Si conclude con queste due pagine il nostro approfondimento sugli effetti delle leggi relative alle esportazioni di opere di particolare interesse. La normativa prevede che lo stato possa notificare le opere ritenute d’interesse pubblico, a settant’anni dalla loro realizzazione da parte di un autore deceduto. In questo caso ne limita fortemente la circolazione, soprattutto verso l’estero.

Le opinioni che abbiamo pubblicato testimoniano che, ferma restando la necessità di leggi che tutelino il nostro patrimonio artistico, quelle attualmente in vigore andrebbero riviste. Che senso ha infatti vincolare un’opera di artisti ben rappresentati nei nostri musei e nelle nostre collezioni? Possiamo considerare un danno al nostro patrimonio il fatto che il MoMA di New York possieda dei capolavori di Boccioni? E non dovremmo rammaricarci che lo stesso museo non abbia dipinti rappresentativi di Morandi, Sironi o Casorati?

In tanti hanno fatto riferimento in queste pagine al modello francese, secondo cui se lo stato non è in grado di comprare un’opera di interesse nazionale lascia libero il proprietario di venderla anche all’estero. Ma questo non accade solo in Francia.

In questi giorni il sottosegretario ai beni culturali del Regno Unito, Stephen Parkinson, ha avanzato un’opzione sull’acquisto di un dipinto del XVII secolo che raffigura una donna nera e una bianca il cui abbigliamento esprime l’appartenenza allo stesso elevato ceto sociale.

L’opera, inizialmente valutata 272.800 sterline (362.060 dollari), per l’eccezionalità del soggetto è stata vincolata fino al 9 marzo 2022.

A meno che non ci sia un acquirente britannico disposto a pagare lo stesso prezzo, potrebbe lasciare il paese. Il sottosegretario ha lanciato un appello, ma non ha certo inteso ledere i diritti dei legittimi proprietari.

Sempre nel Regno Unito è andata all’asta a Londra, da Sotheby’s, l’Afrodite Hamilton, statua romana probabilmente del I o II secolo dopo Cristo, proprietà di un privato. La scultura, data per dispersa, era stata per due secoli in una nobile casa scozzese ed era già passata in asta nel 1949 a New York.

Adesso a Londra, muovendo da una valutazione iniziale di due-tre milioni di dollari, l’Afrodite Hamilton, eccezionale anche per la sua integrità, è stata aggiudicata a 24,6 milioni di dollari. Toccherà adesso alla Scozia e allo stato britannico valutare se esercitare la prelazione affrontando una spesa così alta purché resti nel Regno Unito. Diversamente cadrà ogni vincolo sull’opera. Tuteliamo il nostro patrimonio, assolutamente sì, ma guardiamoci anche intorno e non dimentichiamo di appartenere a una comunità che va oltre i nostri confini nazionali.

Giancarlo e Danna Olgiati

collezionisti

Interveniamo nel dibattito del quotidiano Domani dedicato all’attuale legislazione italiana import/export di opere d’arte e alla necessità di un suo cambiamento, riportando la nostra esperienza di collezionisti d’arte della Svizzera italiana.

Il nostro impegno è quello di valorizzare l’arte italiana all’estero, nell’unica repubblica di lingua e cultura italiana fuori dall’Italia. Nonostante ciò per noi è più facile e più opportuno organizzare acquisti, prestiti e mostre in altri paesi (europei ed extra europei) che non con l’Italia a causa delle leggi ancora inadeguate sia sul piano dell’esportazione sia dell’importazione delle opere.

Il nostro progetto collezionistico parte da lontano ed è formato, in contrapposizione con le altre collezioni di interesse pubblico del resto della Svizzera, sull’arte moderna e contemporanea italiana che si confronta con il resto del mondo. La collezione, in continua evoluzione, è incentrata costantemente sulle avanguardie storiche e contemporanee.

Abbiamo stipulato un accordo con la città di Lugano e il museo della Svizzera italiana e la sua Fondazione che prevede una promessa di donazione di circa 250 opere di grande valore e qualità che già ora sono date in usufrutto.

Con questa scelta abbiamo determinato il modello “Schaulager” adattato alla Svizzera italiana e realizzato una riforma tributaria che consente in caso di atti particolarmente importanti di mecenatismo (sponsorizzazioni, donazioni di interesse pubblico, ecc.) una deduzione sul reddito imponibile del 50 per cento, aliquota che situa la Svizzera italiana in una buona media in Svizzera sotto il profilo della competitività.

