E se l’autore della raccolta di saggi polemici Contro l’impegno fosse un personaggio di un romanzo e non dovessimo prendere alla lettera quello che scrive? Se fosse un esercizio letterario, una scommessa dove Walter Siti prova l’impresa di usare il “narratore inattendibile” anche nella saggistica come ha fatto nei suoi romanzi?

Il narratore inattendibile, in un romanzo, è quella voce che ti racconta la storia in una maniera per cui l’autore – nascosto un passo indietro – riesce a farti capire che non le devi credere. L’autore ha disseminato nel testo indizi, di solito facili da scoprire, per cui non devi fidarti del narratore, devi leggere il suo testo in filigrana. L’esempio ormai canonico è il maggiordomo di Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, che a forza di difendere l’onestà e la bontà del suo padrone, un aristocratico inglese di metà novecento, ti fa scoprire che trattasi di amico dei nazisti.

Il Siti che scrive questo saggio potrebbe essere un Siti immaginario creato da Siti per fare la seguente operazione: narrare, letteralmente, che la letteratura impegnata, tutta storytelling e valori positivi, sta facendo impoverire il discorso culturale delegittimando quella letteratura che cerca l’avventura delle parole, il salto nel buio; ma mettere questa narrazione in bocca a un vetusto maggiordomo della letteratura alta in modo che non si possa credergli davvero. Il narratore-maggiordomo, man mano che difende la propria posizione, ti farebbe intravedere dell’altro…

Che altro? Che la letteratura pop-engagée che si vende trasformandosi in podcast e serie tv e storie Instagram è meglio della vecchia letteratura? No, il Siti-autore nascosto dietro al Siti-narratore non sarebbe mai così banale. Ma non si può neanche dire, come ha fatto Jonathan Bazzi, che «La posizione di Siti è netta: l’impegno semplificante degli scrittori che vogliono curare, aggiustare il mondo […] ha infettato le scritture più in voga oggi». Jonathan, non devi credere alla lettera di quel che dice Walter. La sua polarizzazione tra alto e basso, tra arte dura e cattiva e furbi commercianti di impegno è un trucco retorico che nasconde un altro interesse più profondo e più vitale.

Meccanismi da talk show

Questo libro di viaggi nella cultura travestiti da invettive è un ritratto del mondo culturale assolutamente entusiasmante. L’attenzione errante ma profonda che Siti dedica ai meccanismi del talk show, all’evoluzione della scrittura di Saviano, alle differenze tra Murgia comunicatrice e Murgia romanziera, alle sottigliezze del libro ibrido di testimonianza, genera pagine di una definizione che mi lascia a bocca aperta. Peraltro, molto meglio essere criticati così che recensiti dagli adoratori: «Saviano [in tv] riscopre, con ottimi risultati, un genere dell’oratoria antica, il demonstrativum o epidittico – le sue orazioni, su aspetti della politica e della società, si presentano come “pezzi chiusi”, senza mai alcun dialogo o contraddittorio; è particolarmente bravo nell’actio, cioè nell’arte essenzialmente teatrale di porgere il discorso utilizzando l’aura che si è creata intorno a lui e perfino il proprio aspetto fisico…». Con nemici come Siti, chi ha bisogno di amici?

Le pagine sul talk politico chiariscono la qualità dell’attenzione e dello sguardo di Siti: «…potrebbe passare per un innocuo “programma contenitore”; ma sarebbe fargli un torto, trascurandone la forte carica emotiva e le costanti formali. Preferisco analizzarlo nella sua organicità di spettacolo carsico, che sguscia tra i discorsi referenziali e i vari approfondimenti come una biscia tra le canne di palude». E anche lui sguscia fra tanti amori televisivi per inseguire la biscia: «L’atmosfera della lite [che è il climax del talk politico] non conosce le punte comiche toccate a Uomini e donne da Gemma Galgani e Tina Cipollari (capaci di chiudere con un allegro balletto di riconciliazione), né la disinvoltura da bar delle trasmissioni sul calcio (con digressioni e divagazioni alla Cioni Mario), né il friccico di curiosità morbosa dei talk sui delitti (più simili alle antiche veglie nella stalla); i politici hanno un nome (e una ditta) da difendere, provano a contenersi, le liti sono tutte di nervi e hanno il fascino di apparire un po’ intinte di vergogna – ma quando raggiungono il diapason ammiccano comunque al genere della farsa più che del dramma».  

È l’onore delle armi la cosa che non mi aspettavo da questo libro. Siti prende sul serio chiunque senta il bisogno di comunicare o raccontare. Niente è liquidato. L’attenzione che dedica alla cultura a ogni frequenza – corteggiandola con immagini impreviste ed elastiche come «le antiche veglie nella stalla» e la biscia sgusciante – e il gusto che prova nel cercare di scomporla e ricomporla sulla pagina per poi capire cosa pensarne, sono soprattutto capaci di produrre pagine di definizione assoluta, degna dei suoi romanzi.

