«La parola “antifascista” purtroppo ha portato in tanti anni a morti» dice il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ospite di Monica Maggioni, nel programma di Rai 3 In Mezz’ora. «Non mi dichiaro antifascista perché il fascismo è un movimento politico storico finito da 80 anni», dichiara il generale Vannacci a Quarta Repubblica, su Rete 4.

Per Italo Bocchino, intervistato su Repubblica, il 25 aprile è una data fondativa perché ci ha liberato da «quei pazzi dei tedeschi». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ospite a un convegno dell’università Roma Tre, ci ha tenuto a precisare che va bene festeggiare il 25 aprile, ma non dimentichiamo che il nostro è un codice penale fascista. «Sì sono fascista, e allora?» dice Massimo Magliaro ad Ascanio Celestini in prima serata a Di Martedì.

Queste sono solo alcune delle dichiarazioni pubbliche raccolte nei giorni precedenti la festa della Liberazione, una ricorrenza che è diventata un’occasione per sottolineare quanto misero e avvilente sia il presente politico italiano, un presente in cui si discute sul valore di un concetto universale e inalienabile come l’antifascismo. Chissà cosa direbbero i partigiani che sono morti e che hanno combattuto affinché avessimo una costituzione. Chissà cosa direbbe Rossana Rossanda, che il fascismo lo ha vissuto da staffetta, di questa vulgata che vuole il 25 aprile come giorno “divisivo”, e non come data simbolica del momento in cui l’Italia fu davvero unita nel rovesciare un regime.

In realtà, Rossana Rossanda, che il 23 aprile del 2024 avrebbe compiuto cento anni, e che anche se non c’è più dal 20 settembre del 2020 continua a esistere nella forma più inscalfibile di testamento, i suoi articoli, i suoi libri e i suoi pensieri, qualcosa su questo tema lo aveva detto. Era il 2018 e in un intervento su il manifesto chiedeva un appello al presidente della Repubblica per intervenire a proposito delle dichiarazioni inaccettabili di Salvini e dell’estrema destra sul 25 aprile.

«Non dimenticheremo facilmente questo 25 aprile nel quale abbiamo assistito a un rigurgito di presenze fasciste, culminate con la cerimonia di Predappio, nonché con la decisione di un vice primo ministro Salvini a non assistere a quello che ha definito un derby tra fascisti e nazisti (intendendo assimilare i comunisti al nazismo)», scrive.

La tiepidezza

Sei anni fa era Matteo Salvini a fare da portavoce illustre del pensiero della destra italiana, quell’insopportabile atteggiamento autoassolutorio da italiani brava gente vittime della sconsideratezza nazista, niente a che vedere con la nostra storia e le nostre azioni.

Oggi è Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, a gettare benzina sul fuoco della retorica per cui è tutta un’invenzione, una paranoia, un’esagerazione. È la sinistra che monta casi, quello nello specifico di una “presunta censura”, confermata poi dai documenti che la testimoniano e che riguarda, casualmente, un monologo che ha come tema l’antifascismo, parola superflua e divisiva e addirittura violenta, a detta di molti.

Anche di Antonio Scurati Rossanda aveva scritto nei suoi ultimi anni di vita, quando era già novantenne e provata dalla malattia, ma non per questo meno «ragazza del secolo scorso», come titola la sua autobiografia che è un trattato di storia italiana contemporanea. «Quel che esce bene dal libro, e che è importante ancora oggi, è la tiepidezza con la quale l’Italia, e non soltanto Facta, ha permesso che il fascismo si sviluppasse», dice in un articolo sempre del 2018, dal titolo Il figlio del secolo scorso e la degenerazione politica.

La tiepidezza con cui l’Italia ha accettato il fascismo è la stessa con cui descrive la sua vita da staffetta partigiana, quando attraversava la Lombardia in sella alla sua bici, da ragazza, dopo aver visto le leggi razziali diventare realtà, con i compagni di classe che non venivano più a scuola e le botteghe che chiudevano. Rossanda, che viene ricordata dalla compagna di militanza Luciana Castellina al centenario organizzato dall’Archivio di Stato come una donna che è stata profondamente immersa nella collettività e nell’idea di un «intellettuale collettivo», lo racconta con grande onestà.

Persino lei, che è stata parte della Resistenza, sentiva addosso il peso dell’indifferenza e del sentimento distaccato e silenzioso che fa da terreno fertile per ciò che, visto da lontano, ci sembra rumoroso e prevaricante. Rossanda che, dopo ventisei anni nel Pci, ha vissuto l’espulsione non come esilio ma come occasione di fondare un’alternativa al partito dentro cui era cresciuta, con un rapporto viscerale, e di cui non accettava le omissioni, le resistenze nei confronti della modernità, la disonestà verso fatti storici troppo grandi per essere ignorati.

Lei che credeva nell’unicità del Pci “giraffa”, come lo chiamava Togliatti, e che ne è stata vittima proprio per la sua incapacità di stare in silenzio – «Una giraffa all’interno del comunismo», la descriveva Castellina – ci parla della sua vita da staffetta come qualcosa di ordinario e anzi, si rimprovera per non aver fatto di più. E cosa dovremmo dire noi che, invece di celebrare queste persone, il 25 aprile stiamo a discutere della legittimità di una giornata che da festa nazionale si è trasformata in campo di battaglia della demagogia fatta sui compensi degli scrittori in televisione?

Un pericolo strisciante e silenzioso

Oggi il pericolo non sarà il fascismo, ma sicuramente lo è la naturalezza con cui ne parliamo come se fosse un argomento superato, parte del nostro folklore. «Che oggi, quasi un secolo dopo, sia così difficile dire “vabbè ragazzi, ammettiamolo, c’era una parte giusta e una parte sbagliata”» dice lo storico Alessandro Barbero, ospite a DiMartedì.

È questo il vero pericolo strisciante e silenzioso, “normalizzato”. Se la destra italiana e le sue figure istituzionali, i suoi intellettuali organici, i suoi attori, presentatori e giornalisti che riempiono il palinsesto Rai smantellando il servizio pubblico a suon di trasmissioni su D’Annunzio e Marinetti e “voci fuori dal coro”, è davvero così lontana dal fascismo, perché è così difficile dirsi antifascisti? Perché dovrebbe essere un concetto divisivo o violento, se descrive le fondamenta della nostra costituzione che ripudia il ventennio? Sarebbe bello sapere cosa ne pensa Rossana Rossanda di ciò che è il presente, ma forse è meglio che per i suoi cento anni non sia qui a vederlo.

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