Va registrato che il massimo dell’aliquota per atti di questo tipo (100 per cento del reddito imponibile) viene dato dalla legge tributaria di Basilea Campagna, semicantone dove hanno sede sia lo “Schaulager” che la “Fondazione Beyeler”. Se si aggiunge il libero commercio con Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, è facilmente comprensibile che le mostre fra le più belle e sontuose al mondo vengano fatte proprio da quelle istituzioni senza il contributo dell’arte italiana per le distorsioni della legislazione italiana dell’export.

In cambio della nostra donazione e delle nostre attività riceviamo dalla città di Lugano un partecipazione ai costi di gestione, lo spazio espositivo con relativo magazzino (“Schaulager”) e una collaborazione attiva per le nostre mostre del personale messo a disposizione dal Masi (Museo d’arte della Svizzera italiana) che lavora in stretta collaborazione con noi e la nostra direzione. Le nostre, quindi, fanno parte del circuito delle mostre del Masi.

Ci auguriamo che avvenga una riforma più equa e flessibile che permetta la valorizzazione degli artisti italiani nel mondo, nell’assoluto rispetto nella difesa del patrimonio nazionale. Ci auguriamo, infine, che il legislatore abbia una particolare attenzione alla valorizzazione degli scambi tra l’Italia e il Canton Ticino.

Patrizia

Sandretto

Re Rebaudengo

collezionista, presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Ho iniziato la mia collezione nel 1992: da subito ho scelto di dedicare tutta la mia attenzione all’arte contemporanea. Mi muovo nella sfera dell’arte “vivente” e dunque la questione della notifica è una problematica non ancora così determinante in relazione al mio modo di collezionare. Mi interessa però in prospettiva e mi preme da un punto di vista più generale, in relazione alla “filosofia” stessa del collezionismo.

Gli effetti restrittivi determinati dalla legge della notifica sulla libera circolazione delle opere d’arte, hanno un impatto significativo sul mercato e, dal mio punto di vista, colpiscono soprattutto la fisionomia più evoluta del collezionismo, i suoi aspetti sociali e socievoli, le sue potenzialità e funzioni culturali e civiche.

Come hanno scritto su queste pagine autorevoli professionisti del settore artistico, la notifica è un deterrente al prestito e un problematico incentivo all’invisibilità delle collezioni. Asseconda la segretezza e dunque un’idea obsoleta di collezione privata: esclusiva, individualistica, puramente proprietaria e speculativa.

Le opere, qualsiasi sia la loro “età”, sono “beni” molto speciali: sono stati destinati dall’artista a essere esposti, a essere veicoli di pensieri, a innescare dialoghi, non possono e non devono essere sottratti alla visione e al discorso pubblico. Il collezionismo a cui penso – e che mi auguro che il mio paese comprenda, appoggi e sostenga anche dal punto di vista legislativo – si intreccia al mecenatismo di nuova generazione.

Personalmente ho scelto di interpretarlo con la creazione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, aperta al pubblico e impegnata, dal 1995, nel sostegno delle giovani generazioni artistiche, attraverso la programmazione espositiva, la produzione di opere e progetti artistici e curatoriali, l’attività educativa e formativa.

Sono una collezionista che ama prestare le proprie opere: spero che le mie nipotine in futuro potranno continuare a inviarle e farle esporre dai musei e dalle fondazioni di tutto il mondo, mantenendo vivo e in movimento il loro significato e il loro valore culturale.

Moshe Tabibnia

antiquario, collezionista e gallerista (BUILDING)

Durante i miei quarant’anni da antiquario tessile e collezionista ho fatto molta attenzione alle opere tessili di manifattura italiana, oppure caratterizzate da una rilevanza storica per l’Italia. Laddove mi è stato possibile, ho sempre acquisito queste opere in giro per il mondo e le ho importate in Italia, convinto che esse appartengano al patrimonio culturale italiano, e che per questo debbano essere fruibili in Italia. Ho anche promosso la notificazione di opere che ritenevo importanti e che ritenevo potessero accrescere il patrimonio italiano, già immenso.

La tutela del patrimonio è necessaria e sacrosanta, ma altra cosa è la legge che ci impedisce di esportare opere senza nessuna rilevanza culturale per l’Italia o che ci ostacola con attese di tre, quattro mesi, per ottenere la libera circolazione. Credo che sia plausibile stabilire un termine di due settimane – a fronte di aver fornito un’ampia documentazione riguardo all’opera che si intende esportare – le quali, trascorse senza risposta, diventino un silenzio assenso.

