La Resistenza, come fenomeno complesso ma centrale per l’identità repubblicana, ha avuto spazio nella cultura di massa. A partire dal cinquantesimo anniversario del 1993-1995, anche per i riflessi della nuova stagione politica, essa ha trovato una nuova ricezione nello scenario pop: a partire dal concerto Materiale Resistente del 1994 è fiorita ad esempio una nuova stagione di combat folk impegnato, che ha tra l’altro rilanciato a livello internazionale Bella ciao.

Con il nuovo millennio, sulla scia dell’avvento del digitale prima e dei social poi, si sono aperti ulteriori orizzonti, che hanno coinvolto ad esempio il mondo del fumetto. In questa scia si pone anche la comparsa della Resistenza come tema non episodico nel contesto ludico, il cui punto di partenza possiamo individuare nella edizione 2015 di Play, il festival del gioco che si tiene ogni anno a Modena.

In quell’occasione infatti, in corrispondenza col settantesimo della Liberazione, la sezione dedicata a Gioco e storia si è incentrata proprio sulla Resistenza, consentendo agli oltre 30mila presenti di “giocarla” nelle più diverse modalità.

Il secolo ludico

Nel complesso il gioco – pratica culturale universale divenuta centrale nel nostro tempo, definito “secolo ludico” – offre alcuni elementi di specifico interesse per la storia: la sua natura di contesto delimitato e regolato, ma aperto alle scelte dei giocatori, garantisce infatti un isomorfismo di fondo con la realtà umana e una esperienza interattiva e immersiva. Tanto i limiti imposti agli attori dai vincoli di contesto quanto gli spazi di agency che sono loro concessi sono infatti ben noti ai giocatori come agli storici. In effetti il gioco consente di vedere gli eventi del passato dalle molteplici prospettive dei diversi soggetti in campo; offre la possibilità di mettersi, in modo controllato, anche nella parte dei “cattivi”; soprattutto permette di sperimentare dinamiche possibili ma non realizzate. Il gioco storico si basa infatti sul cosiddetto “what if”, perché la libertà di scelte del giocatore può portare a scenari diversi da quelli reali, ma che, se il gioco è ben fatto, devono essere verosimili.

Questa esperienza, che comporta indubbiamente dei rischi, ha comunque il merito di promuovere una concezione non deterministica della storia: in qualche modo il gioco consente quello «spazzolare la storia contropelo» che Walter Benjamin preconizzava come esperienza di liberazione sociale.

Ai giochi che usano strumentalmente la storia come sfondo e a quelli didattici, che insegnano la storia tramite meccanismi ludici non sempre divertenti, si aggiunge oggi una nuova generazione di giochi che rimandano consapevolmente al terreno della public history, cioè puntano a costruire narrazioni storiche facendo interagire le competenze scientifiche con le esigenze del gaming, coinvolgendo quindi a pieno titolo nell’operazione storica anche soggetti nuovi, come game designers, sviluppatori, giocatori.

Giochi di Resistenza

Quale è lo spazio specifico della Resistenza in questo ambito? Con il settantesimo anniversario (2013-2015) sono comparse indubbiamente esperienze interessanti e oggi il quadro appare molto articolato. Pionieristico in questo campo è stato il settore dei giochi di ruolo: già nel 2007 usciva Senio ‘45, originale tentativo del museo locale di sondare il campo attraverso una firma importante come quella di Gabriele Mari. Poi nel 2015 Terre spezzate ha lanciato il Larp (gioco di ruolo dal vivo) Ribelli della montagna che riambientava sulle montagne piemontesi un episodio della Resistenza emiliana; da allora questa esperienza è stata ripetuta più volte con notevole successo.

Restando ai giochi dal vivo, molto interessante l’esperienza degli urban game a sfondo resistenziale messi a punto dall’associazione Pop History: Echi Resistenti, Milano45 e di recente La promessa di Vado, ambientati in diversi scenari ma tutti basati sulla valorizzazione di documenti originali.

