebbero potuto essere assunte con quello approvato solo cinque giorni prima.

E le decisioni del Consiglio dei ministri preannunciato per il prossimo 5 gennaio – di nuovo alla vigilia di una festa, l’Epifania – avrebbero potuto essere prese la settimana precedente, con il decreto di fine anno. Al di là delle necessità dettate della pandemia, è forse la “politica” che detta i tempi.

La girandola regolatoria

Sul piano del diritto la situazione è sempre più confusa. Si auspicava che, dopo l’esperienza normativa di due anni di pandemia, sarebbero state finalmente sancite regole chiare, lineari e di agevole interpretazione. L’auspicio è stato disatteso. Del resto, ormai c’è una vera e propria girandola di disposizioni che ruota senza sosta, a seguito di decreti deliberati a pochi giorni di distanza – 14, 24, 29 dicembre e poi il prossimo 5 gennaio – e innumerevoli richiami e modifiche a provvedimenti degli ultimi due anni. Il risultato è un groviglio che rende quasi illeggibili alcune norme, ridotte a un ammasso di rimandi. L'ignoranza della legge non è mai giustificata, ma a fronte di certe disposizioni il dubbio sorge. Dal governo di Mario Draghi ci si aspettava maggiore attenzione alla qualità della regolazione.

Il prossimo decreto legge, con nuove misure di contrasto al Covid-19, potrebbe essere varato il 5 gennaio, come detto. Programmare con una settimana di anticipo l’adozione di un provvedimento previsto dalla Costituzione per situazioni di necessità e urgenza, quindi per definizione non programmabili, ne distorce la funzione. È vero che la decretazione d’urgenza è stata snaturata da diversi anni, ma non sarebbe tardi per farla rientrare nei binari corretti.

Problemi giuridici

L’ultimo decreto legge estende l’obbligo del green pass rafforzato (senza opzione del tampone), che servirà, tra l’altro, per accedere al trasporto pubblico locale. In questo modo, il godimento di diritti tutelati costituzionalmente – per i quali non serve il green pass, come il diritto all’istruzione – sarà condizionato all’avvenuta vaccinazione: si può accedere a scuola anche se non vaccinati contro il Covid-19, ma senza essere vaccinati non si potranno prendere mezzi pubblici per andare a scuola.

Il trasporto pubblico è un servizio essenziale anche perché consente l'esercizio di diritti fondamentali. Subordinare la fruizione del servizio alla vaccinazione limita indirettamente tali diritti, imponendo un onere la cui gravosità appare sproporzionata. Sorgono dubbi sulla legittimità costituzionale della misura, che peraltro amplifica le disuguaglianze fra chi può andare a scuola con un’auto privata e chi, invece, non può permettersi questo lusso.

L’auto-sorveglianza

Prima di Natale, il principio guida del governo era stato quello di “massima precauzione”, richiamato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, tra gli altri. L’esecutivo stava valutando anche l’adozione di regole improntate a tale principio: ad esempio, il tampone in aggiunta al vaccino per accedere a luoghi chiusi dove maggiore fosse il rischio di contagio. E, sempre per “massima precauzione”, virologi e politici nei talk show televisivi suggerivano agli italiani, pur se vaccinati, di fare un tampone prima delle riunioni natalizie. Poi il sistema dei tamponi si è inceppato, e il governo ha cambiato rotta, con nuove regole tese a limitare i test, reputati invece essenziali prima delle feste.

Il nuovo decreto, infatti, è agli antipodi della “massima precauzione”. I soggetti asintomatici, contatti stretti di positivi, che abbiano ricevuto la dose booster, oppure abbiano fatto la seconda dose di vaccino o siano guariti da infezione da meno di 120 giorni, non devono più stare in quarantena, bensì in “auto-sorveglianza”. In pratica, l’unico obbligo che hanno è quello di indossare mascherine di tipo Ffp2 per almeno dieci giorni dall’ultimo contatto, e poi possono andare in giro. Ma mentre per i sintomatici le regole sono chiare – un tampone appena compaiono sintomi e, se ancora sintomatici, al quinto giorno dopo l’ultimo contatto con positivi – per gli asintomatici si è fatta confusione.

La confusione

Roberto Speranza (foto laPresse)

Innanzitutto, la circolare del ministero della Salute esplicativa dell’ultimo decreto legge non è conforme al decreto stesso. Mentre per quest’ultimo la cessazione dell’auto-sorveglianza conseguirebbe all’esito negativo di un tampone dopo dieci giorni, secondo la circolare «il periodo di auto-sorveglianza termina al giorno 5», e senza tampone. Il ministro Speranza ha fatto sapere, attraverso fonti informali, che va applicata la sua circolare. Premesso che ciò non è rispettoso della gerarchia delle fonti, scaduta al rango di opinione, appare singolare che si affidi a fonti non ufficiali l’interpretazione autentica della volontà del legislatore. La confusione creata è l’ultima cosa di cui si sentiva il bisogno.

In secondo luogo, dopo mesi passati a dire che fare il vaccino è un dovere sociale – a difesa soprattutto di chi non può vaccinarsi – per il principio di solidarietà che impronta il vivere collettivo, tale principio viene ribaltato. I contatti stretti di positivi restano liberi di circolare, con il rischio di contagiare anche coloro i quali si volevano tutelare. L’obbligo di mascherina Ffp2 andrebbe interpretato nel senso che è precluso l’accesso a luoghi ove tale mascherina non viene indossata: ad esempio, ristoranti o mense aziendali, ove i contatti stretti di positivi potrebbero mettere a rischio non solo i fragili, ma le attività economiche. Inoltre, sancire questa sorta di “liberi tutti”, senza aver messo in sicurezza mezzi pubblici e scuole, pare un azzardo.

La quarantena

Infine, l’abolizione della quarantena, nelle ipotesi previste, potrà indurre altri paesi a tutelarsi, imponendo controlli a chi provenga dall’Italia, ad esempio un tampone negativo, come già previsto dall’Italia per chi arrivi da qualunque paese. Tutto ciò va contro la “ratio” del certificato verde europeo, concepito come strumento per facilitare la circolazione fra gli stati dell’Unione europea, senza oneri ulteriori.

Attraverso le nuove regole – come dichiarato da esponenti del governo – si è voluto evitare il collasso del paese a causa delle quarantene. L’esecutivo ha evidentemente ritenuto che la maggiore circolazione del virus, che sarà determinata dall’abolizione delle quarantene per i contatti stretti, nei casi indicati, avrà impatti sostenibili per le strutture sanitarie e non causerà altrettante quarantene per positività.

Del resto, la regolazione è sempre il risultato di un’analisi di costi e di benefici. Nelle prossime settimane si verificherà se il rischio indotto dalla nuova disciplina sia stato ben “ragionato” da Draghi. Di certo, il presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a spiegare trasparentemente il suo “ragionamento”. Sarebbe stato il minimo, dovuto a un paese sempre più disorientato.

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