Da sempre collezionista di arte moderna e contemporanea, da qualche anno me ne occupo con la galleria BUILDING. Anche in questo settore dell’arte urge distinguere e trovare un equilibrio fra la volontà di tutelare il patrimonio artistico e la necessità di promozione e di divulgazione dell’arte e degli artisti nel mondo.

Tale promozione e divulgazione avviene certamente attraverso i musei e le mostre museali ma senza dubbio si ottiene anche attraverso il mercato e le gallerie che operano a livello internazionale.

Infine, credo che la notifica delle opere d’arte da parte dello stato debba principalmente portare all’acquisto delle medesime, per permettere una fruizione ampia presso i musei italiani. Tuttavia, molto spesso o quasi sempre, in mancanza dell’acquisto da parte dello stato, questo strumento genera un effetto opposto, limitando lo spostamento delle opere notificate sul territorio nazionale e internazionale, scoraggiando quindi i proprietari delle opere a esporle in mostra, per evitare la notifica, che ne limiterebbe la possibilità di movimento e, di conseguenza, la fruizione e il valore economico.

In ogni caso, aumentare la soglia minima (attualmente fissata a 13.500 euro) delle opere che al di sotto di questa non necessitano di una autorizzazione alla libera circolazione, permetterebbe la divulgazione e la fruibilità, facendo sì che possano circolare nel mondo e aumentare in fama e valore. Cosa che effettivamente aiuterebbe ad accrescere e valorizzare il patrimonio culturale italiano.

Emanuela Bassetti

presidente di Marsilio Arte

La tutela del patrimonio culturale nazionale (art.v9) e la tutela della proprietà privata (art. 42) sono valori fondamentali garantiti dalla Costituzione, ma in possibile conflitto di interessi. Il conflitto viene a sua volta risolto dallo stesso articolo 42 quando si dice che la legge determina i limiti alla proprietà privata allo scopo dì assicurarne la funzione sociale. Ma possono introdursi in nome della funzione sociale così tante limitazioni da azzerare l’essenza stessa della proprietà privata senza indennizzo?

E siamo certi, come dice il Codice dei beni culturali, che l’appartenenza pubblica sia la condizione migliore per garantire il fine della tutela e della conservazione, della fruizione sociale del bene, nonché dell’arricchimento della collettività?

A distanza di più di 80 anni dalla legge Bottai, permane a livello normativo una sensibilità che vede ancora il mercato come pura speculazione, come ostacolo al bene pubblico e non come risorsa, che legge il rapporto tra pubblico e privato necessariamente in conflitto invece che foriero di sinergie complementari, che separa la tutela dalla valorizzazione come fossero mondi separati.

Chi opera come noi nel settore delle mostre conosce bene quanto sia difficile ottenere prestiti importanti da un privato, le cui opere possono venire notificate con le conseguenze che il dibattito su questo giornale ha ben evidenziato.

Certo lo stato ha il dovere/diritto di attivarsi per far rimanere in Italia opere considerate fondamentali ma senza utilizzare strumenti inutilmente punitivi e assurdi come la notifica senza obbligo di acquisto.

C’è necessità di una revisione, come peraltro è codificato nella maggior parte dei paesi europei, nella direzione di rendere la notifica un obbligo di acquisto. Molto semplicemente, a prescindere dagli anni dalla morte dell’artista (ora 70: sono pochi, sono tanti? E poi perché 70 come il periodo tutelato per la proprietà intellettuale) o dal valore risibile superiore ai 13.500 euro: se lo stato ritiene necessario conservare un bene all’interno del territorio, vincoli l’opera e l’acquisti, altrimenti ne permetta la libera circolazione

Maria Grazia Longoni

esperta in diritto dell’arte. Socia Acacia (Associazione amici arte contemporanea italiana)

Salvaguardare il patrimonio culturale di uno stato è certamente importante, ma il patrimonio è culturale se fa “cultura”, se è condiviso e non conservato in ambienti privati o nei depositi, dove nessuno può fruirne.

Il codice dei beni culturali ha lo scopo condivisibile di tutelare il patrimonio culturale italiano. La normativa, però, soprattutto per come viene applicata, non salvaguarda l’equilibrio che dovrebbe esserci tra interesse pubblico e privato. La dichiarazione di interesse culturale, e quindi la notifica, comporta il divieto di esportare definitivamente un’opera e ciò ha un impatto significativo sul suo valore.