Giochi da tavolo

Negli ultimi anni la Resistenza è entrata prepotentemente anche nel settore dei giochi da tavolo (tabletop). Da segnalare in questo senso il caso pionieristico di Repubblica ribelle, il gioco da tavola realizzato nel 2019 dal museo di Montefiorino per ricordare l’esperienza delle Repubblica partigiana del 1944. Qui game designers e public historians hanno lavorato fianco a fianco per realizzare un prodotto interessante. In particolare spicca la natura semicollaborativa, che contempla la lotta comune contro i tedeschi e i fascisti, ma anche le differenze e i contrasti tra le diverse brigate partigiane; e i rapporti tra partigiani e popolazione. Fondamentale il ruolo di Glauco Babini, storico organizzatore di Play, tra gli autori del gioco su Montefiorino e ora al lavoro su un gioco narrativo sulla figura di Ennio Tassinari, partigiano e agente dell’Oss.

Peraltro a questo si sono aggiunti in breve tempo altri titoli, da Resistenza! di Alessio Serafini (un gioco sulla Resistenza in Lunigiana promosso dal museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo) a Italy 1943-1945 (un gioco genere Coin – cioè di controinsurrezione – messo a punto in Piemonte, che copre l’intera campagna d’Italia). E oggi anche i grandi editori guardano con successo a questo settore, come dimostrano gli scenari usciti per i più popolari wargame, ma anche il gioco in corso di elaborazione presso GMT sul progetto di Ergo Ludo.

Alcuni titoli internazionali suggeriscono ulteriori piste: Maquis, un precursore del genere, consente di simulare la Resistenza urbana in una grande città; Black Orchestra chiede ai giocatori di congiurare per uccidere Hitler; Postani partizan, produzione slovena, recupera la dimensione ideologica; Orange shall overcome, recente uscita olandese, concentra l’attenzione sulla Resistenza civile.

Il panorama dei videogame

Il genere più interessante è però rappresentato dai videogame, che oggi costituiscono il mercato più importante del settore e uno dei più significativi in senso assoluto in ambito culturale. In questo campo la Resistenza finora ha avuto una presenza abbastanza ridotta, anche se si ricordano titoli promettenti come The saboteur (2009).

Nel caso italiano forse ha pesato anche la polemica su Il rosso e il nero (2003), un precoce ma sfortunato tentativo di giocare la “guerra civile” italiana, esperienza a forte connotazione revisionista, condannata della sua bassa qualità ludica prima ancora che dal discutibile sfondo interpretativo.

Anche in questo caso il settantesimo ha rappresentato un passaggio significativo e vale la pena ricordare qui almeno il caso di Venti mesi, la videonarrazione ludica elaborata da We are muesli nell’ambito delle celebrazioni promosse dal comune di Sesto San Giovanni. Si tratta di una collezione di storie a bivi sul tema della Resistenza, in cui ci si ritrova nei panni di venti personaggi immersi in altrettante scene reali legate alla guerra di

Liberazione, ricostruite attraverso una documentazione originale e rese attraverso un originale linguaggio grafico. Il docugame, disponibile anche in inglese, ha ottenuto numerosi premi.

In questo settore più che in altri, peraltro, va tenuto presente che la specificità storica del gioco non va cercata tanto e solo nella accuratezza delle ambientazioni, ma anche negli effetti delle dinamiche (è quella che si chiama “autenticità selettiva”): persino in giochi ambientati in altre epoche o addirittura fantasy o fantascientifici è possibile trovare “risonanze storiche” interessanti sul fenomeno Resistenza in chiave di guerra asimmetrica, azione clandestina, spionaggio, ecc. Si segnala ad esempio il recente caso di Martha is dead (2022), un horror psicologico ambientato in Toscana durante la guerra.

La diffusione del medium presso le giovani generazioni ne favorisce anche l’uso in contesto educativo, come dimostrano i bei risultati del Progetto CreoGame Ossola 2022, che ha visto la realizzazione di nove videogiochi legati al contesto locale, in cui è ben presente anche la tematica resistenziale.

Ovviamente anche nel caso del gioco occorre approcciarlo con consapevolezza delle caratteristiche specifiche e anche dei limiti del mezzo; ma bisogna evidenziare come questo presenti una dimensione di interattività che non è limitata alla fase ludica: le mod (cioè variazioni) stimolate o sviluppate dai giocatori rappresentano infatti una pratica di elaborazione collettiva di contenuti, anche storici, cui la public history guarda con interesse.

È quindi lecito attendersi da questo ottantesimo una larga diffusione dei giochi citati e il fiorire di nuovi titoli: anche questa partita è tutta da giocare.

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