Sfuggente e sensuale

La parte che mi piace del discorso di Jonathan Bazzi su Siti è quella che dice che c’è in corso una tale quantità di combinazioni di impegno e stile che è inutile partire dalle contrapposizioni nette. Citando Claudia Durastanti, Bazzi dice che parlare del male non è l’unica prova di verità: oggi serve anche l’avventura di trovare nuove forme del bene. Ma una volta detto ciò, io non so come si possa leggere Contro l’impegno senza avere semplicemente voglia di ridere e di dire a Siti: guarda che si vede che la materia che smonti ti interessa moltissimo, che le cose che critichi ti piacciono più che a me, è solo che ne vuoi parlare – come scrivi nelle ultime righe del libro: «Vi prego almeno di credere che non si tratta di sentenze», dice il nostro narratore: «è solo una piccola rivendicazione corporativa, quasi una vertenza sindacale[.] Non mi sento né in grado né in vena di lanciare grida d’allarme: ma discuterne un poco, magari sì». Ogni definizione che fa di sé questo grande scrittore è sfuggente, incerta, sensuale. È un umile snob, un povero, un guardone. La polarizzazione, in questo libro, è solo un congegno per parlare, e il vero contenuto è il parlare: la forma di quel parlare che entra ed esce da registri e opere altrui con una curiosità che ormai è il nostro patrimonio di lettori.

E dunque: mai credere a Walter Siti. A farsi trascinare da Siti in un dibattito sul suo libro Contro l’impegno, per prendere l’una o l’altra posizione, si può finire male. E io stavo per finire male: per scrivere questo intervento avevo preso pagine di appunti come se il suo fosse un saggio e non un romanzo. Li riassumerei così: «Contro l’impegno è in realtà un libro Contro l’intrattenimento. Contro l’unica forma di intrattenimento spacciata da cosa seria, ossia il neo-impegno, l’impegno dei preti laici a caccia di gregge per arricchirsi; l’impegno facile da digerire che non provoca scandalo ma rassicura i consumatori di morale. Mentre la vera arte – lol – è quel viaggio nell’ambivalenza che permette di mescolare tutto: il peccato e l’anelito, la giustizia e la sincerità, il sesso e il digiuno. Ecco i miei appunti sul perché – se questo libro crea una polarizzazione – io sono con Walter, ossia Contro l’impegno».

Poi mi sono reso conto che il viaggio di questa lettura era troppo avvincente per ridurre il relativo dibattito a un talk show favorevoli-contrari di quelli che si guarda Walter.

Letteratura spericolata

Ritorno alla premessa iniziale: è un romanzo col narratore inattendibile. Se avete letto Troppi paradisi, il suo romanzo sul mondo della televisione, saprete che l’autore è sia un cinico tremendo che un amante della cultura popolare. Siti è come quell’agente doppiogiochista che non sa più da che parte sta il suo cuore perché è il doppio gioco in sé la vera avventura esistenziale. Siti vuole una vita letteraria spericolata. Vuole usare parole polisemiche. «Per la scrittura letteraria l’ambiguità è fondativa e ineliminabile, il testo letterario è un insieme dove tutto può combinarsi con tutto, ogni parallelismo e suggestione sono leciti».

Ma la polisemia e l’ambiguità sono cose tanto belle che non si possono celebrare in un saggio dritto, che dice “pane al pane”. Così Siti ha scritto un saggio-trucco: un saggio che prova a portare la polisemia a un livello supremo: usare il saggio, anzi l’invettiva, che sembra l’opposto della polisemia, per dire una cosa apertissima, e quindi dare ragione all’arte.

Certo, alla lettera Walter ci crede alle sue invettive, ma da romanziere prende le difese narrative dei suoi obiettivi polemici, ossia li racconta nella loro ricchezza, ci permette di empatizzare con i cattivi del suo libro. Leggendo delle avventure creative di Saviano tra stile e realtà, lo snob può provare simpatia per la prima volta all’idea delle questioni formali che Saviano ha dovuto affrontare negli ultimi quindici anni. Quale difensore di Saviano ha mai fatto tanto? Allo stesso modo, leggendo dello sforzo di Buttafuoco di rifare l’epica fascista, ci si dice: «Già, dev’essere un lavoraccio».

Negli anni, questo libretto emergerà come un’aggiunta cruciale alla narrativa di Siti, il libro dove racconta con euforizzante libertà cos’è stato l’ecosistema di parole e immagini dentro cui ha costruito trent’anni di romanzi sperimentali. Festeggiamo il suo snobismo, il suo vocabolario e la sua fame di realtà.

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