Per timore della notifica molti collezionisti non rendono fruibile l’opera dalla collettività. Ma anche dopo la notifica l’opera resta, per timore, in un ambito privato. È auspicabile un correttivo che in qualche modo tuteli il proprietario dell’opera notificata, che è eccessivamente penalizzato.

A fronte del divieto all’esportazione andrebbe previsto, come in Francia, o l’acquisto obbligatorio da parte dello stato o quantomeno uno sgravio fiscale (da studiare in che termini) in favore del proprietario dell’opera notificata, che vede fortemente limitato il suo diritto di poterne disporre. Ma anche l’interesse della collettività dovrebbe essere adeguatamente salvaguardato, perché i beni culturali, per essere effettivamente tali, devono poter essere condivisi, per cui un’opera che fosse acquistata dallo stato dovrebbe poter essere fruita, magari anche solo periodicamente, dalla collettività.

A rendere ancora più complicata la circolazione delle opere contribuisce la lentezza e la complessità delle procedure previste per ottenere l’attestato di libera circolazione, l’autorizzazione all’esportazione temporanea e i documenti che devono necessariamente essere rilasciati dalle belle arti.

Tali procedure sono oltretutto regolate da termini ordinatori, anziché perentori, con la conseguenza che non si avrà mai la certezza delle tempistiche necessarie per ottenere il documento richiesto.

Anche ottenere l’autocertificazione, da poco estesa alle opere del valore sotto la soglia dei 13.500 euro (valore non in linea con le soglie europee), si è anzi rivelato a volte più complesso e costoso che ottenere l’attestato di libera circolazione.

La mancanza di chiarezza in merito ai documenti da allegare e i costi da sostenere per ottenere tali documenti (come ad esempio i costi di perizia) rendono la procedura estremamente lenta e complicata. La norma andrebbe certamente rivista o quantomeno “indirizzata” con circolari esplicative che ne chiariscano il perimetro applicativo.

Emilio Mazzoli

gallerista e collezionista

È comprensibile e giusto che lo stato si preoccupi di tutelare il proprio patrimonio, ma le leggi attuali sono inique. Tra l’altro, per quanto si tenti di avere criteri di valutazione imparziali e oggettivi, c’è sempre il rischio che il rapporto interno tra il proprietario del bene e i consulenti influisca sulla valutazione del bene stesso.

È poi inaccettabile che bene pubblico sia un’opera di cui non si può fruire in un museo o in una fondazione. È anche inaccettabile la mancanza di tempi certi nel ricevere la valutazione perché non si possono lasciare i proprietari di opere notificate in un limbo di tempo incerto quanto alla durata e che quindi limita la disponibilità e commerciabilità dell’opera.

Sappiamo bene che difficilmente lo stato è in grado di comprare un’opera che ritiene importante trattenere in Italia ma questo non può avere come conseguenza che il collezionista sia messo nelle condizioni di vedere svalutato il proprio bene, che rimane comunque un bene privato.

Si pensi poi a quanto deleteri sono gli effetti della burocrazia, che rendono difficili le donazioni. E ancora: c’è carenza di spazi pubblici in cui accogliere le donazioni, un collezionista non è affatto invogliato a donare delle opere che non saranno esposte. Ma c’è dell’altro: che senso ha parlare genericamente di settant’anni riferendosi alla produzione di un artista? Ci sono artisti che hanno realizzato le loro opere migliori da anziani e magari hanno avuto una mediocre produzione da giovani. O viceversa.

Massimo De Carlo

gallerista (MASSIMODECARLO)

Credo che la legge di cui si sta discutendo vada nella direzione giusta ma con modalità ambigue. Il limite di settant’anni infatti può essere riportato a cinquanta su opinione inderogabile del funzionario. Penso inoltre che dovrebbero essere valutate delle deroghe speciali per situazioni particolari.

Siamo sicuri che un capolavoro del Futurismo localizzato nella anonima casa di un pur meritevole collezionista e magari comprato in asta trent’anni fa – opera quindi già scollata dal suo contesto storico e culturale – non possa essere valorizzato meglio in un grande museo straniero dando così prestigio alla cultura italiana del Novecento?

Inoltre bisogna lavorare sui tempi del rilascio dell’attestato di libera circolazione, attualmente sono circa tre mesi… Dovrebbe essere fissato un tempo massimo – tre settimane – oltre il quale vale la regola del silenzio assenso.

