Per secoli la birra è stata la principale bevanda di gran parte della popolazione europea. Non si trattava di una bevanda ricreativa, ma di ciò con cui ci si dissetava e ci si nutriva nel corso della giornata. Per questo esistevano birre dal tenore alcolico molto contenuto - in generale la gradazione alcolica, con rare eccezioni, era più bassa di quella a cui ci siamo abituati da dopo la Seconda Guerra Mondiale - adatte a essere consumate nelle prime ore del giorno o durante il lavoro. Si tratta di tipologie che andrebbero rivalutate o maggiormente prese in considerazione soprattutto ora che il mercato richiede prodotti con poco o pochissimo alcol. Ognuna delle principali tradizioni birrarie ne ha diverse che può essere curioso raccontare.

Le birre leggere nel Regno Unito: mild e bitter

Non si può che cominciare con il Regno Unito, patria di numerose tipologie dalla gradazione alcolica minima e adatte al modo di bere che è andato definendosi nei pub: continuativo, in capienti pinte, senza cibo ad accompagnare… E se il Regno Unito rappresenta il luogo privilegiato degli stili più leggeri, le mild ne sono l’espressione più popolare.

La loro storia è tutt’altro che chiara e con maggior probabilità le mild per lungo tempo non sono state nemmeno un vero e proprio stile birrario, quanto piuttosto un modo di indicare quelle birre che venivano fermentate in modo blando (mild appunto) così da ottenere un grado alcolico basso e, contemporaneamente, mantenere un buon grado zuccherino che rendesse la bevuta morbida e il prodotto nutriente.

Queste due caratteristiche rendevano le mild perfette per gli operai che pur consumandone in grande quantità non solo non si ubriacavano, ma ne uscivano rifocillati e pronti per affrontare la lunga giornata di duro lavoro. Le mild, dopo un periodo di grande crisi che ne ha quasi quasi decretato la sparizione, sono tornate piuttosto in voga negli ultimi anni. Caratterizzate da un livello alcolico che raramente supera i 3,8 gradi, hanno un colore generalmente scuro (ma ne esistono anche versioni tendenti a un tono più ambrato) e un palato scorrevolissimo, morbido e segnato da sensazioni di caramello, frutta secca e da leggere tostature. Se le mild erano le birre dei lavoratori le bitter erano quelle invece del padrone che le beveva seduto all’interno del pub rilassandosi a fine giornata e discutendo ancora per qualche tempo di affari e di politica.

Le bitter sono, come dice il noto beer writer britannico Adrian Tierney-Jones «insieme alla testardaggine, alle Spice Girls e al fish and chips» il principale simbolo del Regno Unito. Come facilmente intuibile dal nome è l’amaro la principale caratteristica di questo stile. Un amaro che va letto però in una chiave antica: non immaginatevi quindi note profonde e taglienti di china e di genziana, quanto piuttosto le sottili sensazioni dell’albedo di agrume o le morbide asperità del rabarbaro.

Le bitter sono infatti l’evoluzione delle prime birre che nel Regno Unito, nella prima metà dell’Ottocento, presentavano due caratteristiche talmente nuove da essere dirompenti: un colore più chiaro (fino all’inizio del XIX secolo la stragrande maggioranza delle birre prodotte in Europa era scura) e una luppolatura più evidente.

Fortemente influenzate dalla provenienza regionale le bittere oltre a un bel colore ambrato, a un’ampia e biscottata base maltata e a un finale asciutto e discretamente amaro, presentano anche una gradazione alcolica estremamente contenuta, proprio come quella dell’altro grande stile britannico che le bitter sostituirono nella seconda metà dell’Ottocento le porter, le birre degli scaricatori del porto di Londra che si nutrivano quasi quotidianamente solo con qualche pinta di questa birra scura chiamata anche two penny per via del costo contenuto e con una dozzina di ostriche, molluschi oggi preziosi e costosi ma un tempo abbondanti a buon mercato.

Dalla Germania la leggerezza acida della Berliner Weisse

Se dal Regno Unito ci si muove in Germania lo stile che meglio interpreta una bevuta leggiadra nell’alcol, ma non solo è la Berliner Weisse: birra di frumento di Berlino, di gradazione alcolica mai superiore al 4%, prodotta con un’elevata quantità di frumento maltato e fermentata con lieviti ad alta fermentazione, batteri lattici e brettanomiceti (una particolare tipologia di lieviti capaci di fermentare in condizioni estreme e in grado di produrre composti aromatici che al naso possono apparire piuttosto selvaggi).

Una birra che, per via di queste caratteristiche produttive, presenta un carattere unico fatto di sottili e rinfrescanti acidità, di note che a un naso non abituato possono apparire come leggere puzze e di un profilo estremamente rinfrescante.

La Berliner Weisse, per motivi storici, di standardizzazione dei processi produttivi e dei consumi sono quasi scomparse nella seconda metà del Novecento, ma anche grazie al movimento artigianale hanno avuto un notevole riscatto negli ultimi dieci anni.

Simili, ma con una componente affumicata, apportata dall’utilizzo di malto di frumento trattato con fumo di legno di faggio, sono le polacche Grodziskie. Una tipologia, come suggerirebbe la presenza di malto affumicato, ancora più antica della Berliner ma con la stessa rinfrescante componente acidula e con un bassissimo tenore alcolico.

Il Belgio e le grisette, le saison dei minatori

Il Belgio, che oggi conosciamo soprattutto per le sue birre alcoliche e morbide, fino al 1950 aveva una produzione alcolica media che non superava i 4,5 gradi. Nella miriade di stili fortemente localizzati si possono trovare le grisette, originarie del sud del Paese.

Una sorta di saison in miniatura, più fresche, fortemente luppolate e decisamente meno alcoliche, forse perché destinate al consumo da parte dei minatori che abbondavano in questa zona del regno e che avevano la necessità di rinfrescarsi senza però subire le conseguenze dell’alcol, un po’ la stessa situazione nella quale ci si trova oggi e che spiega perché proprio queste birre stiano tornando così di moda e perché possano essere quelle sulle quali scommettere per il futuro.


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