Mario Cristiani

gallerista (CONTINUA)

È importante che ci siano leggi che tutelino il patrimonio culturale di un paese e sicuramente molto è stato salvato. Ma così com’è concepita, la legge italiana, laddove si impedisce che le opere di un certo artista possano accedere al livello internazionale, si procura un danno alla sua reputazione.

Il rischio concreto è che queste limitazioni portino il valore di opere di artisti italiani ad essere sottostimato ufficialmente, con la conseguenza di spingere il collezionista a cercare scappatoie nocive tanto per l’artista quanto per il nostro patrimonio. Tutto questo ha una ricaduta sull’arte dei nostri giorni.

Il modello più ragionevole sembra essere quello francese, che tutela tanto i proprietari delle opere quanto lo stato. Se lo stato decide di valorizzare l’importanza di opere che ritiene capolavori può stimolare i cittadini, le imprese o chi altro ad acquistarle al giusto prezzo di mercato. Laddove non dovesse essere in grado di farlo dovrebbe lasciare liberi i mercanti, i familiari degli artisti defunti e i collezionisti, favorendo così che i lavori di alcuni importanti artisti italiani raggiungano buone quotazioni sul mercato internazionale.

Ciò detto, ovvio che ci debba essere un controllo sulle opere che hanno un valore culturale, ma occorrono soluzioni adeguate.

Lo stato dovrebbe aiutare i collezionisti a donare le loro opere, magari con sgravi fiscali ragionevoli, sostenere le fondazioni, creare spazi che possano accogliere le donazioni. Come chiunque fa questo mestiere sappiamo che non dare il giusto valore economico a un’opera può danneggiare la credibilità dell’artista, oltre che di quel mondo dell’arte italiana di cui ci sentiamo parte e che promuoviamo.

Alfonso Artiaco

gallerista e collezionista

Uno dei doveri primari di uno stato è quello di tutelare al meglio il proprio patrimonio artistico. La grave mancanza che però si deve contestare all’Italia è l’obsolescenza della sua legge e talvolta l’ottusa applicazione della stessa.

Di certo è estremamente difficile trovare il punto di equilibrio tra quello che potrebbe essere “bene pubblico” da tutelare e quello che appartiene di diritto a un privato, che sia per acquisto, eredità o altro.

Limitandomi alla mia esperienza di gallerista che opera nel campo del contemporaneo devo dire che il tema della “notifica”, per motivi temporali, si sta presentando da poco. La mera applicazione di una legge non tiene infatti conto di multipli fattori in cui non necessariamente la datazione di un’opera d’arte la rende in automatico un bene inalienabile o da museo.

Mi sembra singolare, dopo aver avuto grandi riconoscimenti internazionali, di portarci dietro questo retaggio burocratico che appesantisce possibili ulteriori affermazioni. Sarei felice se questo paese credesse molto di più nel lavoro che, nella propria specificità, quotidianamente ciascuno di noi fa. Abbiamo bisogno di strumenti normativi moderni, formulati da una classe dirigente che riesca ad avere finalmente una visione adeguata del mondo culturale italiano.

Mario Diacono

gallerista

e scrittore

Tra tutti gli attori della tragicommedia chiamata notifica – collezionisti, galleristi, musei – ci si dimentica dei veri protagonisti dell’arte: gli artisti. La notifica va essenzialmente abolita, sostituita dalla struttura della prelazione da parte dello stato di opere d’arte importanti che possano o rischiano di essere vendute fuori dall’Italia.

Lo stato italiano, che non ha fatto nulla per nutrire e promuovere il lavoro degli artisti, giovani e meno giovani (borse di studio, grants, stipendi, spazi espositivi, viaggi di istruzione all’estero), reclama poi come patrimonio nazionale, praticamente di propria gestione, opere per le quali non ha fatto assolutamente nulla, negli ultimi centocinquant’anni, per aiutarne la creazione e promuoverne la conoscenza all’estero. Lo stato italiano si dà da fare e si organizza, o meglio disorganizza, per trattenere in Italia opere che hanno raggiunto un valore economico altissimo solo perché è stato il mercato internazionale a creare quel valore.

Cosa ha fatto lo stato italiano per artisti come Burri, Fontana, Manzoni e un centinaio o migliaio di altri quando vivevano una vita economica precaria? Assolutamente nulla. Quanto ha speso? Totalmente zero. Poi pretende di dichiarare le loro opere patrimonio nazionale.

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